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Introduzione
L’ombra e la sua presenza nelle rappresentazioni artistiche e letterarie, nonché nella
riflessione filosofica, costringe a confrontarsi con concetti quali il doppio, il male, il
rapporto tra realtà e apparenza e tra presenza spirituale e corporea. L'idea di ombra inoltre
si caratterizza fin da subito di una dualità, di una contraddizione: se da una parte, infatti,
rappresenta l'assenza, dall'altra testimonia una presenza. L'ombra è anche una presenza
necessaria senza la quale l'uomo sembra non riconoscersi nella sua corporeità.
Sono così partito dal Mito della caverna di Platone, che ha senza dubbio influenzato la
storia dell'arte, della letteratura e della filosofia, fino ad arrivare al Viandante di Nietzsche.
Da qui ho inseguito l'idea del doppio dall'opera romantica di Chamisso al Fu Mattia Pascal
di Pirandello. L'ombra è qui dunque sicuramente una presenza necessaria senza la quale
l'uomo non è più uomo. Nel primo caso infatti la sua assenza rende la vita impossibile a
Peter Schlemihl che farà di tutto per ricomprarla; nel secondo invece rappresenta il passato
perché il “fu” che Mattia Pascal aveva fatto morire resta inesorabilmente sempre presente
attraverso l'ombra.
Nella cultura greca l'ombra rappresentava ciò che restava di una persona dopo la morte,
ossia dopo l’istante in cui corpo e anima si dividevano. Dal concetto quindi di skià nel
Menippo o la Negromanzia di Luciano di Samosata, in cui le ombre diventano addirittura
accusatrici delle malefatte degli uomini di fronte al tribunale dell'Ade, sono passato a J.
Conrad che in “Heart of darkness” rappresenta l'ombra come simbolo del male. Anche in
“Apocalypse now” l'ombra taglia continuamente il volto dei personaggi, proprio a
rappresentare questo male, questo orrore radicato ormai negli uomini. E’ stato interessante
vedere come lo stesso autore in un altro romanzo, “The shadow line”, abbia rappresentato
l'ombra piuttosto come ostacolo, come scalino tra l'adolescenza e l'età adulta, come quindi
una presenza da lasciarsi alle spalle.
Una simile rappresentazione si può individuare nelle Metamorfosi di Apuleio, in cui
l'interpretazione della storia sembra proprio voler suggerire che è meglio non indagare,
non sapere, non svelare ciò che è in ombra, dimostrando le conseguenze dell'eccessiva
curiositas dei personaggi. L'ombra, l'oscurità, ciò che non si deve vedere sono infatti alcuni
tra i temi centrali della favola di Amore e Psiche, in cui Psiche non resiste alla sua insaziabile
curiosità e di nascosto spia il volto dell’amante Cupido, avvolto nell'oscurità.
Se in tale vicenda gli amanti non si devono vedere e l'ombra sembra essere garante di un
rapporto, Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia descrive invece la storia di Butade e di
sua figlia, la quale tratteggiò con una linea il volto dell'amante su una parete pur di averlo
sempre vicino a sé anche dopo la sua partenza. Tale vicenda è meglio nota come
l'invenzione della pittura, in quanto per la prima volta si ha una rappresentazione pittorica
della realtà. L'ombra diventa quindi anche testimonianza di un qualcosa che c'è o che c'è
stato. Proprio in questo senso essa è anche stata un valido strumento di conoscenza. Grazie
all'ombra, ad esempio, Eratostene di Cirene e Aristarco di Samo sono riusciti a calcolare
approssimativamente la circonferenza della terra e la distanza Terra-Luna-Sole, così come
l'ombra delle piramidi ha posto le basi per il Teorema di Talete.
Dopo questo sommario excursus è giunto il momento di confessare l’origine di questa
investigazione. Il punto di partenza è stata la fotografia e in particolare una lezione seguita
presso il Centro Sperimentale, in cui si parlava dell'importanza di creare una dialettica tra
luci ed ombre nella composizione delle foto. Mi ha incuriosito il discorso della
presenza/assenza e della rappresentazione della realtà. Nella fotografia l'ombra ha infatti
un ruolo importantissimo; anzi potremmo dire che in una fotografia sono presenti solo
ombre e che, quando si stampa un negativo, la carta viene impressionata dall'ombra
proiettata degli alogenuri d'argento che hanno reagito alla luce.
Agli occhi di un fotografo la realtà sembra costituita di sole ombre, tanto che l’uomo può
essere ancora cantato con Pindaro come il “sogno di un'ombra”. Giorgio Di Noto, III D
Letteratura Latina: Plinio il Vecchio - Apuleio
Nella “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio troviamo la prima testimonianza dell'uso
dell'ombra: essa sarebbe stata, infatti, l'elemento che ispirò la nascita della pittura. Proprio
Plinio infatti scrive: “omnes umbra hominis lineis cicumducta”. Poco
(Naturalis Historia XXXV, 15)
più avanti l'autore torna di nuovo sull'argomento, attribuendo ora questo “contornare
l'ombra umana con una linea” come il principio anche della scultura. Introduce quindi la
storia della figlia del vasaio Butade, la quale si dice abbia tracciato sulla parete le linee del
viso del suo amato, in partenza, per averne sempre il ricordo; e proprio su queste linee
Butade avrebbe impresso l'argilla creando un modello plastico dell'amato. Riporto il testo
in latino: “ De pictura satis superque. Contexuisse his et plasticen conveniat. Eiusdem opere terrae
fingere ex argilla similitudines Butades Sicyonius figulus primus invenit Corinthi filiae opera quae
capta amore iuvenis, abeunte illo peregre, umbram ex facie eius ad lucernam in pariete lineis
cicumscripsit, quibus pater eius impressa argilla typum fecit et cum ceteris fictilibus induratum
igni proposuit, eumque servatum in Nymphaeo, donec Mummius Corinthum everterit, tradunt”.
(Naturalis Historia XXXV, 151)
Per quanto riguarda il primo brano, Plinio vuole, sotto le righe, dimostrare come i greci
non ebbero la rivelazione della pittura guardando l'arte egizia, ma guardando le ombre
degli esseri umani. In effetti sia nelle proiezioni delle ombre che nelle figure umane egizie
emerge quella bidimensionalità caratteristica della pittura più antica.
Circa il secondo brano, riporto quanto ha scritto Victor Stoichita in Breve storia dell'ombra:
“ Emerge abbastanza chiaramente dai due testi che la prima funzione possibile della
rappresentazione basata sull'ombra è quella di supporto mnemonico: essa rende presente l'assente.
In questo caso è la rassomiglianza (similitudo) dell'ombra ad avere i ruolo principale.” Nel
racconto di Plinio ritroviamo inoltre anche quella concezione platonica di
rappresentazione della rappresentazione: la figlia del vasaio cerca di raffigurare sulla
parete il contorno della proiezione del suo amato, creando in questo senso un doppio del
doppio, a cui si aggiunge ancora la scultura di argilla che Butade successivamente
eseguirà. Emerge quindi, prima col circoscrivere l'ombra e poi col darle plasticità,
l'esigenza di rendere concreto questo doppio dell'amato. E' noto infatti come l'ombra nella
mitologia greca rappresenti l'anima dell'uomo dopo la morte: il racconto può essere quindi
letto come un atto propiziatorio in vista della partenza dell'amato.
Nel racconto di Plinio inoltre l'ombra diventa come il simbolo di un legame, è quel
simbolo che unisce per sempre l'amore tra i due amanti.
Nella letteratura latina il tema dell'ombra, se da una parte continua ad essere metafora di
morte e regno degli inferi, dall'altra si evolve fino a diventare garante di un rapporto
amoroso e figura opposta alla curiositas. Proprio nella favola di Amore e Psiche nelle
Metamorfosi di Apuleio, l'ombra ha il compito di oscurare il volto di Cupido affinché
Psiche non lo veda: è questa infatti la condizione che Cupido stesso ha imposto all'amata a
causa dell'invidia della madre Venere. Ma quello che viene chiamato “insatiabili animo
Psyche, satis et curiosa” porta Psiche ad illuminare il volto di Cupido mentre egli dorme, ma
tuttavia lo sveglia bruciandolo con una goccia di cera; il rapporto così si interrompe e
Cupido fugge.
Questa favola, che è speculare alla favola di Lucio, protagonista delle Metamorfosi, è una
condanna verso la curiositas “insaziabile” che porta Lucio a diventare Asino e Psiche a far
fuggire Cupido. Apuleio in un certo senso ci suggerisce che è meglio non sapere e l'ombra
e la luce sono proprio i simboli della conoscenza e della “non-conoscenza”. In tutta la
favola infatti il tema del vedere è davvero centrale: vedere significa conoscere e la
conoscenza spesso è una causa dell'eccessiva curiositas. L'ombra invece nasconde qualcosa
che non vale la pena di essere scoperta e mantiene in equilibrio la storia. “Tunc Psyche et
corporis et animi alioquin infirma fati tamen saeuitia subministrante uiribus roboratur, et prolata
lucerna et adrepta nouacula sexum audacia mutatur. Sed cum primum luminis oblatione tori
secreta claruerunt, uidet omnium ferarum mitissimam dulcissimamque bestiam, ipsum illum
Cupidinem formonsum deum formonse cubantem, cuius aspectu lucernae quoque lumen hilaratum
increbruit et acuminis sacrilegi nouaculam paenitebat.” (Metamorfosi, Liber V, XXII)
L'ombra è quindi una metafora per indicare quella fiducia necessaria nella coscienza,
nell'irrazionalità che istintivamente porta Amore e Psiche a consumare il loro amore ogni
notte nell'oscurità. La luce invece rompe l'incantesimo e contrappone al cieco amore la
razionalità, la curiositas che viene condannata da un Apuleio curiosus per eccellenza.
Letteratura Greca: Luciano di Samosata
Nella letteratura greca, l'ombra è nota per essere simbolo delle anime dei morti, che alcune
volte si ripresentano anche tra i mortali o nei loro sogni: sono infatti innumerevoli gli
esempi nell'Iliade e nell'Odissea di Omero. Ma più che su questo aspetto, ciò che mi ha
colpito e interessato è il ruolo che l'ombra ha in un racconto, un dialogo di Luciano di
Samosata. Nel “Menippo, o la Negromanzia”, infatti, Luciano descrive un dialogo tra
Menippo e Filonide: il primo racconta al secondo di un viaggio compiuto nell'Ade per
andare a trovare l'indovino Tiresia e chiedergli consiglio; Menippo vuole avere un
indicazione sul comportamento che un uomo deve tenere in vita: egli non sa se credere ed
affidarsi ai racconti di Omero, in cui si trovano adulteri, rapine, violenze ecc., o alle leggi
che dicono tutto il contrario. A questo punto Menippo inizia a chiedere consiglio ai filosofi,
ma da questi ha continuamente risposte vaghe e contrapposte: si legge tra le righe infatti
una critica alla poca attendibilità e concretezza delle filosofia, che fa venire il mal di testa
al protagonista; egli infatti riassume questo concetto con una frase: “Ogni giorno
m'empievano d'idee, d'incorporei, di atomi, di vuoto, e di tanti altri maledetti nomi che mi facevan
venire la nausea.” Così Menippo, ancora dubbioso, andò da un mago che diceva di poter
aprire le porte dell'inferno, pensando di iniziare un viaggio nell'Ade dove avrebbe trovato
l'indovino Tiresia. Ecco che Menippo si ritrova nel mondo degli inferi e giunge al tribunale
di Minosse, dove si giudicano le azioni dei morti. Proprio qui compare l'ombra: Menippo
infatti racconta a Filonide di aver visto dappertutto “pigolanti ombre” che si presentavano
come degli strani accusatori. Menippo infatti dice: “Ebbene quelle, poiché siam morti, sono gli
accusatori, i testimoni, le prove di ciò che abbiamo fatto in vita; e ad alcune di esse si dà pena fede,
perché sono sempre con noi e non abbandonano mai i corpi.” L'ombra quindi, ancora come
inscindibile doppio dell'uomo, addirittura in una ideale resa dei conti di ciò che si è fatto
in vita, diventa nostra accusatrice, in quanto testimone di tutta la nostra vita; come se ad
ognuno di noi ne fosse accoppiata una alla nascita per aver poi certa prova della nostra
condotta.
Dopo altri incontri per la vie dell'inferno, Menippo incontra finalmente Tiresia.
L'indovino, in pratica, consiglia a Menippo di restare ignorante, perché la vita
dell'ignorante è la migliore, la più saggia. Tiresia infatti suggerisce sottovoce di mandare
alla malora tutti i filosofi e di vivere giorno per giorno senza preoccuparsi di “strolagare sui