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Introduzione Vivere la morte: bioetica, eutaniasia e dignità della morte, tesina
La seguente tesina maturità per liceo classico tratta un argomento di rilevante importanza: l'eutanasia. I collegamenti presenti in questa tesina classica sono i seguenti:
Filosofia: Bioetica e Imperativo categorico kantiano
Latino: Seneca, lettera LXX, dalle lettere a Lucilio
Italiano: G. Leopardi
Storia: “Eutanasia sociale” nazista
Inglese: Social Darwinism
Istituto di Istruzione superiore G. Mazzini
Esami di stato 2016
Alunna: Sara Piccione
Classe: V A sez. classica
Vivere la morte
Bioetica, eutanasia e dignità della morte
Materie coinvolte:
- Filosofia: Bioetica e Imperativo categorico kantiano
- Latino: Seneca, lettera LXX, dalle lettere a Lucilio
- Italiano: G. Leopardi
- Storia: “Eutanasia sociale” nazista
- Inglese: Social Darwinism
Bioetica e imperativo categorico kantiano
La bioetica è una disciplina che applica la riflessione etica alla scienza ed alla
biomedicina, prevede dunque l'interazione dell'etica con le scienze, con lo
scopo di affrontare e valutare anche a livello morale alcuni processi medici,
quali il trapianto di organi, l’aborto, l'eutanasia, la fecondazione artificiale, e
tanti altri. La ricerca scientifica senza dubbio migliora la qualità di vita
dell'uomo, traccia un cammino fatto di conquiste verso la cura delle malattie più
insidiose, insegna agli individui come curarsi e come concepire la propria
salute. Ma quando la scienza accompagna l'uomo sul ciglio della propria
esistenza, dove deve fermarsi?
La coniazione del termine bioetica è attribuita a Fritz Jahr, che prendendo
spunto dall'imperativo categorico kantiano, parlò di «imperativo bioetico»,
secondo il quale tutti gli esseri viventi hanno diritto al rispetto e devono essere
trattati non come mezzi, ma come fine in sé stessi, quindi possiamo
considerare la bioetica di derivazione kantiana. Kant ci presenta il concetto di
imperativo nella “Critica della ragion pratica”: l’imperativo è una prescrizione di
valore oggettivo, ovvero che vale per chiunque. Gli imperativi si dividono a loro
volta in imperativi ipotetici, che prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini
e hanno la forma del “se… devi”; e in imperativi categorici, che invece pongono
il dovere in modo incondizionato, ossia a prescindere da qualsiasi scopo, e ha
la forma del “devi” puro e semplice. Ovviamente solo l’imperativo categorico,
che ordina un devi assoluto, e quindi universale e necessario, ha in se i
contrassegni dell’etica e della moralità. La formula base dell’imperativo
categorico è: agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre
valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale, in
sostanza ci prescrive di agire secondo una massima che può valere per tutti e
di tener sempre presenti gli altri. Nella “Fondazione della metafisica e dei
costumi” troviamo proprio la formula che si aggancia alla definizione di
Bioetica che afferma: “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua
persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai come semplice
mezzo”. Kant ci invita quindi a rispettare la dignità umana che è in noi e negli
altri, evitando di ridurre il prossimo o noi stessi a semplice mezzo del nostro
egoismo e delle nostre passioni. Abbiamo anche una terza formula alla base
dell’imperativo categorico che ci prescrive di agire in modo tale che: “la volontà
possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente
legislatrice”. Questa formula sottolinea in modo particolare l’autonomia della
volontà, chiarendo che il comando morale non è un imperativo esterno e
schiavizzante, ma il frutto spontaneo della volontà razionale, la quale fa sì che
noi sottomettendoci ad essa, non facciamo che obbedire a noi stessi.
L’eutanasia
L’eutanasia è sicuramente uno dei temi più “scottanti” della bioetica,
letteralmente secondo l’etimologia greca, il termine significa “buona morte” (da
ὐ ὔ
ε θανασία, composta da ε -, bene e θάνατος, morte). Essa consiste nell’atto
con cui si aiuta a concludere la vita di un’altra persona, affetta da un male
incurabile, allo scopo di evitarle inutili sofferenze. Le motivazioni che spingono i
malati a richiedere la morte sono varie: il dolore, la depressione, la perdita della
speranza, la percezione di aver perso la propria dignità, di non avere il controllo
sulla propria vita e la possibilità di decisione, il sentire di essere un peso per gli
altri. Negli ultimi anni il problema sollevato dall’eutanasia ha ricevuto un grande
interesse mediatico, ed è tuttora oggetto di vivaci discussioni, sia da parte dei
soggetti politici e religiosi che nell’ambito del mondo scientifico. Infatti, i
progressi raggiunti ormai dalle tecnologie mediche consentono di prolungare
artificialmente la vita delle persone affette da malattie incurabili. Il problema è
che, posticipando il momento della morte naturale, spesso l’uso di queste
tecniche sortisce l’effetto di procurare solo nuove sofferenze ai malati, anche
quando essi non hanno più alcuna speranza di guarigione. Di fronte a questa
prospettiva, ci si è chiesti se, in tali circostanze, non sia invece doveroso
aiutare il malato a concludere dignitosamente la propria esistenza,
risparmiandogli perciò inutili sofferenze.
Il dibattito:
Questo tema così delicato ha creato un dibattito tra etica laica ed etica
religiosa. Dal punto di vista della religione cattolica, la vita è un dono di Dio, da
cui l’affermazione della “sacralità” della vita, e solo lui come ci ha dato la vita
può anche togliercela Quindi se la vita non dipende da un atto di volontà
dell'uomo, neppure il porvi termine dovrà dipendere dalla sua volontà. Quindi
mentre dal punto di vista religioso si tende a difendere a tutti i costi la vita, e
quindi a dare un senso alla morte, dal punto di vista laico si tende a difendere a
tutti i costi la qualità della vita, anche a costo di procurare la morte.
Ritengo sia difficile affermare che la vita di un malato terminale sia nelle mano
di Dio, e non in mano dell’uomo. E’ dell’uomo tutta la responsabilità della sua
vita. E ritengo che la libertà di scelta dell’individuo sia un bene assoluto e,
come afferma l’art. 13 della nostra Costituzione essa è inviolabile . La vita è di
chi la vive ed è un diritto, non un obbligo.
Chi sceglie l’eutanasia non sceglie di morire per disperazione, ma di vivere
dignitosamente fino all’ultimo respiro.
E’ grazie ai casi emblematici di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro che il
dibattito attorno all’eutanasia si è acceso e alimentato. Il primo affetto da una
malattia neurologica degenerativa, la seconda sopravvissuta ad un terribile
incidente stradale che la ridusse però a vivere in “stato vegetativo”. Due casi
molto diversi, accomunati dal desiderio di morire dignitosamente.
La dignità che Piergiorgio Welby, ha dimostrato nella sua lettera aperta al
presidente Napolitano, in cui chiede di legittimare l’eutanasia, è enorme. È
enorme il suo amore per la vita. Non lontano da noi, a Ragusa il caso di Sara Di
Natale, ragazza avvelenata da solfiti contenuti nella carne e relegata anche lei in
“stato vegetativo , è molto simile a quelli citati sopra. Il padre della ragazza
dichiarò che “la vita artificiale è molto peggio della morte, la medicina ha creato
una nuova vita, chiamata proprio ‘stato vegetativo’. Se la figlia avesse lasciato un
testamento biologico sicuramente il padre avrebbe fatto rispettare a tutti i costi la
sua volontà e Sara non avrebbe vissuto una vita artificiale, orrenda e così poco
dignitosa”. Latino: Seneca, lettera LXX, dalle lettere a Lucilio
“La vita, come sai, non sempre merita di essere conservata. Non è un bene vivere, ma vivere
bene. Perciò il sapiente vivrà quanto tempo deve vivere, non quanto può. Vedrà lui dove dovrà
vivere, con chi, in che modo e facendo che cosa. Egli pensa sempre quale sarà la vita, non
quanto essa debba durare. Se gli occorrono molte disgrazie e questioni che turbano la sua
serenità, egli se ne va […]
E considero anche molto vili le parole di quel tale [...] che, richiuso in una gabbia per ordine di
un tiranno e nutrito come una bestia, a chi gli consigliava di rifiutare il cibo, rispose "finché c'è
vita c'è speranza". Anche se questo fosse vero, non bisogna comprarsi la vita a qualsiasi prezzo
[...] Dovrei pensare che tutto la fortuna può in chi è in vita anziché pensare che nulla essa può
in chi sa morire?
La legge eterna non ha fatto niente di meglio di questo: ci ha dato un solo modo per entrare
nella vita ma molte possibilità di uscirne. Dovrei aspettare la crudeltà di una malattia o di un
uomo quando posso andarmene sfuggendo ai tormenti e alle avversità?
Questo è l'unico motivo per cui non possiamo lagnarci della vita: essa non trattiene nessuno
[…] Nessuno di noi pensa che, prima o poi, deve abbandonare questo domicilio: siamo come
vecchi inquilini, trattenuti dall'affetto del luogo familiare e dalla forza dell'abitudine.
[…] Uomini di umilissima origine, con grande slancio, si sono liberati dalla schiavitù del corpo e
quando non gli fu possibile di morire a loro agio, né di scegliere gli strumenti per la loro morte,
hanno preso tutto quello che gli è capitato sotto le mani e, usando con violenza oggetti
inoffensivi, li hanno fatti delle armi […] Privi di ogni mezzo, si trova l'arma per darsi la morte,
perché sappiamo che, quando si tratta di morire, nulla può trattenerci se non la volontà.”
A mio avviso se Seneca fosse nato nei giorni nostri, sarebbe stato un grande
sostenitore dell’eutanasia. Possiamo notarlo nelle “Epistole a Lucilio”, in cui
Seneca, seguace dello stoicismo, ci offre la sua visione della vita e dell’uomo;
egli si presenta come un consigliere e un maestro nei confronti del giovane
Lucilio, per aiutarlo a raggiungere la sapienza e per determinare nello stesso
tempo anche la crescita morale del lettore. In particolare nella “lettera LXX a
Lucilio” emerge la concezione del filosofo riguardo il suicidio che possiamo
collegare bene al concetto di eutanasia dei nostri giorni: Seneca non solo
accetta il suicidio, ma lo considera addirittura una forma di liberazione in tutti
quei casi in cui l’uomo è turbato da eventi negativi. Ci sono situazioni dove la
vita diventa una prigione, come nel caso di malattie inguaribili e terminali,
secondo Seneca l’unico modo in cui l’uomo può liberarsi è togliendosi la vita,
infatti non conta vivere a lungo in condizioni pessime ma vivere bene. Inoltre
non si deve avere paura della