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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: La Scelta
Autore: Rocco Matteo
Descrizione: lavoro basato sull'analisi del termine "scelta" e definito attraverso il pensiero di numerosi autori ed opinioni personali e messo in relazione con la società odierna
Materie trattate: Italiano,filosofia,latino
Area: umanistica
Sommario: Italiano,vattimo,realtà e libertà Italiano,luperini,critica e pessimismo-impossibilità di scelta Italiano,marcuse,l'uomo a una dimensione,omologazione e non libertà Filosofia,kierkegaard,scelta e possibilità ,film:trainspotting Latino,seneca,scelta di vita contemplativa e concezione di libertà
IL POSTMODERNO.
TRA OMOLOGAZIONE E IMPOSSIBILITÀ DI SCELTA.
Innanzitutto occorre fare chiarezza su cosa sia il postmoderno e come sia
nato tale termine.
Il termine Postmoderno è stato assunto come definizione generale dell’età in
cui viviamo. Tale periodo per alcuni sta ad indicare l’ ”era” cominciata
attorno agli anni Trenta con la rivoluzione epistemologica ed il Relativismo,
mentre altri ne fanno risalire la nascita intorno agli anni Cinquanta e
Sessanta, con l’inizio dell’era postindustriale e il trionfo della civiltà
mediatica e telematica. Alcuni filosofi, come Vattimo, lo esaltano perché
vedono in esso il crollo di sistemi ideologici “forti” e costrittivi e la
possibilità di un’emancipazione per l’uomo, altri, invece, come il critico
letterario Luperini, lo considerano un’età di decadenza, ravvisandovi una
sorta di esaurimento della civiltà, di impotenza creativa e appiattimento delle
coscienze, che tende ad esaltare in modo acritico una realtà piuttosto
negativa.
Realtà e libertà secondo Vattimo:
Secondo il filosofo italiano Gianni Vattimo, il postmoderno è stata
essenzialmente una grande svolta storica dall’accezione positiva.
Questa svolta sarebbe stata determinata dalla crisi della concezione della
storia e dell’ideale di progresso scaturite principalmente dalle speculazioni
teoretiche delle filosofie di fine ‘800 (Nietzsche, Marx), che rifiutavano una
visione unitaria e predeterminata della storia, così come l’esistenza di un fine
in essa inscritto: se non esiste nella realtà un fine razionale e collettivo, il
sistema creato dalla civiltà moderna intriso di razionalità non è più
sostenibile. Un ulteriore elemento di distacco del postmoderno rispetto al
moderno è dato, secondo Vattimo, dall’avvento dei mezzi di comunicazione
di massa, ritenuti dal filosofo un elemento fondamentale per l’esplosione di
nuove “visioni del mondo” da parte di classi sociali o minoranze etniche che
prima d’allora non avevano avuto la possibilità di esprimersi.
È interessante, a questo proposito, analizzare il ragionamento del filosofo
italiano riguardo alla realtà e alla libertà dell’individuo. L’intensificazione
della possibilità di informazione, grazie ai mass media, rende inconcepibile
l’idea metafisica di una realtà vista come unica possibile. La moderna idea di
realtà, spiega, non può essere posta al di fuori del “fantasmagorico mondo
dei mass media”, perciò la libertà vera non può essere più un concetto
assoluto di valore universale, bensì una libertà ed un’emancipazione fondate
sulla pluralità delle realtà che ci vengono proposte dai media: è un ideale di
libertà basato sull’erosione del “principio di realtà”.
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Vattimo continua spiegando che la libertà derivante dalla perdita del senso di
realtà consiste in una sorta di oscillazione tra appartenenza e spaesamento.
Oscilliamo tra la volontà di appartenere ad una realtà particolare che emerge
grazie anche ai media e lo spaesamento che proviamo quando ci rendiamo
conto che la nostra realtà è solo una tra le infinite nel mondo.
Vattimo contro Adorno:
Vattimo dunque si pone in maniera positiva nei confronti del postmoderno
e dà una definizione positiva della libertà in relazione ai mass media. Tutto
ciò è in contrasto con quello che, invece, aveva affermato tempo prima il
Theodor Adorno,
filosofo tedesco secondo cui con l’avvento dei mezzi di
comunicazione di massa le relazioni interumane si sarebbero ridotte a pura
apparenza. La vita individuale sarebbe divenuta pura funzione delle forze
oggettive che governano la società di massa e la sfera individuale ridotta
all’ambito fittizio del consumo senza possibilità di scelta. Dunque, secondo
Adorno, il progresso telematico nella società postmoderna diviene un mero
strumento di dominio sulle cose e sugli uomini e i mass media sono visti
come un trampolino di lancio per la nascita di governi totalitari e dittature
attraverso la promozione di visioni del mondo stereotipate, che consentono
di ottenere un controllo capillare sugli individui, ingabbiandoli in
un’omologazione senza scampo.
Critica e pessimismo di Luperini
Luperini fa parte, al contrario di Vattimo, di coloro che affermano che il
postmoderno sia solamente una continuazione del moderno e che non si
possa parlare di vera e propria svolta epocale; inoltre, il suo pensiero è agli
antipodi rispetto a quello del filosofo italiano poiché si pone in modo critico
e pessimista nei confronti del postmoderno e dei valori da esso proposti.
Luperini parla della società paragonandola ad una moderna fabbrica dove
l’automatizzazione del controllo, che rende inutile la figura del sorvegliante,
estende il processo di sottomissione del lavoro agli aspetti addirittura
psicologici, alienando il lavoratore. Lo stesso modello di funzionamento
viene esteso anche alla società, dove ormai l’automazione del controllo è
tale, tramite la pubblicità, la spettacolarizzazione dell’esistenza e la sua
riduzione a mera “apparenza”, da rendere superflua qualsiasi
intermediazione ideologica. Esso, inoltre, è nelle mani di una ristretta cerchia
“oligarchica” che si trova in cima alla nostra piramide sociale e non ha
neppure più bisogno della persuasione ideologica, agendo, ormai, a livello
inconscio. Nell’individuo è radicata una mentalità tale da non consentirgli
più nemmeno la ricerca di un’alternativa a questo suo vivere passivo ed
impersonale, poiché il sistema riesce bene, con il suddetto sistema di
controllo, a “narcotizzare” le masse, a renderle omologate ed incapaci di
scegliere vie alternative e, magari, più etiche.
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L' uomo a una dimensione
« Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale
nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico »
L'uomo a una dimensione.
Così Herbert Marcuse inizia la sua opera In essa
emerge il modello di vita dell'individuo che si riduce al bisogno atavico di
produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il
carattere fondamentalmente repressivo dalla società industriale avanzata, che
appiattisce l'uomo alla dimensione di consumatore euforico e ottuso, la cui
libertà risiede solo nella possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.
Di seguito riporterò alcuni passi significativi tratti dall’opera suddetta oltre
alle mie personali considerazioni.
Passi proposti tratti da: L’uomo a una
H. Marcuse,
dimensione, Einaudi,
Torino 1967, pp. 22-26.
«I bisogni “falsi” sono quelli che vengono sovrimposti all’individuo da parte
di interessi sociali particolari cui preme la sua repressione: sono i bisogni che
perpetuano la fatica, l’aggressività, la miseria e l’ingiustizia»
Secondo Marcuse è probabile che l’individuo trovi estremo piacere nel
soddisfare questi falsi bisogni, ma questa felicità è una condizione che non
deve essere protetta e conservata poiché serve solo ad arrestare lo sviluppo
della capacità di riconoscere la “malattia”dell’insieme e ad impedire che si
possa curare:
«Il risultato è pertanto un’euforia nel mezzo dell’infelicità»
Ogni individuo dovrebbe essere in grado di dire quali sono i bisogni veri e
quali quelli falsi. Questo è possibile solo quando la persona è libera di dare
una propria risposta non influenzata dagli interessi dominanti della società:
«Fintanto che (gli uomini) sono ritenuti incapaci di scegliere
autonomamente, fintanto che sono indottrinati e manipolati sino a livello
degli istinti, la risposta che essi danno a tale domanda (ovvero su quali siano
i veri bisogni) non può essere accettata come fosse la loro»
Marcuse si chiede in che modo degli uomini che sono stati oggetto di un
dominio efficace e produttivo, siano in grado di creare da soli le condizioni
della loro libertà. Questo è un punto che tocca da vicino anche la civiltà
odierna. 6
A mio parere, la condizione di “libertà apparente” che ci vengono offerta
dalla nostra società risulta andare a genio a gran parte delle persone che
tendono ad estraniarsi e preferiscono non farsi domande o sono talmente
assuefatte dal sistema che non si rendono realmente conto di quella che è la
loro vera condizione. Come si sa, una soluzione assoluta non esiste, o
magari non interessa a tutti. Un punto di partenza ideale, caratteristicamente
marxiano, è sicuramente la necessità di presa di coscienza del problema da
parte di ogni individuo ed il risveglio della propria capacità di scegliere.
“Scegliere di scegliere” è tanto il problema quanto la soluzione.
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KIERKEGAARD PROTAGONISTA IN “TRAINSPOTTING”
Il tema della scelta rappresenta un punto
nevralgico all’interno della speculazione
filosofica del filosofo danese Søren
Kierkegaard. Egli è considerato il padre
dell’esistenzialismo, corrente nata in
contrapposizione all’idealismo romantico.
Secondo il filosofo esistere significa scegliere.
La scelta rappresenta la personalità stessa che
sceglie vivendo o vive scegliendo: l’uomo non
è quel che è, ma ciò che sceglie di essere.
«La scelta è decisiva per il contenuto della
personalità; con la scelta essa sprofonda nella
cosa scelta e se essa non sceglie, appassisce in
consunzione» (Aut-Aut, II)
La possibilità terribile…
Kierkegaard ha cercato di spiegare e comprendere l’esistenza umana
attraverso la categoria della possibilità. Egli ha messo in evidenza come,
qualunque tipo di scelta si effettui, la possibilità di realizzazione dell’evento
(possibilità-che-si, possibilità-che-non).
possibile, è al contempo positiva e negativa
Libertà e possibilità non sono connotati solo da elementi positivi: dietro di
essi si cela non solo la riuscita ma anche il fallimento, la minaccia del nulla.
Il filosofo stesso nel corso della sua vita si è sentito spesso paralizzato dalle
“alternative terribili”
varie che gli si presentavano davanti. Egli stesso sostiene
di essere una “cavia d’esperimento per l’esistenza” e di riunire in sé i punti
estremi di ogni opposizione:
«Ciò che io sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la
punto zero,
soddisfazione di conservare la mia esistenza al tra il freddo e il
caldo, tra la saggezza e la stupidaggine, tra il qualche cosa e il nulla come un
forse»
semplice
Kierkegaard si pone al punto zero dell’esistenza e ritiene possa essere
occupato soltanto da egli stesso; esso rappresenta l’indecisione permanente,
l’equilibrio instabile tra le alternative opposte.
… e la mortale angoscia
Kierkegaard individua un sentimento particolare, una condizione esistenziale
prettamente umana che scaturisce dal “possibile”: si tratta dell’angoscia. Essa
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è un sentimento diverso da qualunque altro, quali la paura e il timore, poiché
questi sono basati su situazioni ed eventi determinati, mentre l’angoscia è
riferita al futuro e alle sue innumerevoli eventualità che possono annientare
le nostre speranze e le nostre certezze; è puro sentimento della possibilità.
Secondo il filosofo Idealista Hegel tutti gli eventi sono necessari, l’uomo non
è mai propriamente libero di scegliere per se stesso; Kierkegaard si oppone
radicalmente a questa concezione della realtà come unità processuale e
necessaria, affermando che l’uomo non si può paragonare ad un animale, il
quale vive lungo i binari della necessità e degli istinti, perché la sua vita è
continuamente segnata dal libero arbitrio. Non saremo mai sicuri che la
nostra scelta sia la migliore tra tutte le possibilità che si presentano, ed è
proprio per questo che incombe il sentimento dell’angoscia, che rende
l’uomo insicuro e tormentato, ma al contempo caratterizzando la sua libertà:
« L'angoscia è la vertigine della libertà» (Il concetto dell'angoscia)
IL FILM
Trainspotting è un film del 1996
diretto dal regista Danny Boyle, la
trama è interamente ispirata
all’omonimo romanzo di Irvine
Welsh uscito nel 1993.
La storia, narrata in prima persona
da un ragazzo chiamato Mark
(interpretato da Ewan McGregor),
parla di un gruppo di ragazzi
dipendenti da eroina e mette in luce
i loro comportamenti, spesso