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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: La ricostruzione del concetto di Dio dopo Auschwit

Autore: Gesu Elisa

Scuola: Liceo scientifico

Descrizione: "Un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto" Francesco Guccini canta queste parole, proverbiali, nel 1965. Sono passati 20 anni dall'Olocausto. Sono ormai 20 anni che Dio è morto. È vero, la morte di sei milioni di ebrei, i campi di sterminio e di lavoro, fra tutti Auschwitz, la paura, l'annientamento di tutto ciò che esiste definibile con l'aggettivo "umano", sono gocce che avvelenano, annientano il divino. O meglio, la percezione che l'uomo ha del divino, perché come lo stesso Immanuel Kant afferma, l'uomo può cogliere solo il fenomeno, ciò che appare, e nulla dell'essenza. Non importa cosa sia accaduto prima, nulla del divino, ora, appare. Ma la stessa essenza, l'esistenza, su cui si è fatto affidamento per tutto il corso della Storia, a prescindere dalle convinzioni personali, dalle dottrine religiose e filosofiche che permeano i diversi momenti, quella certezza che costituisce il più grande fondamento dell'umanità , il più grande punto di riferimento, mai veramente scosso finora, ora viene messo in dubbio: non esiste più il garante dell'amore, della vita, ma, soprattutto, del significato dell'esistenza. L'umanità  è orfana dell'assoluto, del totalmente altro. L'umanità  è orfana di se stessa perché perde il suo significato. Si mette in dubbio l'origine e, con essa, la fine. L'opera di annientamento dell'identità  personale e della memoria messa in atto dalla politica nazista ha, in ultimo, l'effetto di suscitare domande, inscindibili dall'uomo fin dalla sua comparsa, che ora non possono più in alcun modo essere ignorate. Esistono bontà  e giustizia, i primi principi messi in discussione da questi avvenimenti, gli strumenti, le virtù che, così ci hanno sempre insegnato, sono necessarie per vivere? Esiste la felicità , non è una favola che consente all'uomo di vivere, esiste davvero per chi lotta per essa, compie il giusto, la merita? Esiste un significato, la verità  dell'esistenza di ognuno, la certezza dell'utilità  di ogni attimo speso, della necessarietà  di ognuno, dell'insensatezza del sentimento di vuoto che lacera l'uomo, che ognuno finge di colmare, in cui ognuno si perde, che necessita di essere dissolto? Esiste qualcosa per cui vale la pena vivere, davvero, che non sia contingente, ma totalmente necessario, fine a se stesso, su cui non si possono fare domande, su cui non esistono risposte perché tutto è già  insito in esso, esiste un'entità  che sollevi l'uomo dal peso di dover bastare a se stesso? Nel corso di queste domande, ricorrono le parole "vita", "vivere". Questo perché la condizione di vita è l'unica certezza con cui l'uomo nasce. Ciò non significa che sia sufficiente. Questa stessa vita è volta alla ricerca di un ente superiore. Paradossalmente, la ricerca della causa, è il fine supremo. Questa appare una struttura circolare e, dunque, classicamente, dominata dall'armonia: eppure tutti la riconosciamo essere fonte primaria di dissidio. "Dio è risorto", così conclude Guccini. Questo percorso si pone di verificare se davvero Dio è risorto, se l'uomo, negli ultimi sessant'anni ha trovato la forza in se stesso di fare il "Salto" ed avere fiducia, nuovamente, nel totalmente altro. Oppure, se questa scossa è stata tanto forte da avere messo in crisi del tutto le possibilità  dell'uomo contemporaneo di credere davvero di avere un significato, segnando una morte del tutto umana del divino: eterna.

Materie trattate: Filosofia (Jonas, Jaspers, Horkheimer, Bonhoeffer), Inglese (Samuel Becket)

Area: umanistica

Sommario: Auschwitz come scandalo: 1- della religione → Dio non può più rispondere agli attributi tradizionali. Il concetto di Dio si riconsidera in relazione all'uomo. 2- della ragione→ l'uomo non può più definirsi razionale, perché Auschwitz è la concreta negazione di questa caratteristica. Crolla il senso dell'uomo in ogni direzione storica. 3- dell'umanità → la colpa metafisica ↓ Il nuovo mondo: 1- la religiosità  nuova→ la religiosità  dell'uomo attivo e non religioso 2- il nuovo uomo al pari del vecchio→ il teatro dell'assurdo come emblema della società  contemporanea, in cui fallisce la possibilità  di una nuova religiosità  ("Waiting for Godot", Samuel Beckett) Conclusioni

Estratto del documento

Introduzione

Premesse:

- Auschwitz come evento storico

scandalo:

Auschwitz come

1- della religione → Dio non può più rispondere agli attributi tradizionali. Il concetto di Dio si

riconsidera in relazione all’uomo.

2- della ragione

→ l’uomo non può più definirsi razionale, perché Auschwitz è la concreta

negazione di questa caratteristica. Crolla il senso dell’uomo in ogni direzione storica.

3- dell’umanità

→ la colpa metafisica

Il nuovo mondo:

1- la religiosità nuova

→ la religiosità dell’uomo attivo e non religioso

2- il nuovo uomo al pari del vecchio → il teatro dell’assurdo come emblema della società

contemporanea, in cui fallisce la possibilità di una nuova religiosità (“Waiting for Godot”, Samuel

Beckett)

Conclusioni

“Un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto”

Francesco Guccini canta queste parole, proverbiali, nel 1965. Sono passati 20 anni dall’Olocausto.

Sono ormai 20 anni che Dio è morto.

È vero, la morte di sei milioni di ebrei, i campi di sterminio e di lavoro, fra tutti Auschwitz, la paura,

l’annientamento di tutto ciò che esiste definibile con l’aggettivo “umano”, sono gocce che avvelenano,

annientano il divino.

O meglio, la percezione che l’uomo ha del divino, perché come lo stesso Immanuel Kant afferma,

l’uomo può cogliere solo il fenomeno, ciò che appare, e nulla dell’essenza.

Non importa cosa sia accaduto prima, nulla del divino, ora, appare. Ma la stessa essenza, l’esistenza, su

cui si è fatto affidamento per tutto il corso della Storia, a prescindere dalle convinzioni personali, dalle

dottrine religiose e filosofiche che permeano i diversi momenti, quella certezza che costituisce il più

grande fondamento dell’umanità, il più grande punto di riferimento, mai veramente scosso finora, ora

viene messo in dubbio: non esiste più il garante dell’amore, della vita, ma, soprattutto, del significato

dell’esistenza.

L’umanità è orfana dell’assoluto, del totalmente altro. L’umanità è orfana di se stessa perché perde il

suo significato. Si mette in dubbio l’origine e, con essa, la fine.

L’opera di annientamento dell’identità personale e della memoria messa in atto dalla politica nazista

ha, in ultimo, l’effetto di suscitare domande, inscindibili dall’uomo fin dalla sua comparsa, che ora non

possono più in alcun modo essere ignorate.

Esistono bontà e giustizia, i primi principi messi in discussione da questi avvenimenti, gli strumenti, le

virtù che, così ci hanno sempre insegnato, sono necessarie per vivere?

Esiste la felicità, non è una favola che consente all’uomo di vivere, esiste davvero per chi lotta per essa,

compie il giusto, la merita?

Esiste un significato, la verità dell’esistenza di ognuno, la certezza dell’utilità di ogni attimo speso,

della necessarietà di ognuno, dell’insensatezza del sentimento di vuoto che lacera l’uomo, che ognuno

finge di colmare, in cui ognuno si perde, che necessita di essere dissolto?

Esiste qualcosa per cui vale la pena vivere, davvero, che non sia contingente, ma totalmente necessario,

fine a se stesso, su cui non si possono fare domande, su cui non esistono risposte perché tutto è già

insito in esso, esiste un’entità che sollevi l’uomo dal peso di dover bastare a se stesso?

Nel corso di queste domande, ricorrono le parole “vita”, “vivere”. Questo perché la condizione di vita è

l’unica certezza con cui l’uomo nasce. Ciò non significa che sia sufficiente. Questa stessa vita è volta

alla ricerca di un ente superiore. Paradossalmente, la ricerca della causa, è il fine supremo.

Questa appare una struttura circolare e, dunque, classicamente, dominata dall’armonia: eppure tutti la

riconosciamo essere fonte primaria di dissidio.

“Dio è risorto”, così conclude Guccini.

Questo percorso si pone di verificare se davvero Dio è risorto, se l’uomo, negli ultimi sessant’anni ha

trovato la forza in se stesso di fare il “Salto” ed avere fiducia, nuovamente, nel totalmente altro.

Oppure, se questa scossa è stata tanto forte da avere messo in crisi del tutto le possibilità dell’uomo

contemporaneo di credere davvero di avere un significato, segnando una morte del tutto umana del

divino: eterna.

Qualunque sia il risultato, ciò che è davvero importante è la reale natura dell’uomo che si realizza

pienamente solo quando cerca l’assoluto, completamente fuori di sé ed al contempo completamente

coincidente con la ricerca di se stesso.

Dopo tutto, lo stesso Platone scrive, nel Fedone: “Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità

sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con

grandissima difficoltà. Però io penso che sia una viltà non studiare sotto ogni rispetto le cose che sono

state dette in proposito, e lo smettere le ricerche prima di aver esaminato ogni mezzo”.

Premesse – Auschwitz come evento storico

Il termine “Auschwitz” verrà qui utilizzato, come spesso nelle considerazioni contemporanee

sull’argomento, nella sua valenza emblematica, cioè come nucleo (una parola di pietra, si potrebbe

dire) che sintetizza in sé tutta la violenza e la criminalità nazista.

In esso si manifesta ogni volto della barbarie nazista: deportazione di prigionieri politici e di guerra, di

detenuti comuni, di omosessuali, sperimentazioni mediche, lavoro coatto, sterminio attraverso il lavoro,

sterminio diretto.

Auschwitz è il termine ultimo dell’istituzione criminale nazista, tanto cronologicamente quanto

nell’obiettivo : è la soluzione finale, che va oltre il sottrarre la vita, ma giunge a “sottrarre all’uomo la

sua stessa umanità” (Hanna Arendt).

La logica dello sterminio si avvia con l’invasione della Polonia e va incontro ad un brutale incremento

con l’invasione dell’Unione Sovietica. I mezzi in esso impiegati, così come il personale che vi

partecipa, erano stati ampiamente collaudati a partire dal 1939 nell’ambito dell’operazione T4, il

programma di eutanasia messo in atto per sopprimere le “bocche inutili” che malati mentali e incurabili

costituivano e solo dopo estesi alle razze inferiori da annientare: ebrei e zingari.

Ma Auschwitz come evento storico chiama in causa un aspetto in particolare dell’individuo: la

coscienza storica. L’evento rappresenta una cesura definitiva con essa, per come fino a questo

momento era stata intesa: sconvolge la nostra visione storica del mondo. La storicità prima di

Auschwitz è dominata dalle grandi figure emblematiche che forgiano l’Europa, formando una

coscienza storica ampiamente condivisa. Caratteristica dominante di questa coscienza era la

convinzione ch’essa fosse riuscita a superare i momenti storici “contraddittori” che l’avevano plasmata

attraverso il tempo. Essa affermava la propria superiorità sulla altre culture, si nutriva della fiducia

nelle proprie possibilità.

Già dopo la Prima Guerra Mondiale il mondo non può più essere considerato quello di prima, ma

questo conflitto è ancora in certa misura razionalizzabile e perciò inquadrabile in questa elaborata

costruzione che la coscienza storica rappresenta.

L’evento Auschwitz spezza questa forma di storicità, e frantuma questa forma di coscienza storica .

Esso è la negazione assoluta e radicale del principio umano, del principio di unità della specie. Fino ad

allora, nonostante tutte le barbarie portate agli occhi dell’uomo attraverso i secoli, si era ammessa

l’integrità della sfera dei valori riconducibili al concetto di “umanità”.

La nostra coscienza storica, che a questa genesi si riconduce, mostra le proprie crepe se messa a

confronto con questa situazione: essa si dimostra incapace di integrare in sé la realtà di questo evento,

di ammetterlo possibile e immaginabile, e reagisce secondo strategie diverse: il negazionismo nasce

laddove la coscienza storica si rifiuta totalmente di ammettere l’evento Auschwitz come verificato,

cancellando con esso otto milioni di vittime; questo atteggiamento non si dimostra peggiore di

un’assoluta demonizzazione dell’intero stato nazista, come improvviso palesarsi di forze oscure e

irrazionali che avrebbero deviato la storia fuori dalla storia; atteggiamento differente, ma tanto

complesso quanto diffuso, vede la razionalizzazione dell’evento attraverso procedimenti comparativi e

analogici. Il risultato è quello di storicizzarlo come prodotto di leggi razionali più ampie e a lungo

termine ma anche, inevitabilmente di banalizzarlo attraverso quello che viene definito “revisionismo”.

Si riconosce, in ultimo, la strategia definita “funzionalista”, che comporta numerosi risvolti positivi, tra

i quali un approfondimento nella conoscenza e nella comprensione dell’evento, attraverso una

meticolosa analisi delle strutture e del funzionamento del Terzo Reich. Tutto ciò comporta, però, un

distacco, una certa dose di asetticità nell’affrontare l’evento.

Qualunque sia la strategia messa in atto dalla coscienza storica individuale, appare innegabile che essa,

nella sua accezione fino a questo momento riconosciuta, muore con gli otto milioni di vittime che

l’evento Auschwitz miete. Con la coscienza storica muore una parte dell’individuo, muore una parte

vitale dell’uomo.

Auschwitz mette a morte l’uomo per mano dell’uomo.

Ma giunge a spingersi oltre: per mano dell’uomo mette a morte il concetto di Dio fino ad allora

accettato.

AUSCHWITZ COME SCANDALO

1- Scandalo della religione

Auschwitz rappresenta lo “scandalo” del XX secolo: non l’unico, ma quello per eccellenza, perché

posto a confronto, nessun altro avvenimento può essere considerato di pari peso.

È scandalo della religione, è scandalo della ragione, è scandalo dell’umanità.

Alla prima definizione si riconduce perché nega gli elementi alla base delle religioni ebraica e cristiana

con cui si confronta.

“Auschwitz, per il credente, mette in discussione il concetto stesso di Dio”, questa l’affermazione alla

base dell’analisi di Hans Jonas, filosofo ebreo, che col proprio sentimento religioso si confronta.

Auschwitz mette in discussione il concetto stesso di Dio buono, onnipotente e per lo meno in parte

conoscibile, che deve essere nuovamente sottoposto a vaglio: dopo Auschwitz, Dio non può più essere

quello di prima.

Jonas procede dunque all’analisi di questi tre attributi fondamentali di Dio, giungendo all’unica tesi

possibile, alla luce di quanto accaduto: non possono più essere coesistenti nel Divino. Se così fosse,

Auschwitz non sarebbe potuto essere.

Fondamentale è ricordare che l’ambito di analisi è ebraico, ma investe anche quello cristiano: alla luce

delle religioni ebraica e cristiana è impossibile negare la conoscibilità di Dio, poiché negherebbe

l’essenza stessa di queste religioni, rivelate, che proprio sulla conoscibilità del Verbo si fondano.

Al pari, è irrinunciabile il concetto di un Dio buono, caratterizzato, cioè, dalla volontà del Bene: essa è

inseparabile dal nostro concetto di Dio e non può sottostare a nessuna limitazione.

Soccombe invece l’attributo dell’onnipotenza sotto ragioni di ordine logico e ontologico. Da un punto

di vista logico, infatti, di per se stessa l’idea di onnipotenza è contraddittoria: potenza totale, assoluta,

significa potenza che non è limitata da nulla, neppure dall’esistenza di qualcosa in generale, estraneo ad

essa e da essa distinto. La “potenza”, per mantenersi intatta nella propria assolutezza dovrebbe infatti

distruggere questa realtà estranea. Non ha, dunque, nessun oggetto su cui poter agire. Ma questo nega

la potenza nella sua stessa essenza: è potenza priva di potenza, che nega se stessa. In ottica logica,

dunque, in quanto “potenza” è un concetto di relazione, esige un rapporto con qualcosa che sia “altro”,

nel caso specifico necessita di una “resistenza”, poiché in caso contrario non è diversa dall’assoluta

mancanza di potenza. Ciò su cui agisce deve perciò avere una potenza propria, anche se derivante dalla

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