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Tesina - Premio maturità 2008
Titolo: La magia. il ramo d'oro
Autore: Luca Porcella
Descrizione: tesina interdisciplinare sulla magia e sulle sue interpretazioni dalle società più antiche al nazismo.
Materie trattate: latino, greco, filosofia, storia, italiano, scienze
Area: umanistica
Sommario: La magia è una tematica generalmente poco considerata, se non addirittura ignorata e ritenuta degna solo di studi a carattere fantasioso o, in ogni caso, non scientifico; tutto ciò che ha attinenza con essa gode di scarsa considerazione a livello di approfondimento letterario, storico o filosofico dal momento che, il più delle volte, questo argomento è catalogato semplicemente come una forma di superstizione o di "favola". La presente trattazione si pone l'obiettivo di mettere in luce l'importanza che la magia, nelle sue varie forme, ha assunto nel corso dei secoli, a partire dagli albori della civiltà (basti pensare ai riti cui fanno riferimento le pitture rupestri di Lascaux in Francia) per giungere fino all'età contemporanea, con le teorie, sempre più diffuse e seguite, di presunte influenze esoteriche all'interno del regime nazista, tanto rilevanti da condizionare, secondo alcuni storici, e in particolare Giorgio Galli, Hitler nelle sue scelte durante la guerra. Sarà , inoltre, fondamentale prendere in esame questa tematica attraverso gli scritti di grandi autori classici, sia latini sia greci, a testimonianza di quanto il mondo antico fosse sensibile di fronte alle pratiche magiche, e di quanto anche i più grandi letterati fossero avvezzi a narrazioni di eventi soprannaturali, inspiegabili, contrari a una razionalità che già in età classica si imponeva come il modello di pensiero e di comportamento dominante. D'altra parte, già Nietzsche, nella sua "Nascita della tragedia", mise in luce l'originario spirito dionisiaco che dominava la vita dei Greci, mostrando come la prevalenza del momento apollineo - razionale - non rispecchi la vera essenza del mondo classico. É semplice, in base a quanto appena affermato, istituire un parallelo con la società odierna: anche oggi l'interpretazione del reale è rigidamente improntata a una severa forma di razionalità che tende a escludere, dall'ambito della vita, ogni forma di "evasione" che si riveli inaccettabile a livello scientifico. Basti pensare, in materia religiosa, all'enorme difficoltà nel riconoscere e attestare un miracolo, tanto che a Lourdes è presente un vero e proprio "notaio dei miracoli". Ovviamente, le diffidenze si fanno sempre più insormontabili se, dal campo della religione, ci si sposta in quello del sovrannaturale pagano della magia, intesa in ogni sua forma; questo studio, tuttavia, non si propone di essere un'apologia della magia né di esortare nessuno a credere in essa,
18
tranne il cane e l'uomo e lo fanno con grande impegno eliminando indistintamente
formiche e serpenti e altri animali terrestri o volatili. Ma lasciamo pure questa
17
usanza come stava quando ebbe origine e riprendiamo il filo del nostro racconto.
16F
In seguito, mentre si apprestava a partire, Serse ebbe nel sonno una terza
visione: i Magi, uditala, la interpretarono come indizio di una futura sottomissione
del mondo intero e di tutte le genti. La visione era questa: Serse sognò di essere
incoronato con una fronda di olivo; e dall’olivo i rami ricoprivano tutta la terra, poi
la corona poggiata sulla sua testa scompariva. Quando i Magi l’ebbero interpretata
così, subito ognuno dei Persiani convenuti a corte partì per la propria giurisdizione;
e si impegnavano col massimo zelo, secondo gli ordini ricevuti, ciascuno
18
desiderando ottenere i premi fissati. 17F
Nella cultura greca immediatamente successiva, però, il termine “mago” perde
ogni valenza positiva, e passa a designare non più un sacerdote, ma una figura ambigua
e sospetta, spesso un predicatore di religioni orientali. Il μάγος è chi, vagando di città in
città, pratica riti di magia nera, in grado di nuocere ai nemici, dietro compenso; egli
viveva ai margini della società civile, disprezzato e allo stesso tempo temuto dalla
collettività. La testimonianza più autorevole è fornita da Platone, nella “Repubblica” e
nelle “Leggi”:
Ciarlatani e indovini si presentano alle porte dei ricchi e li convincono che
con sacrifici e incantesimi hanno ottenuto dagli dei il potere di rimediare con
giochi e feste all’eventuale ingiustizia di uno, l’abbia commessa lui in persona o
uno dei suoi antenati; e che se uno vuol fare del male a un nemico, potrà con poca
spesa nuocere al giusto come all’ingiusto a mezzo di determinate evocazioni e
19
magici legami, perché, dicono, persuadono gli dei a servirli. 18F
Dato che tre sono le cause che danno luogo all'empietà, delle quali anche
prima abbiamo parlato, e poiché da ciascuna di esse ne scaturiscono due, diventano
sei i generi di coloro che commettono mancanze nei confronti del divino, e
meritano una distinzione, dal momento che non richiedono pene uguali, né simili.
Vi è chi non crede assolutamente all'esistenza degli dèi, ma aderisce per natura ad
un costume di vista giusto; costui insieme ad altri detesta i malvagi, e poiché
disapprova l'ingiustizia, non vuole compiere azioni ingiuste, ed evita gli uomini che
non sono giusti, mentre predilige quelli giusti. Vi sono poi quelli che, oltre
all'opinione che tutto sia desolatamente privo di dèi, cadono nell'intemperanza di
piaceri e di dolori, e possiedono buona memoria e acute capacità di apprendere. In
ambedue i generi di persone è presente la comune disgrazia di non credere
all'esistenza degli dèi, ma i primi recano un danno limitato agli altri uomini, mentre
i secondi causano mali maggiori. Il primo infatti parlerà assai liberamente degli dèi,
dei sacrifici, e dei giuramenti, e suscitando il riso degli altri, forse li renderebbe
come lui, se non intervenisse la pena; il secondo, che ha la stessa opinione del
primo, è considerato uomo abile e pieno di astuzie e di insidie: da questo genere di
persone viene fuori tutta una serie di indovini e di gente che si muove intorno alla
magia, e talvolta nascono anche tiranni, e demagoghi, e strateghi, cospiratori che
tramano insidie con riti celebrati in privato, e altri ingannevoli espedienti dei
20
cosiddetti sofisti. 19F
140.
ivi,
17 E , VII, 19.
Storie
18 RODOTO
P , IX, 364b.
Repubblica
19 LATONE
P , 124.
Leggi X,
20 LATONE 19
È significativo che il termine destinato a soppiantare gradualmente ma
definitivamente il lessico tradizionale per designare le pratiche magiche e chi le
praticava derivi dal mondo persiano: in quel periodo, infatti, i Persiani non solo erano
degli stranieri (ed è caratteristico di varie culture il processo di considerare “magici”
quegli aspetti di religioni straniere che appaiano strani e poco comprensibili, aspetto
21
analizzato anche da Mauss e Hubert ) ma erano soprattutto i nemici per eccellenza del
20F
popolo greco. In alcuni casi, tuttavia, il termine assume anche delle connotazioni
positive, grazie all’alta considerazione che i Greci dimostravano nei confronti della
sapienza dei sacerdoti Persiani.
In ogni caso, è un dato di fatto che la magia sia condannata dalla cultura greca:
lo testimonia, ad esempio, il fatto che in alcune città esistevano apposite leggi contro gli
stregoni. Nel “Menone”, il protagonista dice a Socrate: «Mi sembra che tu abbia fatto
benissimo a non volerti mettere in mare e a non voler viaggiare fuori di qui, perché se
da straniero in straniera città ti comportassi in questo modo, subito ti arresterebbero
22
come ammaliatore» . Nelle “Leggi”, Platone propone quindi di introdurre dei severi
21F
castighi per coloro che «selvaggi come fiere, oltre al non credere negli dei o al ritenerli
negligenti o corruttibili, con il loro disprezzo degli uomini si impadroniscono dell'anima
di molti di quelli che vivono e si vantano di saper evocare i morti e promettono di
persuadere gli dei allettandoli ciarlatanescamente con sacrifici, preghiere e scongiuri e
intraprendono a scardinare dalle fondamenta individui, famiglie intere e stati per avidità
23 .
di ricchezza» 22F
La ragione per cui tali pratiche debbano essere punite risulta quindi chiara: lo
stregone è pericoloso dal momento che minaccia il giusto rapporto che unisce gli
uomini agli dei. In conclusione, dunque, si può affermare che la magia viene rifiutata
dai Greci di età classica perché in contrasto rispetto alle norme che regolano il corretto
rapporto fra uomini e divinità, che solo può garantire l’equilibrio cosmico. Per la
teologia e la cosmologia tradizionale era infatti certa la possibilità per l’uomo di
comunicare con le potenze divine attraverso i riti, le preghiere e i sacrifici; ma i maghi
portavano questa possibilità alle estreme conseguenze, cercando addirittura di piegare le
potenze soprannaturali al proprio volere. Si deve ancora a Platone un primo tentativo di
distinguere la magia dalla religione: la prima si sforza di persuadere gli dei mentre il
corretto comportamento religioso consiste nel lasciarli liberi in quanto essi sanno
scegliere ciò che è meglio per gli uomini.
Nonostante il generale atteggiamento di condanna diffuso in Grecia nei confronti
delle pratiche magiche – o forse proprio grazie a questa condizione – questo tema
rimase fortemente presente nella letteratura greca, fino all’età ellenistica. Apollonio
Rodio propone, nelle sue Aργοναυτικά, un’ulteriore rivisitazione di Medea che già il
mito, oltre al tragediografo di V secolo Euripide, presentava con l’appellativo di
φαρμακίς, “esperta di φάρμακα”, intendendo col termine φάρμακα da un lato pozioni
medicamentose, dall’altro, soprattutto, filtri magici quali quelli che la figlia del re Eeta
procura all’amato Giasone per consentirgli di aggiogare i tori spiranti fuoco, la prova
prevista per ottenere il mitico vello d’oro.
Ancora in età ellenistica, è necessario citare il poeta siracusano Teocrito, che
nell’Idillio II, il mimo usualmente denominato “L’incantatrice”, affronta il tema della
magia d’amore, ripreso poi da Virgilio prima con la VIII e, in seguito, con il
Ecloga
libro IV dell’Eneide, in cui Didone lancia una maledizione contro Enea. L’incantesimo
che Teocrito descrive nella prima parte dell’idillio si fonda sulla cosiddetta “magia
simpatica”, ovvero sul principio secondo cui, operando su qualcosa che raffigura una
Si veda, a tal proposito, l’apposito paragrafo, dal titolo Una questione antropologica.
21 P , 80, b.
Menone,
22 LATONE
P , X, 909 b.
Leggi
23 LATONE 20
persona o le appartiene, si ottiene un effetto sulla persona stessa. Scopo della
protagonista Simeta è quello di attirare nuovamente a sé l’amato, come esprime con
insistenza quasi ossessiva il ritornello έλκε τύ τηρον ποτί δωμα τώ άνδρα: con
ἴυγξ,
queste parole la maga intreccia fili di lana per legare il cuore di Delfi e compie altri
gesti rituali. Essi trovano un corrispettivo quasi perfetto nella sopraccitata VIII
Ecloga
vergiliana: anche in Virgilio la donna, assistita dall’ancella Amarillide, cerca con la
magia di riconquistare e attirare ancora a sé un innamorato, e il suo incantesimo si rivela
efficace, al contrario di quanto accade nel caso del poeta siracusano. La era in
Ἴυγξ
origine una Ninfa che, per aver fatto innamorare Zeus con i suoi incantesimi, era stata
trasformata da Era in un uccello, il torcicollo o Per il movimento del collo di
torquilla.
questo animale nella stagione dell’amore, il suo nome è passato per metonimia alla
ruota magica nel corso degli incantesimi, sulla base del principio della magia
omeopatica: come il movimento del collo della anche il movimento della ruota
ἴυγξ,
doveva attirare l’amato.
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.
Farina d’orzo anzitutto è consumata nel fuoco; su, spargila,
Testili. Sciagurata, dove te ne sei volata con la mente?
Dunque anche per te, maledetta, sono oggetto di spasso?
Spargila, e insieme di’: «Io spargo le ossa di Delfi».
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.
Delfi mi ha dato tormento: io per Delfi brucio
L’alloro. E come l’alloro crepita forte, bruciando,
e subitamente divampa, e non se ne vede neanche la cenere,
così anche Delfi nella fiamma le sue carni distrugga.
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.
Ora offro la crusca. [...]
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.
Ecco, tace il mare, tacciono i venti,
ma non tace la mia pena dentro il mio cuore;
tutta ardo per lui, che di me misera
ha fatto una donna perduta, non più vergine, invece che sposa.
[...]
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.
Tre volte io libo, e tre volte, o veneranda, pronuncio queste parole:
che sia una donna a giacere al suo fianco, o che sia anche un uomo,
egli tanto ne abbia di oblio, quanto dicono ne abbia avuto Teseo
un giorno a Dia per Arianna dai riccioli belli. 24
Torquilla, attira tu alla mia casa quell’uomo.
23F
Virgilio, abbiamo già detto, si ispira all’“Incantatrice” di Teocrito, che modifica
con l’introduzione di un lieto fine; tuttavia, al di là del riferimento a un illustre modello
letterario ellenistico, egli mostra di conoscere bene questi rituali, molto diffusi nel
mondo rurale e pastorale che ama descrivere. L’interesse per la magia è confermato
anche dal passo del libro VI dell’“Eneide”, dove Didone, accecata dall’odio verso Enea
che l’ha abbandonata, pone in atto un complesso rito magico per lanciare la sua
maledizione sull’eroe troiano e sulla sua discendenza.
At regina, pyra penetrali in sede sub auras
T , II, vv. 17-46.
24 EOCRITO 21
erecta ingenti taedis atque ilice secta,
intenditque locum sertis et fronde coronat
funerea: super exuvias ensemque relictum
effigiemque toro locat, haut ignara futuri.
Stant arae circum, et crinis effusa sacerdos
ter centum tonat ore deos, Erebumque Chaosque
tergeminamque Hecaten, tria virginis ora Dianae.
Sparserat et latices simulatos fontis Averni
falcibus et messae ad lunam quaeruntur aenis
pubentes herbae nigri cum lacte veneni;
quaeritur et nascentis equi de fonte revolsus
et matri praereptus amor,
ipsa molam; manibusque piis altaria iuxta
unum exuta pedem vinclis, in veste recincta,
testatur moritura deos et conscia fati
sidera; tum, si quod non aequo foedere amantis 25
curae numen habet iustumque memorque, precatur. 24F
Ma quando la pira con tronchi di leccio e di pino
fu eretta alta per l’aure nell’atrio più interno,
Didone l’adorna di serti e di fronde funeree; e sopra
vi mette le spoglie, la spada e un’effigie di Enea,
del suo fato sicura. Vicino sorgono are, e la maga
sciolta i capelli, invoca tonante tre volte
gli Dei dell’abisso e l’Erebo e il Caos ed Ecate
la triforme: i tre volti virginei di Diana.
E sparso aveva dintorno anche acqua, fingendola
quella d’Averno; e si apprestano turgide erbe