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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2008

Titolo: La densità  critica

Autore: Luca Bischetti

Descrizione: l'argomento trattato è di fondamentale importanza per determinare l'evoluzione ela futura morte dell'universo, grazie a spunti di matematica e fisica, con particoalre importanza alle geometrie non euclidee.....

Materie trattate: astromia, matematica, fisica

Area: scientifica

Sommario: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Sono queste le grandi domande che si pone da sempre l'uomo. Voglio partire a descrivere la nascita dell'Universo dall'omonimo dipinto di Paul Gauguin. L'enorme quadro interpreta il ciclo della vita umana, dalla nascita alla morte. In questa sede mi preme soprattutto descrivere a fondo la prima di queste domande esistenziali, ovvero la teoria scientifica comunemente conosciuta come Big Bang. Fin dall'antichità  sono pervenute ai nostri tempi varie leggende riguardo la nascita del mondo e del cosmo: dalla Genesi della Bibbia, passando per i Veda indiani e il capolavoro babilonese Zarathustra, arrivando infine agli Hi Ching cinesi. Solo con Giordano Bruno e Galileo Galilei si inaugura una nuova visione del cosmo e si ricerca sistematicamente e con metodi scientifici l'origine dell'Universo. Ma dall'inizio del XX secolo si propongono le prime teorie supportate da prove sperimentali inattaccabili che spiegano con precisione le varie possibilità  sia di nascita che di morte del nostro Universo. In questa trattazione sono concentrata alcune delle teorie fisiche e matematiche più accreditate dai grandi studiosi del nostro. La parte di dimostrazione razionale e matematica non poteva essere tralasciata anche se, a volte, rende pesante la lettura per chi non possiede quello spirito scientifico volto alla comprensione profonda degli eventi.

Estratto del documento

osservato empiricamente dalla Terra, e un valore assoluto, definita come la magnitudine apparente delle

stelle se fossero poste tutte ad una distanza dal punto di osservazioni di 10 pc.

Fondamentale per lo svolgimento di questa trattazione è la definizione di magnitudine apparente, in

relazione con il flusso. Descritto il flusso come la luminosità su unità di superficie si ottiene:

Ora la magnitudine apparente, seguendo al formula di Pogson si completa ed otteniamo:

Dove c è una costante che varia in relazione alle unità di misura usata. La magnitudine è un sistema di

misura antichissimo, coniato da Ipparco. Egli differenziava le stelle in 6 magnitudine, quali i colori che

riusciva a distinguere tra le stelle in cielo. La magnitudine segue una scala di misurazione logaritmica, che

pone al valore 2 la magnitudine della Stella Polare (α Polaris) e ne regola le altre. Il valore di magnitudine

può assumere anche valore negativo, qualora la magnitudine sia talmente alta da superare il valore 0. Un

esempio è il Sole, che in definizione apparente assume valore -26,8 la Luna -12,6 mentre il limite visibile

dell’occhio umano arriva +6. Se osservassimo per esempio il Sole in magnitudine assoluta sarebbe una

stella di valore +6, appena visibile. Ciò che lo rende così luminoso è l’estrema vicinanza con la terra.

La formula completa per calcolare la distanza attraverso le magnitudini è: (1)

Quindi la distanza risulta essere:

Quando si è riuscito a trovare con precisione uno dei valori, che facilmente risulta essere m, si utilizza il

metodo delle cefeidi.

In tal modo, conoscendo empiricamente il periodo di contrazione delle Cefeidi attraverso la loro curva di

luce si ricava la magnitudine assoluta. Nella stessa osservazione si ottiene anche la magnitudine apparente,

quindi si hanno tutti i dati per calcolare la distanza tramite la formula (1).

La potenza degli strumenti in uso agli inizi del XX secolo non erano tuttavia abbastanza potenti per

calcolare la distanza di tutti gli astri. Le stelle considerate nelle “vicinanze” delle Cefeidi assumono lo stesso

valore in distanza. 7

Ma finalmente arriviamo al 1929. La rande rivoluzione di Hubble rivoluziona l’astronomia. Non a caso ed

egli è stato intitolato il più importante satellite artificiale orbitante attorno alla Terra per osservazioni

astronomiche, l’Hubble Space Telescope (HST). Utilizzando lo redshift si può ricavare la velocità del oggetto

in moto rispetto all’osservatore.

Compiendo i primi calcoli si capisce che le distanze di alcune stelle sono

molto maggiori del diametro considerato al tempo della Via Lattea. Si

capisce fin da subito la portata di questa scoperta: la nostra non è l’unica

galassia nell’Universo. Questo, più che a risvolti scientifici, fa riflette sul

piano filosofico e teologico. La Terra non occupa più quella posizione

preferenziale che le permetteva di essere eletta da Dio per ospitare la vita.

Risulta essere una semplice sfera rocciosa immersa nel vastissimo cosmo.

Ma oltre a queste implicazioni la nuova scoperta porta ad una rivisitazione

sia delle distanze spaziali che del concetto di spazio e di tempo. Grazie agli

studi operati sulle stelle variabili Cefeidi e allo redshift si è riusciti a misurare

le distanze di molte galassie dalla Via Lattea e si è riconosciuto un sistema di galassie, più propriamente un

gruppo (infatti contiene una decina di unità) di galassie legate tra loro gravitazionalmente, denominato

Gruppo Locale. La novità introdotta da Hubble porta alla revisione del concetto di nascita dell’Universo. Lo

studio di Hubble si era basato sullo sfruttamento dello redshift, grazie al quale si riusciva a calcolare la

velocità con la quale le sorgenti, cioè le galassie, si allontanavano dal punto di osservazione. Questa

velocità, denominata velocità di recessione è tanto più grande quanto maggiore risulta essere la galassia

nello spazio. Quindi più si guarda lontano, più gli oggetti si allontanano velocemente. Il fatto che le galassie

si allontanino le une dalle altre (proprio come sancisce a relatività ristretta di Einstein, dove non esiste un

sistema di riferimento privilegiato), fece presagire che il moto fosse stato impresso ad esse molto lontano

nel tempo e che, grazie a questa velocità di allontanamento, le distanze si fossero via via dilatate.

v H d

= ⋅

0

Ma se si girasse la freccia del tempo e si tornasse molto indietro nel tempo, le galassie invertirebbero il loro

moto, tendendo a collassate in un punto dove tutte le galassie erano condensate in un punto e la distanza

tra loro era pari a zero. L’ipotesi vera e propria non era una novità. Già dal 1923 l’astronomo russo Fridman

aveva proposto un modello cosmologico in disaccordo con le equazioni di Einstein, soprattutto per quanto

riguarda la staticità dell’Universo. Per Fridman infatti l’Universo non era affatto statico, ma si evolveva in

funzione di alcuni parametri. Negli anni ’30, Gorge Gamow, fisico ucraino naturalizzato statunitense e

grande allievo di Fridman, ripropone il modello del suo maestro. Ma questa volta propone una prova

schiacciante a favore di questa teoria: la velocità di recessione. Successivamente Fred Hoyle, collaboratore

di Gamow, coniò il termine, oggi conosciuto universalmente di questo modello: “Big Bang”, ossia “Grande

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Scoppio”. Alla luce di questa nuova teoria il mondo scientifico risponde con grande fermento. Einstein in

persona, il massimo esponente scientifico del tempo, guarda di buon occhio questa teoria. Essa, seppur

andando contro la sua formulazione della “Relatività Generale” riusciva a cancellare dalle equazioni la tanto

amara Costante Cosmologica Λ. In tal modo i risultati della teoria della relatività erano confermati da una

seconda elaborazione e la sua validità prese a crescere sempre di più. Successivamente Einstein stesso

definì Λ “il più grosso errore della mia vita” e accettò positivamente la teoria di Gamow. Tuttavia i tempi

non erano ancora maturi per una accettazione completa di questo modello. Anche all’interno del mondo

scientifico e non solo in quello religioso sopravvisse il modello creazionista, difeso da grandi personaggi

scientifici. Questo dissenso sfociò nel 1948 nella grande contestazione di tre autorità mondiali in campo

astronomico, i fisici americani Fred Hoyle, Hermann Bondi e Thomas Gold. Per loro il modello stazionario

era ancora valido, presupposto che vi fosse un aumento costante di materia. Avevano teorizzato cioè che si

venisse a creare un atomo di idrogeno per chilometro cubo all’anno. In questa maniera credevano di

riuscire a dimostrare le novità introdotte da Hubble in chiave stazionaria, ma con scarsi risultati. L’ultimo

tentativo di salvare il creazionismo cosmico-astronomico si sarebbe spento ben presto.

Infatti, benché le due teorie fossero entrambe verosimili, nessuna riusciva a proporre prove schiaccianti

contro l’altra.

Le prove a favore del Big Bang

Ma arriviamo al 1965, anno cruciale per la teoria del Big Bang. Arno

Penzias e Robot Wilson, due fisici americani del Bell Institute nel New

Jersey stavano provando un rivelatore di microonde molto sensibile.

Essi, quando si accorsero che lo strumento raccoglieva più segnali di

quanto avrebbe dovuto si insospettirono. Pensarono a difetti di

costruzione, a difetti di struttura ma scoprirono solo qualche nido di

colombi e relativi escrementi. Troppo poco per perturbare in tal modo

il segnale. Provarono così a studiare questo effetto, considerandolo

dapprima di sorgente terrestre. Tentarono di muovere l’antenna in ogni direzione pensando di modificare

l’intensità del segnale in funzione della posizione rispetto alla Terra e all’atmosfera soprastante. Si stava

seguendo la pista sbagliata. L’ipotesi che nacque dopo questo insuccesso fu che la radiazione non fosse

terrestre bensì di natura spaziale e più precisamente pervadesse tutto il cosmo, anche oltre il Sistema

Solare. Si pensava cioè fosse un “qualcosa di extra-galattico”. Gli studi compiuti durante fasi del giorno e

varie posizioni dell’antenna si rivelarono molto utili. Esse infatti furono il punto di partenza per molte

considerazioni. Riflettendo sul fatto che mente si spostava l’antenna a Terra, il nostro pianeta ruotava

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intorno al proprio asse e attorno al Sole, che lo stesso Sistema Solare si muoveva attorno al centro della Via

Lattea e che parallelamente l’intensità del segnale restava pressoché invariata si capì che la radiazione

fosse distribuita uniformemente e omogeneamente in tutto l’Universo. Questa nuova considerazione

portava ancor di più all’acuirsi della domanda circa l’origine di questa radiazione. Riprendendo le prime

formulazioni di Fridman e rielaborandole alla luce della scoperta di Hubble si ipotizzò che queste onde

fossero correlate con il Big Bang. Esso, essendo ancora un modello relativamente fragile quanto ad

approvazione scientifica, prevedeva che alla nascita dell’Universo si fosse liberata una gran quantità di

energia. Risulta così, sempre grazie alla legge di Hubble, che tutto l’Universo si fosse trovato, in un punto

lontano del tempo, condensato in uno spazio minimo, caratterizzato da temperatura elevatissima ed

energia spaventosa. Liberata questa energia essa si è propagata nell’Universo in crescita e muovendosi

sempre più, in relazione all’espansione dello spazio, avrebbe diminuito la sua portata energetica a causa

della perdita di frequenza. Se la radiazione originaria era composta da raggi gamma molto energetici, quella

odierna si sarebbe dovuta trovare in un’area dello spettro ben diversa. Cioè il suo continuo moto ha

causato una perdita costante dell’energia e uno spostamento in funzione delle frequenze. In questo modo

si interpretò la radiazione a microonde come il residuo del Big Bang. Essa, chiamata CMBR (ovvero COSMIC

MICROWAVE BACKGROUND RADIATION) costruiva una curva plankiana, sovrapponibile alla curva di

emissione di un corpo nero alla temperatura di 3° K. Per questo si dice che la CMBR ha una “temperatura”

di 3° K.

Parallelamente a loro due fisici della vicina Princeton University, Bob Dicke e Jim Peebles stavano

maturando interesse per le microonde. Su suggerimento di Gamow, grande allievo di Fridman, ceravano di

dimostrare la possibilità di un Universo primordiale condensato in un punto molto caldo e denso, che

emanasse grandi quantità di luce. Ora, se l’intensità di questa luce, ovvero la sua lunghezza d’onda, era

altrettanto alta, questa radiazione sarebbe visibile anche ai giorni nostri. Quindi, proprio come accennato

da Penzias e Wilson, ma approfondito sistematicamente da Dicke e Peebles, questa luce doveva aver subito

uno spostamento verso la parte rossa dello spettro in modo tale da portare la radiazione originaria nel

campo delle microonde. La situazione appariva divisa all’epoca, prima di tutte queste considerazioni. Da un

lato si trovavano le grandi prove sperimentali che danno vita ad una fragile teoria e dall’altro una teoria

forte in cerca di conferme empiriche. Proprio quando Penzias e Wilson pubblicano la scoperta Dicke e

Peebles si stavano muovendo per cercare le fondamentali prove a favore del modello. Purtroppo però la

soluzione al loro problema era già stata trovata. Per questa scoperta Penzias e Wilson furono insigniti del

Premio Nobel nel 1977, mentre Dicke e Peebles, per non parlare dell’indispensabile spunto di Gamow non

furono resi partecipi di questa grande “rivoluzione”.

Oltre alla svolta della CMBR il 1965 è l’anno che segna la consacrazione della Teoria del Big Bang. La

radiazione di fondo si dimostrò essere una delle prove fondamentali. Oltre a questo si prendeva per

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confermare il modello anche la velocità di recessione della galassie, considerandola la “spinta” originaria

che le faceva rispettivamente allontanare. Un terzo parametro preso in esame per sostenere la teoria è la

percentuale di idrogeno ed elio nell’Universo. Questi valori sono rispettivamente del 77% e del 23% circa.

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