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Tesina - Premio maturità 2008
Titolo: La matematica e il linguaggio: il problema della c
Autore: Fabio Bergamelli
Descrizione: nel mio progetto affronto i problemi che la matematica si trovò ad affrontare ad inizio secolo relativamente alla completezza della stessa disciplina, presentando tre diversi percorsi e le loro relative conseguenze.
Materie trattate: matematica, filosofia
Area: scientifica
Sommario: Studiare la storia della matematica sembra essere una disciplina completamente diversa dal sapere, quasi tecnico, per cui questa materia si caratterizza. La prima infatti si contraddistingue per studiare soprattutto i contesti culturali in cui si colloca l'evoluzione di questa disciplina, apparendo quindi anche opinabile. La seconda invece ha un taglio più specialistico e per questo appare meno fallibile, appunto più "matematica". In realtà tra queste due materie si riscontra un particolare rapporto di forza, che porta a subordinare la seconda alla prima. Questo legame evidenzia la stretta vicinanza, e spesso anche compenetrazione, esistente tra la matematica e la filosofia. Come in questa mia breve trattazione cercherò di evidenziare, i problemi di una disciplina diventano anche i problemi dell'altra. Dopo avere definito la struttura (o per meglio dire la sintassi) che caratterizza questo mio progetto si tratta ora di esporne il contenuto. Il periodo storico scelto è quello che va dalla fine dell'Ottocento agli anni '30 del Novecento, un lasso di tempo in cui la matematica si è evoluta in modo consistente. Il problema centrale attorno a cui verte questo sviluppo è quello della certezza che dovrebbe caratterizzare la disciplina. Con la scoperta delle geometrie non euclidee infatti venne anche meno la validità del criterio di evidenza su cui potere fondare la verità e la coerenza della geometria, così come dell'aritmetica. Nei vari tentativi che si fecero per ovviare a questo problema tre furono le vie sperimentate, che corrispondono ad altrettante "scuole": il logicismo, il formalismo e l'intuizionismo. Paradossalmente tutte e tre però fallirono. Il fine di questo progetto si lega proprio a questi risultati e al suo artefice, Kurt Gödel, grazie al quale la matematica, non potendo determinare dall'interno la propria coerenza, può affermare con certezza soltanto i propri limiti. Un risultato che si unisce anche all'opera di Ludwig Wittgenstein, di cui costituisce una profonda critica: il suo fine era quello di purificare il linguaggio eliminandone gli asserti contraddittori e insensati e dandogli una forte armatura logica. Il fallimento di questo progetto è forse uno dei risultati più fecondi della matematica del Novecento. La crisi dell'intuizione La scoperta delle geometrie non euclidee (Gauss, LobaÄÂevskij e Bolyaj) aveva determinato una messa in discussione dell'intera matematica, che si fondava proprio sulla geometria. Come Kant stesso aveva scritto nella Critica della ragion pura la geometria euclidea era a priori alla pari dei numeri naturali, perché direttamente derivati dai concetti di spazio e tempo, anch'essi posti a priori. In queste convinzioni si faceva derivare la verità , quindi anche la coerenza dell'intera disciplina, soltanto sull'evidenza degli assiomi. Con il venir meno di questo criterio, rimaneva però inalterato l'obiettivo di dare comunque alla matematica coerenza e l'unica disciplina che poteva prendere il posto della geometria era l'aritmetica. Chiaramente la struttura fondamentale della matematica sarebbe stata costituita da assiomi scelti in modo arbitrario, purché non contraddittorio. Ma il tentativo di assolvere a questo problema avrebbe rivelato molte difficoltà .
Discorsi sull’infinito
La domanda fondamentale che a questo punto si pone è relativa alla “quantità” dei numeri razionali in relazione agli
altri. Una prima dimostrazione del genere la si può riscontrare in Duns Scoto, che aveva cercato di dimostrare come le
circonferenze non fossero costituite da punti perché altrimenti tutte ne avrebbero la stessa quantità. Infatti si può
realizzare una corrispondenza biunivoca tra i punti di una circonferenza e quelli di un’altra concentrica.
Un altro esempio è quello della dimostrazione, data da Galileo, che esistono tanti numeri
pari quanti dispari e quanti quadrati. Paradossalmente quindi viene a cessare uno degli
assiomi euclidei, l’ottavo, che afferma che “la parte è minore del tutto”. Il problema
eventualmente stava nella correttezza nell’applicare le stesse proprietà del finito all’infinito
(“illusione naturale della ragione” kantiana). Nel 1816 John Farey mostrò come i numeri
razionali potessero essere messi in corrispondenza biunivoca con i numeri naturali
orinandoli nel modo seguente: 1/1 1/2, 2/1 1/3, 2/2, 3/1 1/4, 2/3, 3/2, 4/1 …
Un altro modo per ordinarli è quello di realizzare una tabella in cui i margini di riga e colonna siano numeri naturali e i
vari valori inseriti nella tabella siano ottenuti facendo il rapporto tra intestazione di riga e quella di colonna. I numeri
così ottenuti vengono ordinati tramite una linea diagonale serpeggiante, tenendo conto che devono essere eliminati i
numeri che vengono ripetuti. Il risultato evidente è che esistono tanti numeri interi quanti numeri razionali, quanti
numeri naturali. Diverso è il discorso per i numeri irrazionali, che sono caratterizzati da un infinito “più grande” di
quello dei numeri razionali. La dimostrazione che prova questa affermazione fu data da Cantor con il famoso
Si procede in questo modo: si scriva una lista di numeri a caso compresi tra 0 e 1;
argomento diagonale.
indipendentemente dalla lunghezza di questo elenco esiste sempre almeno un valore che non è stato considerato, e lo si
ottiene (considerando che i numeri tra 0 e 1 siano in ordine crescente) scrivendo un numero che ha la prima cifra
decimale diversa dalla prima cifra decimale del primo numero della serie, la seconda cifra decimale diversa dalla
seconda cifra decimale del secondo numero e così via. E’ un numero che non appartiene alla lista perché ha almeno una
cifra diversa da tutti quelli contenuti. Quindi ne deriva che i numeri reali non sono numerabili, non esiste una
corrispondenza biunivoca con i numeri naturali. Tuttavia considerando i numeri irrazionali algebrici è possibile creare
una corrispondenza biunivoca con i numeri naturali, in quanto essi sono legati ad una terna di coefficienti, quelli
dell’equazione algebrica di cui sono soluzione. Quindi ne deriva che sono solo i numeri irrazionali trascendenti a non
א quella dei
essere numerabili. Nel tentativo di indicare la cardinalità dei diversi insiemi numerici, Cantor definì con 0
א א א , א ,
numeri naturali. è poi solo il primo della successione dei numeri transfiniti … che sono collegati alle
0 0 1 2
diverse versioni di infinito. A tal proposito Cantor formulò quella che poi fu definita secondo la
ipotesi del continuo,
א , il transfinito immediatamente successivo a quello che indica la cardinalità dei
quale la cardinalità dei numeri reali è 1
numeri naturali (che poi Paul Cohen, dimostrò essere indecidibile) (a tal proposito anche Giordano Bruno aveva
indicato l’esistenza di due diverse infinità, ne immaginando di allontanarsi dalla Terra e di
La cena delle ceneri
continuare a vederla, all’infinito la vedrebbe soltanto per metà, andando oltre l’infinito immagina invece di poterla
vedere tutta, coprendo anche l’altra metà nascosta). Le conseguenze di questa trattazione indicano che i punti su un
segmento sono innumerabili (come i numeri reali), e si ha sempre la stessa innumerabilità indipendentemente dalla
lunghezza del segmento considerato. Lo stesso numero di punti è anche contenuto in un quadrato di lato qualunque così
come in un cubo con spigolo qualunque, appunto perché è possibile creare una corrispondenza biunivoca tra i punti di
uno e i punti di un altro.
Il programma del logicismo
Dopo avere definito i diversi insiemi numerici e le loro cardinalità si tratta ora di considerare la definizione stessa di
numero, che sta alla base del ragionamento precedente. La base sicuramente è data dalla teoria degli insiemi di Cantor
che venne poi ripresa da Peano e Frege. Il primo cercò di assiomatizzare l’aritmetica con soli cinque enunciati:
Zero è un numero.
• Il successore di un numero è un numero.
• Zero non è il successore di alcun numero.
• Due numeri, i cui successori siano uguali, sono anch’essi uguali.
• Se un insieme N di numeri contiene zero e contiene anche il successore di ogni numero contenuto in N, allora ogni
• numero è contenuto in N.
L’ultimo asserto costituisce il principio di induzione matematica, applicato ad una particolare proprietà: “x appartiene a
N”. I limiti di questi assiomi sono legati al fatto che Peano si proponeva di caratterizzare univocamente i numeri
naturali, ma come Bertrand Russell notò è possibile ottenere una qualsiasi successioni di numeri dagli stessi assiomi
sostituendo per esempio allo zero un qualsiasi altro numero, così come a “a+1 successore di a”, “a+2 successore di a”.
Quindi se un problema sta nel non avere definito cosa si intenda per successore di un numero, un altro limite sta nel non
avere definito il numero stesso. Questi due problemi sarebbero poi stati risolti da Gottlob Frege sfruttando la teoria degli
insiemi di Cantor, poi raffinata da Zermelo e Fraenkel. Il cardine della sua trattazione è il concetto di estensione di una
proprietà, che è l’insieme di tutti gli oggetti che godono della stessa. Inoltre sono equipotenti gli insiemi che hanno la
stessa cardinalità. Così Frege puntava a definire i numeri naturali:
0 è la cardinalità dell’insieme vuoto, estensione della proprietà “x diverso da x”.
• 3 - 9
1 è la cardinalità dell’insieme costituito dall’insieme 0.
• 2 è la cardinalità dell’insieme costituito dagli insiemi 0 e 1.
•
In questo modo tutti i numeri naturali vengono definiti sulla base della teoria insiemistica. Un altro aspetto rilevante
emerge: l’insieme è definito come estensione di una proprietà, quindi è collegato alla logica. La convinzione di Frege a
questo punto era quella di ridurre l’aritmetica proprio alla logica, come emerge in (“Ideografia”), in cui si
Begriffschrift
proponeva una formalizzazione del linguaggio imitando quello aritmetico e rifacendosi alla characteristica universalis
di Leibniz. Frege quindi credeva di potere costruire la teoria degli insiemi sulla base della logica, a sua volta l’aritmetica
sulla teoria degli insiemi e la teoria dei numeri sull’aritmetica: quindi la matematica sulla logica. Tuttavia fu questo un
risultato tutt’altro che raggiunto. Frege si era infatti illuso di potere ricondurre la complessità dell’aritmetica ad una
logica più ampia di quella aristotelica, basata sull’utilizzo di soggetti multipli (un po’ come il superamento dell’ars
con l’ars La crisi del suo programma fu evidente poco prima della pubblicazione, nel 1902, del
iudicandi inveniendi).
secondo volume del ovvero “i principi dell’aritmetica”, in una lettera che Bertrand
Die Grundgesetze der Arithmetik,
Russell inviò proprio a Frege. Nella lettera Russell diede una delle tante formulazioni equivalenti del paradosso che
porta il suo nome; la sua forza fu tale da abbattere l’intero programma fregeano. Nella lettera Russell parla di:
Sia ω il predicato: essere un predicato che non può essere predicato di se stesso.
Può ω essere predicato di se stesso?
Paradosso che può essere anche spiegato in questo modo: si consideri un aggettivo, esso può essere autologico se si
applica a se stesso (es. “astratto” è astratto), eterologico se non si applica a se stesso. Allora che tipo si aggettivo è
“eterologico”? Non può essere autologico perché si applicherebbe a se stesso, ma non può neppure essere eterologico,
perché altrimenti si applicherebbe a se stesso. A livello insiemistico invece questo paradosso si esprime come: l’insieme
degli insiemi che non appartengono a se stessi, appartiene a se stesso? Anche in questo caso non è risolvibile, perché se
l’insieme appartiene a se stesso allora non dovrebbe appartenere a se stesso per definizione, se invece non appartenesse
a se stesso dovrebbe appartenere a se stesso sempre per la sua definizione. Questo paradosso ha anche le sue versioni
divertenti, come nel caso del paradosso del barbiere: una comunità ha un solo barbiere, che rade gli uomini che non
riescono a farsi la barba da soli, il problema si pone se ci chiediamo: chi fa la barba al barbiere? Lo sviluppo del
paradosso è esattamente identico alle altre versioni prima affrontate.
Al di là delle versioni divertenti di questo asserto, la sua forza è però tale da avere messo in crisi l’intero logicismo.
Infatti se partendo da assiomi prestabiliti, come quelli dell’insiemistica, si raggiungono contraddizioni, è un teorema
della logica che tutti gli enunciati del sistema sono teoremi. Infatti, si parte dal teorema:
( )
p p q
⊃ ⊃
p implica che non-p implica q
Infatti se dagli assiomi si deriva una contraddizione, nel caso specifico p e non-p, allora il teorema si riduce a q, dato
che p e non-p sono validi. Q è valido allora indipendentemente dal suo enunciato. Russell, nonostante le profonde
critiche portate alla teoria fregeana, non si allontanò per nulla dal programma logicista, tanto che i suoi testi redatti ad
inizio Novecento si collocano nel solco di quelli di Frege. L’unica differenza sta nel fatto che Russell puntava a
superare la sua stessa antinomia. La soluzione che credeva di avere trovato è nota come e venne formulata
teoria dei tipi
nei insieme a Whitehead. Questa teoria crea una gerarchia tra i diversi elementi logici, per cui
Principia Mathematica
un insieme può contenere soltanto elementi di ordine inferiore e si evita l’autoreferenzialità che è alla base del
paradosso russelliano. Più che risolvere problemi però questa teoria ne crea di nuovi. Anzitutto non era in grado di
affrontare altri paradossi come quello di Berry:
Si considerino tutte le frasi che definiscono numeri interi positivi e
sia K l’insieme costituito dalle frasi che con meno (per esempio) di 50 parole definiscono i numeri naturali.
Tale insieme è finito e possiamo individuare il più grande dei numeri interi in esso definito, che indichiamo con b.
Allora esiste l’enunciato:
b+1 è il successore del numero più grande definibile con una frase di 50 parole al massimo.
Questa è una frase di 17 parole e quindi anch’essa dovrebbe appartenere a K.
Russell dovette risolvere questo paradosso ricorrendo alla teoria ramificata dei tipi, che però aveva la caratteristica di
essere una ipotesi Le sue debolezze sono legate al fatto che non sia possibile dire che ogni numero naturale ha
ad hoc.
un successore, né che esiste una infinità di numeri naturali (in questo modo si ovviava al paradosso di Berry). Per
questo era necessario introdurre l’assioma (che afferma che l’infinito esiste), l’assioma per
dell’infinito di riducibilità
definire i numeri naturali. Forse il più complesso è però l’assioma che afferma che data una famiglia di
di scelta,
insiemi non vuoti e tra loro disgiunti è possibile creare un nuovo insieme prendendo un elemento da ciascuno degli
insiemi di partenza. La paradossale neutralità di questo assioma viene presto abbandonata quando si considerano le sue
conseguenze con gli insiemi infiniti. Infatti, considerando l’insieme degli infiniti numeri reali compresi tra 0 e 1, quello
dei numeri reali compresi tra 1 e 2, e così via, non è possibile scrivere alcun insieme in quanto i suoi elementi sono