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Tratta dei principi su cui si basa l'energia nucleare, gli usi civili e militari, l'impatto sull'ambiente e sulla società
Materie trattate: scienze chimica fisica storia inglese e italiano ( gli ultimi tre in misura minore
Le forze nucleari devono compiere un certo lavoro per mettere assieme il nucleo,
partendo con protoni e neutroni isolati e avvicinandoli via via fino alle distanze alle quali
essi si trovano all'interno del nucleo. Durante questa operazione le forze elettriche
lavorano "contro", nel senso che esse tenderebbero a tenere i protoni, di carica uguale, il
più possibile lontani gli uni dagli altri. Quindi per mettere insieme il nucleo dovremmo
spendere una certa quantità di energia, esattamente eguale al lavoro che dobbiamo
compiere. Questa energia rimarrà poi immagazzinata nel nucleo fino a quando qualcuno
non lo rompa. Per ogni protone che avviciniamo ad una certa distanza ad un altro
spenderemmo quindi una certa quantità di energia, energia che rimane poi imprigionata
nella struttura che abbiamo creato.
Non tutti i nuclei sono fatti allo stesso modo, nel senso che le posizioni reciproche dei
protoni in diversi nuclei sono diverse. Di conseguenza le energie spese nella costruzione
dei diversi tipi di nucleo saranno diverse. Ogni tipo di nucleo avrà immagazzinata dentro
di sé, quindi, una diversa quantità di energia, caratteristica del tipo di nucleo in questione.
Tutto ciò è vero sia per i nuclei "naturali ", quelli cioè che si trovano in natura, sia per quelli
"artificiali", cioè costruiti in laboratorio.
Curva dell'energia di legame media per nucleone. Sono indicati, accanto alla curva, i dati sperimentali. La curva riguarda
l'energia di legame per nucleone, che va quindi moltiplicata per il numero di massa A per fornire il valore dell'energia
complessiva di un nucleo. Si osservi che, dal Carbonio in poi, un buon valore approssimato, facile da ricordare, è circa 8
MeV per nucleone. Si noti, inoltre, il picco che corrisponde all'elio He4. Il nucleo He4 (particella a) è formato da nucleoni
fortemente legati.
Se prendiamo un nucleo di uranio, ad esempio, e lo rompiamo per ottenere due nuclei
più leggeri, è possibile che nei due nuclei più leggeri sia immagazzinata in totale meno
energia di quanta ne era immagazzinata originariamente nel nucleo di uranio. In questo
caso nel rompere il nucleo avremo un guadagno netto di energia. Ciò non è
obbligatorio. A priori anche la situazione opposta potrebbe essere legittima: cioè che nel
nucleo iniziale sia immagazzinata meno energia che nei nuclei ottenuti dalla sua rottura.
In questo caso per spezzare il nucleo saremo noi a dover fornire l'energia mancante. Per i
materiali più pesanti accade proprio che l'energia totale dei due nuclei residui ottenuti
dalla frammentazione di quello originario sia minore dell'energia di partenza. In questo
caso l'energia disponibile viene immediatamente liberata. Questo è il principio della
fissione nucleare. Fissione significa rottura, frammentazione.
Possiamo ora chiederci cosa accade fondendo due nuclei più leggeri in uno più pesante.
Anche in questo caso ci sono, a priori, due possibilità: o l'energia immagazzinata alla fine
nel nucleo più pesante è maggiore o è minore di quella originariamente immagazzinata
nei due nuclei più leggeri. Nel primo caso dovremmo spendere energia, nel secondo ne
guadagneremmo, realizzando la fusione. Questo è il principio della fusione nucleare.
Bisogna stare attenti a non confondersi: o si guadagna energia fondendo due nuclei in un
certo nucleo, o la si guadagna spezzando lo stesso nuclei nei due più leggeri. Il fatto di
poter guadagnare energia in entrambi i casi è escluso: si potrebbero produrre quantità
illimitate di energia, ripetendo il ciclo di fissione-fusione, dal nulla. In effetti ciò che risulta
conveniente è o spezzare nuclei pesanti in nuclei medi o fondere nuclei leggeri in nuclei
medi. Quindi abbiamo due possibili tipi di "carburante" per le reazioni nucleari: o nuclei
molto pesanti come uranio o plutonio(fissione), o nuclei molto leggeri come idrogeno o
elio(fusione). In generale potremo quindi affermare che i nuclei di peso intermedio
immagazzinano meno energia sia rispetto a quelli pesanti, sia rispetto a quelli leggeri.
Quando compiamo un processo di fissione o di fusione, in entrambi i casi partiamo con
più energia immagazzinata di quanta ce ne sia alla fine nei cosiddetti prodotti di
reazione. Dove finisce l'energia mancante? Essa viene liberata ed è immediatamente
disponibile per qualsiasi altro uso. Come viene liberata energia? Essenzialmente in due
modi: o sotto forma di calore, quando il combustibile si riscalda insieme a tutto quello che
lo circonda, o sotto forma di particelle veloci che si allontanano. Il primo meccanismo è
molto familiare: è lo stesso che usiamo per far bollire una pentola d'acqua liberando
energia con la fiamma del gas. Il secondo meccanismo è, invece, possibile perché non è
detto che tutti i protoni, i neutroni e gli elettroni inizialmente a disposizione finiscano poi nei
nuclei residui. Quelli che avanzano si allontanano velocemente dalla zona di reazione
portando con sé parte dell'energia liberata proprio come fa un proiettile in moto che,
grazie alla sua energia, riesce a penetrare un materiale o a rompere un vetro.
Il problema successivo è capire se questa energia sia disponibile per scopi pratici. Un uso
militare, ad esempio, richiederebbe non solo la disponibilità di una grande quantità di
energia, ma anche che essa sia effettivamente disponibile in un tempo molto breve:
molta energia a disposizione in un tempo molto breve significa poter provocare
un'esplosione. Molta energia disponibile, ma su tempi relativamente lunghi, significa,
invece, disporre di una fonte di energia alternativa per usi civili ed industriali.
LA FISSIONE NUCLEARE E LE BOMBE A FISSIONE
E' risaputo che i nuclei di molti atomi sono stabili cioè, se lasciati in disparte, rimangono
inalterati nel tempo. Questi sono i nuclei della maggior parte degli elementi naturali. Altri
nuclei sono instabili, cioè si frammentano in un tempo brevissimo di circa 1 milionesimo di
miliardesimo di secondo. Questi nuclei sono ovviamente assenti in natura: appena se ne
forma uno per un qualunque motivo, subito esso "scompare" per fissione nucleare. Altri
nuclei sono semi-stabili: cioè tendono a rompersi in un tempo relativamente lungo, da
qualche secondo a qualche milione di anni. Questi nuclei esistono in natura, sebbene in
piccole quantità, e vengono chiamati "debolmente radioattivi". Per stimolare i nuclei
debolmente radioattivi bisogna, in qualche modo, modificarli. Uno dei metodi più
semplici per sbilanciare qualcosa o qualcuno è quello di urtarlo. Così è anche per questi
nuclei: se vengono urtati da un neutrone, ad esempio, essi tendono a decadere, cioè a
rompersi, immediatamente. Quindi, concentrando in un piccolo volume notevoli quantità
di un materiale debolmente radioattivo possiamo sperare che alcuni dei neutroni prodotti
nelle(poche)fissioni naturali che avverrebbero comunque vadano a colpire altri nuclei,
rendendoli instabili, provocando altre fissioni, e così via. Se riusciamo a far autoalimentare
questo processo a catena, otterremo rapidamente una grande quantità di energia.
Questo meccanismo è quello che sta alla base della costruzione delle cosiddette bombe
nucleari a fissione, cioè quelle il cui meccanismo di produzione di energia si basa sulla
fissione di nuclei pesanti in nuclei più leggeri. Grafico dei nuclei. Ciascun puntino
rappresenta un nucleo, avente Z protoni
e A – Z neutroni. Per piccoli valori di Z, i
nuclei si trovano all’incirca sulla bisettrice
degli assi (quindi è, all’incirca, A = 2Z). Per
grandi valori di Z, i nuclei hanno
chiaramente un eccesso di neutroni
rispetto ai protoni. I puntini neri si
riferiscono agli isotopi più stabili.
Due elementi si sono rivelati particolarmente utili per la costruzione di questo tipo di
bombe: l'uranio ed il plutonio. E' indispensabile adesso introdurre la convenzione
normalmente utilizzata per identificare i vari isotopi dei diversi elementi: essi vengono
normalmente indicati con un numero in alto a sinistra seguito da una o più lettere, dove il
numero indica la somma dei protoni e dei neutroni presenti (è detto massa atomica e si
indica con A) e, chiaramente, la lettera (o le lettere) identifica l'elemento chimico di
appartenenza. Sapendo che ogni atomo è caratterizzato da un ben definito numero di
protoni, e quindi di elettroni, chiamato numero atomico (che si indica con Z), risulta ben
chiaro che il numero di neutroni presenti in un atomo sarà dato dalla differenza della
massa atomica con il numero atomico (numero neutroni = A - Z). Un esempio:
considerando l'atomo di deuterio H (che è un isotopo dell'idrogeno) e sapendo che
2
l'atomo di idrogeno ha il numero atomico uguale a 1 si può risalire facilmente al numero
di neutroni dato da 2 (massa atomica) - 1 (numero di massa) = 1 (numero dei neutroni
presenti nell'atomo). In natura si trovano normalmente diverse percentuali dei vari isotopi
dello stesso elemento. L'ossigeno naturale, per esempio, è composto prevalentemente
dall'isotopo 16O, ma anche piccole percentuali di altri isotopi con 8 protoni ed un numero
variabile di neutroni sono presenti.
La scoperta della fissione nucleare è dovuta in larga parte agli esperimenti di Fermi, il
quale per primo bombardò con neutroni l'uranio naturale, durante gli anni '30. L'uranio è il
più pesante degli elementi chimici naturali. Il suo nucleo è composto da ben 92 protoni
ed un numero variabile di neutroni. In massima parte l'uranio naturale è costituito
dall'isotopo U, cioè con 238 - 92 = 146 neutroni. Ma, mescolato ad esso nella
238
percentuale dello 0,7% si trova anche l' U, con 143 neutroni. L' U è debolmente
235 235
radioattivo: su 100 nuclei di U se ne spezzano 50 in media in un tempo di 4,5 miliardi di
235
anni. Un processo di fissione naturale estremamente lento. L' U è invece un nucleo
236
instabile e non esiste in natura. Se bombardiamo con neutroni dell'uranio naturale, la
maggior parte di essi andranno contro i nuclei di U, formando il nucleo instabile U il
235 236
quale immediatamente si scinde. Si osserva quindi in questo esperimento un aumento
della radioattività naturale: i nuclei di U si scindono ad un ritmo accelerato rispetto a
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quello naturale a causa del bombardamento di neutroni.
Da un punto di vista militare, il fatto che la maggior parte dell'uranio naturale sia
composta da U non è piacevole. Per costruire un'efficiente bomba a fissione all'uranio
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bisognerà innanzi tutto separare l' U dall' U. Si è detto che concentrando una data
235 238
quantità di materiale debolmente radioattivo, man mano cresce la probabilità che alcuni
dei neutroni emessi nelle(poche) reazioni naturali colpiscano altri nuclei nelle vicinanze,
provocando reazioni indotte. Quindi la radioattività naturale crescerà progressivamente,
man mano che si aggiunge altro materiale. Per ogni materiale fissile, cioè in grado di
subire una fissione nucleare, esiste una quantità minima di materiale che bisogna
concentrare per provocare un'esplosione nucleare. Questa quantità viene detta massa
critica.
Per l' U la massa critica è di circa 16 Kg equivalente ad una pallina del diametro di 12
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cm. Ovviamente sarà opportuno rimanere ben lontani nel momento in cui si riescano ad
ottenere i fatidici 16 Kg: non appena raggiunti la pallina di uranio esploderebbe
spontaneamente. La prima bomba di questo tipo esplose il 16 luglio 1945, per prova, ad
Alamogordo nel Nuovo Messico (vedi progetto Manhattan), una zona desertica degli stati
uniti. Essa era costituita da due pezzi di U: una sfera di 12 cm di diametro, con un foro
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cilindrico nel mezzo e poi un cilindro che entrasse perfettamente nel buco. Fino a che il
cilindro è fuori dalla sfera nulla accade tranne un piccolo aumento della radioattività.
Una piccola bomba al tritolo spingeva quindi il cilindro dentro la sfera e, poiché erano
stati raggiunti i 16 Kg di massa critica, si innescò istantaneamente un'esplosione nucleare.
La seconda e la terza bomba, all'uranio ed al plutonio, esplosero rispettivamente il 6 ed il
9 agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki.