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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: La morte

Autore: Busi Gabriele

Descrizione: discuto i vari ambiti in cui si trova la morte da italiano ad astronomia...

Materie trattate: Latino,italiano,inglese,arte,astronomia

Area: umanistica

Sommario: Latino,Seneca,Epistola 61,Italiano,Giacomo Leopardi,Il Bruto minore,Inglese,James Joyce,The Dead,Arte,Jacques-Louis David,La morte di Marà t,Astronomia,la morte del sole

Estratto del documento

LA MORTE

“… non dobbiamo temere la morte perché quando c’è lei non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c’è lei”

-Lucrezio-

Tesina esame di Stato 2008/2009

Busi Gabriele

INDICE:

Latino: Seneca pag 2

Italiano: Leopardi pag 3

Inglese: The Dead pag 6

Arte: La morte di Maràt pag 7

Astronomia: Come muore una stella pag 9

Bibliografia pag 10

Prefazione:

Durante quest’ultimo anno scolastico e non solo ho avuto a che fare con molte tematiche ma

quella che mi ha particolarmente colpito è quella riguardante la morte, una presenza costante in

quasi ogni disciplina, questo fa intuire quanto sia vasto l’ argomento e, allo stesso tempo, quanto

sia complesso.

Innumerevoli sono stati i poeti, gli autori e gli artisti che hanno trattato l’ argomento; per dirne

alcuni: Giacomo Leopardi, Eugenio Montale, Lucio Anneo Seneca, Publio Cornelio Tacito, James

Joyce, Edgar Allan Poe, Samuel Taylor Coleridge, Jacques-Louis David, Fracisco Goya e molti altri.

Ho deciso di approfondire solo alcuni di questi autori ed artisti in quanto le loro teorie e la loro

capacità di elaborazione ed espressione del concetto mi ha particolarmente affascinato.

1

LATINO

Seneca

Uno dei più grandi scrittori Latini , Lucio Anneo Seneca (4a. C. - 65d. C. ), figlio di ricca famiglia,

colto e ottimo parlatore, fu l'educatore di Nerone e in tal veste poté esercitare grande influenza

sulla politica di Roma. Seneca si era prefisso un compito: quello di trasmettere a Nerone le sue

virtù per farne un modello di stoica saggezza. Ben presto capì che Nerone si era incamminato sulla

via dell' assolutismo monarchico, quindi nel 62d. C. abbandona la vita politica. Seneca in quegli

anni era deluso, poiché tutti gli obiettivi per i quali si era battuto non erano stati raggiunti e tale

malinconia lo ha fatto riflettere, tra le altre cose, sulla morte. Il problema del tempo e quello della

morte erano stati sempre presenti alla sua sensibilità. Aveva scritto che gli uomini perdono il loro

tempo in cose vane e si accorgono di quanto il tempo sia prezioso solo quando si vedono la morte

sul capo: "il saggio impegnerà bene il suo tempo se rifuggirà dal mescolarsi alla folla e coltiverà

quegli studi che elevano l'animo alla contemplazione delle cose divine e alla pratica delle virtù ".

Egli scrive anche che il prepararsi alla morte non implica la rinuncia al vivere e che è da stolti

temere la morte, poiché è la fine di ogni sofferenza per l'uomo. Anzi, dice, quando il saggio non

potrà più per l'ostilità dei tempi praticare la virtù, egli deve capire che è venuto il momento di

riacquistare la sua libertà con l'estremo atto del suicidio, che è pienamente in suo potere.

Il brano che mi ha fatto comprendere a pieno la visione della morte da parte di Seneca è:

”Aspettiamo la morte come convitati sazi”(Epistulae ad Lucilium 61); la lettera non parla della

morte in modo pessimistico bensì dice che bisogna accettarla senza rammarico. Secondo Seneca

vivere con la consapevolezza che un giorno dobbiamo morire serve a far vivere la vita in modo più

pieno, fino a che, in punto di morte, ci sembrerà di essere sazi di vita. Un altro punto cardine del

pensiero senecaiano è il rifiuto del suicidio, in visto come rinuncia ai doveri sociali.

2

ITALIANO

Giacomo Leopardi

Mi ha notevolmente colpito il pensiero di Giacomo Leopardi che, oltretutto, mi ha lasciato a bocca

aperta per la bellezza e la profondità di ogni suo elaborato; Caratteristico del poeta è l'essenzialità

del linguaggio che, con rapidissime immagini e sapienza ritmica e sintattica, crea brani di

straordinaria suggestione.

Una propria descrizione circa il linguaggio adottato nella poesia è annotata nello "Zibaldone": egli

scrive di adoperare "una lingua per i morti", ponendo l’accento sull'uso di parole arcaiche,

desuete, fuori dal loro contesto.

Per capire il pensiero di Leopardi bisogna essere a conoscenza della sua vita: nacque nel 1798 a

Recanati, piccolo paese delle Marche, che allora apparteneva allo stato pontificio. Suo padre, il

conte Monardo,era un uomo di cultura, ma molto conservatore, sua madre la marchesa Adelaide

Antici era una donna dal carattere rigido e dedicò tutte le sue energie a ricostruire il patrimonio

familiare al quanto dissestato.

Il piccolo Giacomo iniziò gli studi sotto la guida di due sacerdoti, ma ben presto, a soli 11 anni,

proseguì da solo gli studi avvalendosi della ricchissima biblioteca paterna.

Matura velocemente nel giovane Leopardi una nuova sensibilità che lo porta a lasciare gli studi

filologici e a convertirsi alla letteratura.

Intanto partecipa alla polemica tra i classicisti e i romantici. Conosce in seguito Pietro Giordani che

rappresenta per il giovane poeta una guida preziosa sia sul piano intellettuale che umano.

Man mano che passano gli anni il poeta sente l'insofferenza per l'atmosfera chiusa e arretrata del

suo ambiente familiare e tenta la fuga dalla casa paterna. Il fallimento di tale fuga,costituì un

motivo di profonda infelicità umana. 3

Il poeta nel momento in cui avverte la difficoltà e l'infelicità personale matura una forma di

pessimismo il quale viene definito pessimismo storico. Egli sostiene che la natura ha creato gli

uomini felici, mentre col progredire della civiltà la ragione li ha resi deboli e infelici, infatti, la

ragione distrugge i sogni e le illusioni.

L'uomo man mano che diventa adulto, aumenta la sua capacità di ragionare, distaccandosi dalla

condizione naturale della sua infanzia.

Nel novembre del 1822 Leopardi finalmente abbandonò Recanati e andò a Roma dallo zio Carlo

Antici. Il soggiorno romano, purtroppo, si rivelò una vera delusione. Torna a Recanati dove scrive

"LE OPERETTE MORALI".

Nel 1825 il poeta si trasferisce a Milano; nel '27 andò a Firenze dove conobbe Alessandro Manzoni.

Nel 1828 il poeta torna a Recanati e nel '30 conosce Antonio Ranieri,nobile napoletano con cui

strinse un'amicizia che durò sino alla morte. Vive ospite dall'amico Ranieri tra Napoli e Torre del

Greco, alle falde del Vesuvio. Qui morì nel1837 all'età di 39 anni.

Questa canzone, composta nel 1821, indica con chiarezza, assieme all'Ultimo canto di Saffo, come

ormai Leopardi si sia del tutto allontanato dalla convinzione, a lungo sostenuta in precedenza, che

nel mondo antico gli uomini avessero la possibilità di essere felici, possibilità venuta meno nel

mondo moderno. Siedi, Giove, a tutela? E quando esulta

Bruto minore

Poi che divelta, nella tracia polve Per l'aere il nembo, e quando

Giacque ruina immensa Il tuon rapido spingi,

L'italica virtute, onde alle valli Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi?

D'Esperia verde, e al tiberino lido,

Il calpestio de' barbari cavalli Preme il destino invitto e la ferrata

Prepara il fato, e dalle selve ignude Necessità gl'infermi

Cui l'Orsa algida preme, Schiavi di morte: e se a cessar non vale

A spezzar le romane inclite mura Gli oltraggi lor, de' necessarii danni

Chiama i gotici brandi; Si consola il plebeo. Men duro è il male

Sudato, e molle di fraterno sangue, Che riparo non ha? Dolor non sente

Bruto per l'atra notte in erma sede, Chi di speranza è nudo?

Fermo già di morir, gl'inesorandi Guerra mortale, eterna, o fato indegno,

Numi e l'averno accusa, Teco il prode guerreggia,

E di feroci note Di cedere inesperto; e la tiranna

Invan la sonnolenta aura percote. Tua destra, allor che vincitrice il grava,

Indomito scrollando si pompeggia,

Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Quando nell'alto lato

Dell'inquiete larve L'amaro ferro intride,

Son le tue scole, e ti si volge a tergo E maligno alle nere ombre sorride.

Il pentimento. A voi, marmorei numi

(Se numi avete in Flegetonte albergo Spiace agli Dei chi violento irrompe

O su le nubi), a voi ludibrio e scherno Nel Tartaro. Non fora

È la prole infelice Tanto valor ne' molli eterni petti.

A cui templi chiedeste, e frodolenta Forse i travagli nostri, e forse il cielo

Legge al mortale insulta. I casi acerbi e gl'infelici affetti

Dunque tanto i celesti odii commove Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?

La terrena pietà? Dunque degli empi 4

Non fra sciagure e colpe, Del servo italo nome,

Ma libera ne' boschi e pura etade Sotto barbaro piede

Natura a noi prescrisse, Rintronerà quella solinga sede.

Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra Ecco tra nudi sassi o in verde ramo

Sparse i regni beati empio costume, E la fera e l'augello,

E il viver macro ad altre leggi addisse; Del consueto obblio gravido il petto,

Quando gl'infausti giorni L'alta ruina ignora e le mutate

Virile alma ricusa, Sorti del mondo: e come prima il tetto

Riede natura, e il non suo dardo accusa? Rosseggerà del villanello industre,

Di colpa ignare e de' lor proprii danni Al mattutino canto

Le fortunate belve Quel desterà le valli, e per le balze

Serena adduce al non previsto passo Quella l'inferma plebe

La tarda età. Ma se spezzar la fronte Agiterà delle minori belve.

Ne' rudi tronchi, o da montano sasso Oh casi! Oh gener vano! Abbietta parte

Dare al vento precipiti le membra, Siam delle cose; e non le tinte glebe,

Lor suadesse affanno; Non gli ululati spechi

Al misero desio nulla contesa Turbò nostra sciagura,

Legge arcana farebbe Né scolorò le stelle umana cura.

O tenebroso ingegno. A voi, fra quante Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi

Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte, Regi, o la terra indegna,

Figli di Prometeo, la vita increbbe; E non la notte moribondo appello;

A voi le morte ripe, Non te, dell'atra morte ultimo raggio,

Se il fato ignavo pende, Conscia futura età. Sdegnoso avello

Soli, o miseri, a voi Giove contende. Placàr singulti, ornàr parole e doni

E tu dal mar cui nostro sangue irriga, Di vil caterva? In peggio

Candida luna, sorgi, Precipitano i tempi; e mal s'affida

E l'inquieta notte e la funesta A putridi nepoti

All'ausonio valor campagna esplori. L'onor d'egregie menti e la suprema

Cognati petti il vincitor calpesta, De' miseri vendetta. A me dintorno

Fremono i poggi, dalle somme vette Le penne il bruno augello avido roti;

Roma antica ruina; Prema la fera, e il nembo

Tu sì placida sei? Tu la nascente Tratti l'ignota spoglia;

Lavinia prole, e gli anni E l'aura il nome e la memoria accoglia.

Lieti vedesti, e i memorandi allori;

E tu su l'alpe l'immutato raggio

Tacita verserai quando ne' danni

Bruto, uno dei congiurati che uccisero Giulio Cesare, è rappresentato subito dopo la sconfitta di

Filippi. Sconfitto, deluso, siede solitario nell’atra notte, sudato e bagnato da sangue fraterno,

“fermo già di morir”. Ha già preso la sua decisione, probabilmente dopo aver meditato a lungo sul

senso o non senso della propria vita. Ora accusa gli dèi immortali, “marmorei numi”, insensibili alla

condizione degli uomini, con feroci parole. Per loro, infatti, la “prole infelice” degli uomini è

“lubrido e scherno” e gli uomini sono “infermi schiavi della morte” schiacciati da un destino cui

non possono sottrarsi. L’unico scopo della vita è la morte.

5

La morte è un argomento talmente universale che ha sempre avuto un ruolo fondamentale in

tutte le culture, ad esempio per quel che riguarda quella inglese, ho esaminato testi di Coleridge e

di Joice.

INGLESE

The Dead

Author: James Joyce ( 1882-1941) Introduction:

Joyce was the most prominent writer of English prose in

the first half of the twentieth century. Many critics

maintain that his verbal facility equaled that of William

Shakespeare or John Milton, and his virtuoso

experiments in prose redefined the limits of language

and the form of the modern novel. "The Dead," the final

and longest story of his collection Dubliners, is

considered one of the most beautifully executed

stories in the English language.

Plot:

"The Dead" takes places on the religious feast of Epiphany, at the holiday party of Julia and Kate

Morkan, the spinster aunts of Gabriel Conroy. Gabriel, a teacher and literary reviewer, favors

continental culture to that of his native Ireland, and thus arrives at the party with an attitude of

disdain for the provinciality of his aunts and their guests, although he keeps his thoughts largely to

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