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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2008

Titolo: L'uomo e l'impossibile

Autore: Rossella Siervo

Descrizione: è scommettendo sull'impossibile che nella storia si è arrivati alla realizzazione del possibile, e tutti coloro che si sono saggiamente accontentati di credere nel possibile non sono avanzati di un solo passo

Materie trattate: italiano, matematica, latino, fisica, filosofia, astronomia, arte, letteratura francese e inglese

Area: scientifica

Sommario: Il canto trentatreesimo del Paradiso di Dante Alighieri si svolge nell'Empireo, la sede di tutti i beati; siamo a mezzanotte del 14 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 31 marzo 1300. Si tratta dell'ultimo canto del Paradiso e quindi dell'intero poema, che si chiude, dopo una preghiera alla Vergine, con la visione di Dio, della Trinità  e dell'Incarnazione. La preghiera che san Bernardo rivolge alla Vergine Maria apre il canto, introdotta dall'ultimo verso del canto precedente «e cominciò questa santa orazione», e si connota così come un'orazione, sia nel senso appunto di preghiera, sia in quello etimologico di discorso oratorio, per il tono alto e solenne, per l'incisività  eloquente. Essa si può dividere in due parti: la prima è un canto di lode (vv. 1-21), la seconda la vera e propria orazione (vv. 22-39); si apre con una serie di ossimori e di antitesi, cioè accostamenti di parole e concetti dal significato opposto, a sottolineare come gli elementi della divinità  travalichino le possibilità  di comprensione dell'intelletto umano: San Bernardo, cosciente dell'efficacia della sua opera di intercessione , prega la Madonna di intervenire affinché Dante possa innalzarsi fino a Dio; invoca infine la materna protezione per il poeta anche quando questi sarà  ritornato sulla terra. Alla preghiera del santo si associano tutti i beati e Beatrice e Maria, che ha tenuto gli occhi fissi su san Bernardo in segno di gradimento, rivolge ora lo sguardo a Dio, per intercedere a favore di Dante. San Bernardo di Chiaravalle, autore di numerose opere teologiche, non è sicuramente stato scelto a caso da Dante come suo intercessore: egli fu il più importante esponente del pensiero mistico del XII secolo, e soprattutto fu colui che più di ogni altro contribuì all'affermazione del culto di Maria Vergine: il santo aveva esaltato la sua funzione mediatrice tra Dio e l'umanità , valorizzata dall'esperienza della maternità . (Tuttavia si possono riconoscere altre influenze su questa preghiera, ad esempio la struttura dell'Ave Maria, divisa in lode e richiesta di intercessione). Dante, che si avvicinava («appropinquava», con latinismo) al culmine di tutti i suoi

Estratto del documento

che, per esempio, quando O coincide con O’ entrambi gli orologi segnino zero. Non

è restrittivo supporre che gli assi x e x’ siano sovrapposti e scivolino l’uno rispetto

all’altro, in modo che v sia parallela ad essi, mentre gli altri (y e y’, z e z’) restano

paralleli fra di loro. Si considera un certo evento fisico che avviene in un punto P

con coordinate (x,y,z) e (x’,y’,z’) rispetto ad O e O’ e negli istanti t e t’ misurati dai 2

osservatori:

Tenendo conto che OO’ = v t e che sembra ovvio supporre t’=t ,segue che valgono

o

le cosiddette trasformazioni galileiane:

x = x’+OO’ = x’ + v t’

o

y = y’

z = z’

t = t’ 0.1

Questi sistemi di riferimento sono SISTEMI A 4 COORDINATE: ogni punto di essi è

definito da 3 coordinate nello spazio e da una nel tempo, misurate le prime tre

rispetto a un’origine spaziale, la quarta rispetto a un istante iniziale t = 0.

In particolare la IV di queste formule è sempre stata ritenuta EVIDENTE.

La negazione dell’ipotesi che gli orologi dei 2 osservatori debbano segnare lo

stesso tempo costituisce uno degli aspetti innovativi della relatività einsteiniana.

Per quanto concerne la velocità ci chiediamo se un corpo si muove con velocità

costante v rispetto a K, quale velocità v’ avrà rispetto a K’ , sapendo che il sistema

O’ si muove rispetto ad O con velocità v , detta velocità di trascinamento?

o

Lo ricaviamo immediatamente dividendo membro a membro la prima e la quarta

delle trasformazioni di Galilei, e tenendo conto che:

x / t = v (in K)

x’ / t’ = v’ (in K’)

si ha allora: v = v’ + v 0.2

o 6

Queste si dicono FORMULE X LA COMPOSIZIONE DELLE VELOCITA’.

Anche esse dovranno variare completamente, non appena saranno introdotti i

postulati di Einstein.

La 0.2 ci conduce a concludere che, detta Δv = v – v la variazione di velocità nel

2 1

sistema O, si ha:

Δv’ = v’ – v’ = (v -v ) – (v – v ) = v – v = Δv

2 1 2 o 1 0 2 1

E quindi, dividendo il primo e l’ultimo membro per Δt e ricordando che a = Δv / Δt :

a = a’

Se teniamo conto del fatto che la massa dei corpi è un invariante, utilizzando

l’equazione fondamentale della dinamica, concluderemo che la forma delle

equazioni non dipende dal riferimento.

Una modifica delle trasformazioni di Galilei deve portare necessariamente ad una

modifica dell’equazione fondamentale della dinamica, se vogliamo salvare il principi

di relatività. Questa modifica costituisce uno dei tanti pilastri della teoria della

relatività che non ha negato la validità del Principio di Relatività Galileiana, ma solo

delle formule di passaggio da un riferimento ad un altro.

Alla fine del XIX secolo la fisica raggiunse un traguardo straordinario , riuscendo a

spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici attraverso un teoria unitaria e

perfettamente coerente, espressa dalle 4 equazioni di Maxwell.

Esse permisero di dedurre, per via puramente teorica, che non esiste un campo

elettrico separato dal campo magnetico ma che l’uno e l’altro sono manifestazioni di

1 unica realtà fisica chiamata TENSORE ELETTROMAGNETICO. Inoltre esse

predicevano con esattezza straordinaria che tale campo elettromagnetico dovesse

propagarsi nello spazio sotto forma di onde. La scoperta delle onde

elettromagnetiche da parte di Hertz rappresentò il + alto trionfo della costruzione

maxwellina. Usando solo le 5 equazioni, F = ma e le 4 di Maxwell, e le 4 formule

delle trasformazioni galileiane era possibile prevedere in modo semplice

l’evoluzione nello spazio e nel tempo di qualsivoglia sistema fisico.

Se però tutto ciò in teoria sembrava perfettamente possibile, in realtà presentava un

limite.

L’equazione di Newton non risultava essere invariante rispetto alle trasformazioni di

Galilei (F’ = ma’), ma variava numericamente (covariante) secondo una ben precisa

legge matematica.

Infatti l’equazione F = ma risulta covariante (varia) rispetto alle trasformazioni di

Galilei.

Se le applichiamo all’equazione fondamentale di Newton essa viene ad assumere la

forma: F’ = ma’

Forze e accelerazioni non sono cioè invarianti rispetto alle solite trasformazioni:

variano numericamente, ma variano secondo una ben precisa legge matematica.

Essendo covariante l’equazione di Newton ci si aspettava che lo fossero anche le

equazioni di Maxwell.

Ed ecco invece il colpo di scena: ci si accorse subito che esse non erano né

invarianti, né covarianti rispetto alle trasformazioni di Galilei.

7

Cambiando il sistema di riferimento adottato, non cambiavano solo nella forma ma

non erano assolutamente più valide.

Oltre a questo ostacolo di natura matematica, con la scoperta, grazie alle equazioni

elettromagnetiche, che la luce è un’onda, si aggiungeva il problema dell’esistenza di

un mezzo, diverso da quelli già conosciuti, attraverso cui essa potesse propagarsi.

Fu così introdotto un nuovo mezzo materiale, supposto impalpabile, trasparente e

perfettamente elastico detto ETERE ( x analogia con la celebre quintessenza di

aristotelica memoria) che permetteva di stabilire un sistema di riferimento in cui le

distanze, gli intervalli di tempo e le velocità potevano essere misurati in maniera

univoca per tutti gli osservatori.

Maxwell era profondamente convinto della sua esistenza in quanto aveva

individuato l’esistenza di un elemento fisso nell’etere, la velocità della luce:

1

c = 1.3

ε µ

0 0

ma la sua teoria fu messa in discussione dopo pochi anni dalla sua morte a

dall’esperienza di Michelson e Morley.

Quest’ultima era stata concepita x dimostrare che la luce può avere velocità diverse

per diversi osservatori in moto relativo rispetto all’etere. Il fatto che l’esperimento

sia clamorosamente fallito non poteva far altro che smentire gli assunti di partenza,

mostrando una volta per tutte che la luce ha sempre la stessa velocità per tutti gli

osservatori, come suggerito dalla 1.3 e che evidentemente le trasformazioni di

galilei NON sono valide in tutti i sistemi di riferimento in moto l’uno rispetto all’altro.

Michelson e Morley mostrarono che la meccanica galileo-newtoniana e la teoria

elettromagnetica di maxwell erano inconciliabili.

Una possibile spiegazione dell’esito dell’esperimento di questi scienziati fu fornita

da Lorentz.

Egli assunse che le equazioni di maxwell erano valide solo in un sistema di

riferimento privilegiato, Ma allora come trascrivere le

quello in cui l’etere è fermo.

equazioni x un altro sistema in moto rispetto al primo?

Lorentz si rese conto del fatto che ogni modifica nella forma di quelle equazioni

avrebbe comportato che negli altri sistemi di riferimento le leggi

dell’elettromagnetismo sarebbero state diverse. Solo un’ipotesi poteva essere a

questo punto sostenuta: esistono delle trasformazioni, diverse da quelle galileiana

che lasciano inalterate le equazioni di Maxwell.

Nel 1904 Lorentz scrisse queste trasformazioni che oltre a coinvolgere le coordinate

spaziali, x garantire il risultato corretto , prevedono una trasformazione anche x il

tempo. Egli non attribuì significato fisico a questo “tempo modificato”; lo chiamò

“tempo locale”.

Consideriamo un sistema di assi cartesiani ortogonali, ed un altro che si sposta

v x x'

rispetto ad esso con velocità costante in modo che gli assi e coincidano

y y' z z'

scivolando l'uno sull'altro, e gli altri ( e , e ) restino paralleli fra di loro, e

consideriamo i due diversi sistemi di coordinate:

K (x, e K' (x',

y, z, t) y', z', t')

O O'

riferiti rispettivamente alle origini e , come abbiamo già fatto precedentemente.

K' K v

Se si muove rispetto a con velocità , per la contrazione delle lunghezze sarà:

O'P' (3.1) β = v/c

8

K P P'

x = x'

Infatti, considerando in un punto dell'asse , punto che corrisponde a

K'

nel sistema , le sue coordinate rispetto ai due sistemi risulteranno:

P (x, 0, 0, e P' (x', 0, 0,

t) t')

O'P' = K'

x' v

se é fermo, perché se é in moto con velocità esso si contrae nella

(3.1)

direzione del moto riducendosi ad una lunghezza data dalla .

O'P' = OP – OO' = –

x v t

Ma essendo , si deduce che

da cui: (3.2) K' K

Ordinata e quota rimangono uguali, visto il modo in cui si muove rispetto a . Si

OP K'

consideri invece la coordinata temporale. Il segmento rispetto al sistema é

uguale alla somma di: OO' = O'P = O'P' =

v t x'

con

Il segmento OP, però, se K' fosse fermo, misurerebbe x; in effetti si muove con

velocità v, e dunque, nella direzione del moto, risulta più corto:

OP (K') =

quindi: (3.2)

e, utilizzando la :

moltiplicando ambi i membri per ho:

da cui si ricava, senza alcuna difficoltà: 9 (3.3)

Si hanno così le nuove trasformazioni chiamate TRASFORMAZIONI DI LORENTZ, in

onore di H.A.Lorentz, lo scienziato olandese da noi già citato nelle unità precedenti:

y' = y

z' = z

(3.4)

v v << c

Se é molto vicino a zero, cioé se , si ritorna alle trasformazioni classiche di

(0.1)

Galileo , perché e . K'

Le formule inverse si ottengono senza calcoli, solo tenendo conto che, se si

K – v x

considera fisso, sarà a muoversi con una velocità ; allora ad si deve

x' t' t

sostituire e a . Si ha così: y = y'

z = z'

(3.5)

Strano destino, quello della relatività ristretta: nascere, svilupparsi e giungere a

scoperte allucinanti, tali da squassare dalle fondamenta tutto il grattacielo innalzato

10

da Galilei e Newton, solo per giustificare qualcosa che era già acquisito da decenni

come le equazioni di Mawxell.

Einstein lavorò in modo diverso. Per nulla preoccupato di sfatare tabù che

resistevano fin dai tempi di Newton, egli comprese che, quando ci si muove a

velocità prossime a quelle della luce, spazio e tempo subiscono delle effettive

trasformazioni che non li rendono più entità assolute. Se si dava credito

all’esperienza di Michelson e Morley , una sola cosa appariva costante nel passare

da un sistema di riferimento a un altro:

la velocità della luce, uguale sia nella direzione del moto della terra che in direzione

opposta. Ed egli partì proprio da qui, assumendo come postulato che non lo spazio

né il tempo, ma c sia invariante x tutti gli osservatori.

Tutta la teoria della Relatività Ristretta o Speciale (1905) è basata su 2 postulati

fondamentali:

1. Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Non

esiste un sistema inerziale privilegiato (PRINCIPIO DI RELATIVITA’).

2. La velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore c in tutti i sistemi inerziali

(PRINCIPIO DELLA COSTANZA DELLA VELOCITA’ DELLA LUCE).

Il primo di essi rappresenta un’estensione, a tutti gli eventi del principio di relatività

galileiana, che non risulta così annullato, bensì superato attraverso il secondo

postulato.

Il primo mito sfatato da Einstein fu quello del tempo assoluto. Uno dei cardini della

fisica classica era la contemporaneità degli eventi fisici rispetto a tutti i sistemi di

riferimento; Einstein dimostrò illusorio questo principio con il ragionamento

dell'orologio a luce. Si dice « orologio a luce » quello che calcola il tempo attraverso

la riflessione di un raggio di luce fra due specchi piani e paralleli. Dati due simili

orologi in quiete, ben sincronizzati, la partenza dei raggi di luce, la loro riflessione e

la loro percezione saranno eventi contemporanei. Ma se uno si muove di moto

relativo rispetto all'altro, con velocità uniforme v, che cosa accade? K'

Per l'osservatore solidale con l'orologio in moto relativo, diciamo nel sistema , il

raggio di luce continua a riflettersi fra i due specchi, perpendicolarmente ad essi.

11

K

Ma per un osservatore del sistema , solidale con l'orologio che per noi é in quiete,

il moto del raggio di luce si compone con quello traslatorio dell'orologio, e si ha la

AB A'B'' B''A''' t

, ma e . Ora, sia il tempo

traiettoria diagonale della figura: non più AB

K t'

misurato dall'orologio a luce in per percorrere il tratto , e il tempo misurato

AB A''B'' <

K' t < t'

in per percorrere uno spazio uguale. É chiaro che , essendo =

A'B'' (il cateto é minore dell'ipotenusa); ed essendo la velocità della luce costante

in ogni sistema di riferimento, risulta:

A'B'' = , A''B'' = , A'A'' =

c t' c t v t'

per il teorema di Pitagora: 2 2 2

A'B'' = A''B'' + A'A''

Da cui: = +

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