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La tesina tratta dell'evoluzione del ruolo dei giovani nel xx secolo, dalla loro affermazione come categoria sociale al loro imporsi come categoria "politica".
Materie trattate: Letteratura latina, Letteratura italiana, Storia, Filosofia, Inglese, Storia dell'arte
Edipo, l’autoaccecamento; la sua mutilazione è, però, l’inettitudine, esibita in ogni manifestazione
della vita pratica come negazione dei valori paterni e che in questa situazione si rivela
nell’incapacità di controllare il cavallo.
Egli subisce tutto “con metafora dell’incomunicabilità tra l’inetto, che si
gli occhi chiusi”,
rifugia nella realtà interiore del desiderio e dell’immaginazione, e gli altri (a cominciare dal padre)
che stabiliscono con il mondo un rapporto di possesso e di violenza. Incapaci di essere come i padri
e alieni dall’intendere i rapporti umani nei termini della sopraffazione, i figli diventano socialmente
inquietanti e scomodi, e sono emarginati perché “diversi”, secondo una
“inutili agli interessi”,
definizione sprezzante che Domenico dà del figlio.
Ciò che è presente, dunque, sono forme psicologiche di vita “altrove”, di un desiderio di
esistenza che tradotta in immagini visive può essere letta anche in La maison aux volete verts
(1924) di De Chirico, in cui è rappresentata una casa dentro la casa, come per cercare uno spazio
proprio, chiuso e distante dall’ambiente familiare, come segno di chiusura interna e
simultaneamente di apertura verso l’esterno espressa dalla finestra spalancata, un chiaro segno di
apertura all’esistenza altrove. 9
STRUMENTALIZZAZIONE IDEOLOGICA DELLA GIOVENTÙ
“Noi vogliamo che i giovani raccolgano la nostra fiaccola,
si infiammino della nostra fede
e siano pronti e decisi a continuare la nostra fatica.”
B. Mussolini, 1932
1. Giovani, interventismo e fascismo
All’inizio del XX secolo, i valori vengono definiti in rapporto all’azione, più che al
contenuto, al credere fortemente, al proiettarsi verso il futuro nel disprezzo del presente e del
compromesso, al desiderare lo scontro come unica via per la crescita comune; la sola categoria
valida nel giudicare la realtà era quella che si basava sulla dicotomia vecchio/nuovo, adulti/giovani.
Con la leva obbligatoria, i giovani costituirono il settore della società più direttamente e
visibilmente coinvolto nel processo di nazionalizzazione, acquisendo per il fatto stesso un ruolo
riconosciuto e apprezzato. La diffusione di numerose associazioni di giovani di formazione
umanistica e letteraria, di ambito urbano e prevalentemente piccolo-borghese, rafforzarono
l’immagine di una scalata giovanile.
I partiti moderni e gli intellettuali furono solleciti a percepire questo fenomeno: guardarono
al giovane come al militante entusiasta, o al futuro elettore, o comunque ad un’immagine vincente
perché proiettata in avanti.
Le nuove forze politiche, che più prontamente colsero l’evoluzione della mentalità,
recepirono i nuovi stimoli generazionali e li tradussero in una propria ideologia, per lo più nel culto
dell’azione. Nell’uso di questa, il fattore generazionale fu agitato come motivo ricorrente ed
essenziale e diventò quasi un valore in sé.
Il caso italiano fornì un chiaro esempio dell’uso retorico della tematica giovanilistica,
finalizzato alla destrutturazione del sistema politico esistente.
In nome di una tensione volontaristica, le avanguardie si impegnarono a sventolare lo
stendardo della gioventù. Esse compresero pienamente che per incidere in maniera decisiva sul
futuro era necessario non rivolgersi alle masse amorfe, ma all’«élite innovatrice».
In Italia, il fu la corrente più iconoclasta nei confronti della tradizione, facendo del
futurismo
giovanilismo un’esplicita e programmatica rivendicazione. La tendenza all’avanguardia dei
movimenti primonovecenteschi e il sovversivismo piccolo-borghese degli intellettuali italiani si
realizzano pienamente nel Futurismo. 10
Sotto la guida di Marinetti, il movimento si strutturò dando vita a Milano a un vero e proprio
ufficio per il servizio stampa e la promozione dei libri, riviste e manifesti. Lo stesso Marinetti definì
il futurismo “un grande movimento antifilosofico e anticulturale d’idee intùiti istinti pugni calci e
schiaffi svecchiatori purificatori novatori e velocizzatori creato il 20 febbraio 1909 da un gruppo di
poeti e artisti italiani e geniali”.
Esaltando la macchina, la tecnica, la velocità e l’aggressività, questa corrente intende
interpretare la tendenza al nuovo.
La celebrazione del movimento, dell’azione, del gesto violento, induce a glorificare il
militarismo, la guerra e la virilità. I futuristi sono interventisti, e anzi vedono nella guerra e nel
conflitto un modo positivo di scatenare le energie primordiali e di selezionare i popoli e le nazioni
più forti.
Il futurismo scopre l’effimero: non esistono più valori duraturi; così l’idea stessa di classico
e di tradizione entra in crisi. Il vecchio è sorpassato, solo il nuovo, il giovane è positivo. Il
giovanilismo venne, dunque, assunto come metafora del futuro stesso.
Con la pubblicazione del primo sul quotidiano parigino «Le
Manifesto del Futurismo
Figaro», emerge un’ideologia volta a celebrare gli istinti, i giovani, l’elemento ferino, la gioia della
distruzione, l’amore per la guerra, gli atteggiamenti militareschi, virili ed eroici. Marinetti lancia già
il primo proclama politico ispirato al nazionalismo. Infatti, recita così uno degli 11 punti esposti nel
Manifesto: “Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il
patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore”.
Come ribadito nel del 1920, si sancisce la
Manifesto del partito politico futurista
“preminenza proiettata verso una politica estera “cinica,
dell’Italia sovrana assoluta”, astuta e
Nel culto del progresso e della vigoria fisica, i futuristi proclamarono l’ “esautorazione
aggressiva”. assimilando le tre categorie in una valutazione
dei morti, dei vecchi e degli opportunisti”
dispregiativa al tempo stesso fisica e morale; una sorta di pulizia della società invocata a favore dei
giovani, cioè delle “minoranze vere e proprie avanguardie trascinatrici delle generazioni di
audaci”,
appartenenza: “Ma noi non vogliamo più saperne del passato, noi giovani e noi forti futuristi”.
A conferma della centralità del ruolo che i futuristi intendevano attribuire ai giovani,
leggiamo nel loro programma politico che “Rimpiazzeremo il Senato con un Assemblea di 20
Abbandonata ogni credenza metafisica, si chiede il rispetto verso
giovani non ancora trentenni”.
un’ “unica accreditando l’immagine di una nazione che corre
religione: l’Italia di domani”,
lasciandosi dietro un presente-passato di umiliante normalità.
La guerra e la violenza diventarono per questa nuova generazione il carattere più profondo
della propria identità, che ebbe la forza di tradursi in miti collettivi capaci di aggregare forze sociali
11
ed economiche eterogenee, ma sostanzialmente antidemocratiche, in un progetto che si proponeva
di far saltare gli equilibri politici su cui si basava lo Stato liberale. La gioventù fu dunque assunta a
simbolo di novità assoluta, in contrapposizione al mondo della politica liberale e parlamentare dei
partiti, racchiuso nello stereotipo della corruttibilità. La guerra venne esaltata come la “scorciatoia”
per rinnovare la nazione e far emergere una nuova classe politica.
Attraverso l’idea di purezza, la giovinezza viene congiunta con l’idea di combattimento per
cause pure e disinteressate.
Se l’attitudine giovanile è un’appassionata adesione ad ogni speranza di costruzione di un
mondo diverso e migliore rispetto a quello dei padri, appare evidente come il liberalismo non
piacesse ai giovani: esso, infatti, ha il suo campo di azione nell’attività economica, nel principio
della mediazione politica, non nell’eroismo e nella guerra; offre una prospettiva realistica e
materiale, non utopica. Seppur dalle trincee, i giovani coltivano il mito di un riscatto individuale e
collettivo.
La coscrizione obbligatoria è centrale nella formazione degli eserciti. Facendo risuonare lo
slogan “Largo ai giovani”, la prima guerra mondiale si nutre dell’appello ai più giovani (infatti nel
1917 erano impegnati nel conflitto circa 300 000 diciottenni). La leva di massa venne rafforzata
dalla mobilitazione ideologica delle giovani generazioni costruita sullo stesso meccanismo di
chiamata alle armi che avrebbe avuto contemporaneamente il senso di un privilegio.
Sovraccaricando ideologicamente il circuito tra guerra e virilità, il Novecento ha gettato allo
sbaraglio masse di giovani.
I volontari vanno a morire per tre parole: e spesso l’ultima basta: la patria è
Dio, Re, Patria,
identificata integralmente con lo Stato, con la sua religione e con il suo capo; la guerra è per
eccellenza la guerra giusta, così giusta da legittimare controlli e persecuzioni contro chiunque. Su
questi terreni gioca a fondo la demonizzazione del nemico. Assimilato fin dall’inizio a un animale
da preda, il nemico arriva a perdere ogni forma umana.
I giovani sono chiamati ad un’assunzione di responsabilità che si estende fino al sacrificio
della vita stessa.
Paradossalmente, mentre ideologie politiche ed intellettuali sventolavano il mito della
rinascita, i giovani vengono chiamati ad uccidere ma soprattutto a morire. Tuttavia la morte
prematura apparve di per sé immacolata, incarnando così una sorta di ideale purissimo. A
testimonianza di ciò, i monumenti e i cimiteri di guerra divennero luoghi di culto nazionale.
La fortuna dell’aforisma morte/inizio fu rilanciata dalla sacralizzazione della politica, tipica
dell’epoca di massa e funzionale alla formazione di nuove identità forti come la Nazione e il Capo.
12
La Grande Guerra, dunque, rappresenta in potenza la strumentalizzazione politica a cui
saranno soggette le giovani generazioni durante il periodo del Fascismo. Esaltazione del corpo,
marce e stendardi, disciplina militaresca avrebbero infatti costituito la premessa storica sia della
progressiva adesione al messaggio razziale e autoritario del fascismo, sia delle forme organizzative
che assunse l’opera di disciplina della gioventù messa in atto da Mussolini.
I giovani divennero così l’oggetto di sofisticate sperimentazioni di irregimentazione sociale
e di manipolazione ideologica volta a trasformarli in una milizia interamente votata all’esaltazione
del duce.
Il richiamo alla giovinezza come paradigma del mutamento politico entrò subito a far parte
del patrimonio genetico, o meglio della retorica, del fascismo. Di volta in volta, l’accento fascista
cadde sul concetto di «giovani» o «giovanissimi», politicamente puri; di «figli» (figli d’Italia, della
guerra, ecc.); di individui colti nella loro massima espressività vitale - appunto quella giovanile -; di
continuatori della guerra ora rivolta contro i nemici interni. Autorappresentatosi come il «Regime
della Giovinezza», il fascismo le attribuì una rilevanza centrale anche e soprattutto nella ritualità,
nella simbologia e nelle strutture comunicative. Lo stesso inno delle Camicie nere (termine con cui
si designano i membri del Pfn e della Mvsn, e che in senso lato indica tutti gli aderenti al Fascismo),
che approdò ad una stesura definitiva nel 1925, è intitolato Giovinezza.
Rispetto alla gioventù Mussolini si pose a guida indiscussa, garante e depositario autentico:
una sorta di padre collettivo. Inizialmente ne fece un’interlocutrice privilegiata. Con l’appello ai
giovani coltivò un movimentismo con piglio vitalistico: il fascismo era così rappresentato tutto
«giovinezza, impeto e fede». Con l’organizzazione partitica, il proselitismo fu finalizzato al
consolidamento del preesistente modello gerarchico e disciplinato quasi militarmente: le reclute
erano tutte inquadrate, selezionate, formate nel segno dell’obbedienza indiscussa al Capo, al fine di
salvare la Patria. Presidente del Consiglio a soli trentanove anni, il più giovane della storia di’Italia,
Mussolini si pose nel 1922 a duce dell’Italia-giovane, dell’Italia-nuova, interprete e stimolo per la