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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: Il consumismo come malattia dell'identità
Autore: Pepoli Veronica
Descrizione: la nostra società vive lillusione del lusso a tutti costi. lunica frenesia possibile per ogni individuo sembra essere proprio di primeggiare come consumatore e lideologia consumistica sembra fermare paradossalmente, ogni progresso. nel suo saggi
Materie trattate: Filosofia,Storia, Economia Aziendale, Arte, Geografia, Spagnolo, Italiano, Inglese E Francese
Area: umanistica
Sommario: Filosofia, Erich Fromm, Essere o Avere,analizza la condizione dell'essere che sembra riassunta nella condizione dell'avere "se uno non ha nulla non è nulla". Storia, Gli Anni 60 il miracolo economico,lo sviluppo economico a portato all'ampliamento dei consumi di massa. Economia, La pubblicità , il mezzo di comunicazione che enfatizza il consumatore a comprare un certo prodotto. Obbiettivi: goodwill e lifestyle. Arte, Andy Warhol e le opere darte nella pubblicità , colui che definì per la prima volta la pubblicità come arte. I cliché spesso sono opere d'arte famose che suscitano la curiosità dei consumatori. Geografia, Las Vegas , la città del consumismo nel deserto, esempio di quella che è una società malata. Arte, Il mito di Narciso Spagnolo, El Narcisismo de Lorca, l'analisi del poeta che paragona la morte all'amore di se stessi: l'amore di sé droga e uccide, non è un caso che dalla parola narciso provenga narcosi. Italiano, Luigi Pirandello e il relativismo psicologico e il contrasto tra a vita e la forma, ognuno di noi per adeguarsi alla società deve indossare una maschera che porta all'inconsapevolezza della realtà . Inglese, Stevenson Dr. Jekyll and Mr.Hyde, esempio di contrasto tra vita e forma. Francese, Charles Baudelaire con il testo in prosaEnivrez-vous e la poesia lEnnemi,dove si esprime una soluzione al problema. Appassionarsi di ideali positivi può infatti distrarre da quella che è considerata al malattia del mondo e la noia che può subentrarvi.
L’innovazione tecnologica
La liberalizzazione del mercato e il nuovo sistema monetario si integrarono con una nuova
innovazioni tecnologiche,
e straordinaria stagione di paragonabile a quella che si verificò in
Inghilterra alle soglie della rivoluzione industriale. La differenza con quanto accadde due
integrazione tra sviluppo economico e
secoli prima è rappresentata dal grado più elevato di
scienza , che in questa nuova fase di espansione economica fu estremamente alto, con il
risultato non solo di ridurre i costi di produzione, ma di ampliare la gamma dei prodotti
industriali a disposizione dei consumatori.
Come ogni epoca di accelerazione dell’industrializzazione, il ventennio 1950-70 fu legato
l’energia atomica,
alla scoperta e all’utilizzazione di una nuova fonte di energia, nata dalla
fissione nucleare. Agli impieghi militari si combinarono quelli civili, legati alla produzione
elettrica mediante centrali atomiche.
Fino agli anni ’60 il maggior ostacolo a un più ampio ricorso dell’energia nucleare fu
rappresentato dai bassi prezzi del petrolio. I consumi petroliferi perciò crebbero
vertiginosamente. La possibilità di accedere alle fonti di energia e alle materie prime dei
paesi del terzo mondo che in cambio di tali esportazione domandavano infrastrutture e
beni di investimento, giocò un ruolo centrale nel favorire la dilatazione dei consumi.
La crescita demografica
Un ulteriore fattore di questo sviluppo economico fu la crescita demografica , dovuta in
buona parte alla diminuzione di mortalità, all’improvviso aumento delle nascite (Baby
boom) e all’invenzione di nuovi medicinali come la penicillina (che consentì di debellare le
malattie infettive, dal tifo alla tubercolosi), gli antibiotici e alcuni vaccini, in particolare
quello contro la poliomielite.
L’aumento della popolazione si intrecciò poi con una straordinaria spinta
all’urbanizzazione. La conseguenza di questi due processi fu un incremento significativo
dei consumatori e una crescita di disponibilità di forza-lavoro per le imprese industriali:
due fattori che contribuirono a stimolare la produzione di beni per una domanda in
continuo aumento su scala planetaria.
I nuovi consumi
Ai bassi costi del petrolio e dell’energia furono legate alcune straordinarie innovazioni dei
consumi, dapprima nei paesi ricchi poi in tutto il pianeta: la diffusione su larghissima scala
dell’automobile (che divenne l’emblema dei consumi di massa negli anni ’50 e ‘60),le
materie plastiche derivate in larga parte dalla sintesi degli idrocarburi e gli
elettrodomestici (frigorifero elettrico,lavatrice), la luce elettrica entrò ormai in ogni casa, di
città e di campagna,consentendo ad ogni famiglia di sentire la radio e soprattutto di
vedere la televisione.
Ciò ebbe come effetto una crescita intensissima dei consumi individuali, che a loro volta
costituirono il principale fattore dello sviluppo economico.
Certamente, in un sistema economico integrato come quello del secondo dopoguerra, il
modello economico americano si impose anche in Europa e Giappone, ponendo al centro
del sistema produttivo le imprese di beni di consumi di massa.
Tutto ciò modificò profondamente la mentalità collettiva: i progressi della medicina
allungavano la vita, le scoperte scientifiche aumentavano a dismisura le opportunità e il
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soddisfacimento dei bisogni, l’aumento dei redditi favoriva i consumi,lo stato sociale
(welfare) cominciava a garantire ai cittadini la tutela dei servizi sociali indispensabili,
determinando l’affermazione di una crescente fiducia nel futuro.
La crescita dei consumi rappresentò la conseguenza di questa diffusa speranza che il
futuro sarebbe stato migliore del passato. I consumi infatti si ampliarono da merci
strettamente indispensabili per la sopravvivenza a beni sempre più voluttuari, dando a chi
vi accedeva la misura di un’ insolita libertà e di un crescente benessere.
L’Italia del “miracolo”
Come per molta parte del mondo occidentale, anche in Italia i primi tre anni post bellici
furono caratterizzati da un’onda di sviluppo economico di straordinaria intensità.
L’appartenenza all’alleanza atlantica e l’egemonia della Democrazia cristiana costituirono
il quadro politico e geopolitico all’interno del quale , già nella prima metà degli anni ’50, si
avviò il decollo economico. Il settore che lo trainò fu quello industriale, soprattutto
dell’industria meccanica, elettromeccanica, siderurgica, dei cementi e delle fibre artificiali,
mentre l’agricoltura perdeva progressivamente peso.
I risultati raggiunti dall’economia italiana furono notevolissimi, molto superiori a quelli
conseguiti nello stesso periodo da altri stati industrializzati, quali Gran Bretagna e gli
stessi Stati Uniti; grazie a questo slancio produttivo l’Italia non solo si affermò come paese
ormai definitivamente industriale, ma si collocò ai primi posti della graduatoria dei paesi
avanzati. Questo processo fece parlare di “miracolo economico”: proprio in virtù del fatto
che il tasso di crescita dell’economia italiana, almeno fino agli inizi degli anni ’60, fu tra i
più elevati del mondo e che erano pochi i paesi che alla fine di una guerra persa e
distruttiva avrebbero potuto raggiungere obiettivi tanto ambiziosi.
I miglioramenti delle condizioni di vita
Questa crescita comportò un miglioramento delle condizioni di vita degli italiani, con
l’affermazione di nuove abitudini sociali, quali la villeggiatura, gli svaghi, con
l’innalzamento della scolarizzazione e l’estensione dei consumi a nuovi beni quali
l’automobile e gli elettrodomestici, propri di un paese sviluppato. Come in tutto
l’Occidente, anche in Italia
l’automobile e la televisione
divennero i simboli di questa
società dei consumi di massa e
del benessere diffuso.
Nel 1953 la FIAT aprì il nuovo
stabilimento di Mirafiori a Torino,
dove vennero prodotte le
Seicento e le Cinquecento, le
nuove utilitarie destinate al
consumo di massa, immesse sul
mercato a partire dal 1955-56.
Nel 1954 iniziarono le trasmissioni della televisione di stato, “lascia o raddoppia”presentata
come
“il musichiere”presentato
da Mike Buongiorno, e da Mario Riva. Tutto ciò modificò
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radicalmente la fruizione del tempo libero degli Italiani e costituì un potente fattore di
omogeneizzazione culturale e linguistica.
A queste trasformazioni si aggiunse anche una tumultuosa modernizzazione delle
abitudini sociali e dei consumi, che garantì una riduzione delle differenze tra i sessi e una
relativa emancipazione della donna.
A questo si combinò una progressiva perdita di ruolo e centralità della religione cattolica,
da cui derivò una graduale laicizzazione della società.
I fattori della crescita economica
La diffusione del benessere, almeno fino agli anni sessanta, venne ostacolata dai bassi
salari su cui poggiava l’imponente crescita del sistema industriale. Infatti ai fattori
economici che alimentarono l’intero ciclo di sviluppo di tutto l’occidente (ritorno al libero
scambio,stabilità garantita dall’egemonia del dollaro, innovazione tecnologica, dilatazione
dei consumi e dei prezzi delle materie prime e delle fonti energetiche a basso costo) in
Italia si aggiunsero due fattori originali e specifici: l’intervento dello stato e la disponibilità
di una grande riserva di manodopera a basso costo.
I nuovi governi democratici, diretti dalle forze moderate che facevano capo alla
Democrazia cristiana, non smantellarono l’imponente impalcatura delle industrie
pubbliche ereditata dal fascismo e prevalentemente raccolte nell’IRI; anzi,venne
incrementata con la costruzione nel 1953 dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), cui faceva
capo la gestione delle risorse energetiche;in esso confluì l’AGIP (Azienda Generale Italiana
Petroli), impresa fondata nel 1926 e addetta alla raffinazione e distribuzione dei prodotti
petroliferi tra cui la benzina, che ebbe un ruolo decisivo nel favorire la motorizzazione di
massa. Tramite questo sistema di imprese statali lo Stato riuscì a giocare un ruolo decisivo
nel nuovo ciclo di espansione apertosi alla fine degli anni quaranta, garantendo alle
imprese private prodotti di base (acciaio,carburanti, elettricità) a basso costo, che
potenziarono le capacità competitive del sistema industriale italiano sui mercati
internazionali, senza sovrapporsi al pieno disgregarsi dell’iniziativa privata.
Dal 1956 questa complessa struttura produttiva, all’interno della quale operavano anche le
tre principali banche italiane in quanto proprietà dell’IRI (Banco di Roma,Credito
Italiano,Banca Commerciale), venne sottoposta al controllo del nuovo ministero delle
Partecipazioni statali.
Il problema del Mezzogiorno
La promozione dell’industria di base venne ulteriormente stimolata con la cassa per il
mezzogiorno varata nel 1950, il cui scopo era finanziare non solo grandi opere
infrastrutturali, quali bonifiche, strade, acquedotti, ma soprattutto investimenti industriali
nel sud.
Attraverso un consistente flusso di investimenti vennero costruite in alcune aree
meridionali e soprattutto il Puglia, in Sicilia e in Sardegna, grandi imprese petrolchimiche
e siderurgiche. Queste imprese dovevano diventare grandi “poli di sviluppo” in grado di
rilanciare l’economia meridionale e di garantire occupazione alla massa crescente di
lavoratori agricoli sottoccupati. In realtà questo obiettivo non venne realizzato, non solo
per gli sprechi del denaro pubblico, ma anche perché le grandi imprese di base non furono
in grado di assorbire molta manodopera e di stimolare la crescita di un tessuto di medie
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imprese (tanto da venire poi battezzate “cattedrali nel deserto”). Questa immensa riserva
di manodopera rurale, che non riusciva ad essere assorbita nei tradizionali flussi migratori
temporanei e permanenti verso i paesi industrializzati europei, costituì l’altro fattore
interno che favorì il “boom economico” italiano. Infatti a questa massa di lavoratori
disponibili a essere impiegati con salari bassissimi si rivolse il sistema delle imprese in
larghissima espansione, stimolando una ondata migratoria dal sud al nord senza
precedenti nella storia italiana: il Nord assorbì milioni di emigrati dal Sud in cerca di
lavoro, sostituendosi agli Stati Uniti e ad altri paesi europei come meta dell’emigrazione
meridionale. Sia le grandi imprese (Fiat, Montecatini, Snia, Viscosal, Olivetti, Pirelli, Breda,
Falk)sia le piccole e medie aziende, su cui si venne costituendo il tessuto connettivo del
sistema industriale italiano, poterono avvalersi di questo vantaggio competitivo che,
influendo in maniera decisiva sul prezzo di vendita, rendeva le merci italiane più
concorrenziali sui mercati esteri.
Il declino dell’agricoltura
L’abbandono delle campagne da parte di milioni di lavoratori agricoli ebbe l’effetto di
fare sparire figure sociali che avevano costituito per secoli l’ossatura della società rurale
italiana. In prima istanza si verificò la drastica riduzione dei braccianti, i salariati agricoli,
su cui era imperniata sia l’agricoltura capitalistica della valle padana sia la cerealicoltura
estensiva dei latifondi meridionali. Con i braccianti scomparve nell’Italia centrale la
mezzadria, un’eredità medievale che non fu in grado di sopravvivere a un’agricoltura
proiettata nel mercato mondiale, anche se questo processo non consentì la formazione su
larga scala di medie aziende competitive, in grado di garantire la vitalità di un’agricoltura
altamente specializzata come quella dell’Italia centrale.
Qui, ma soprattutto nel Mezzogiorno, a una grande proprietà poco interessata allo
sviluppo dell’agricoltura continuativa a fare riscontro una piccola proprietà poco
produttiva, che non era in grado di garantire livelli di reddito sufficienti alle famiglie dei
coltivatori diretti. In ogni caso in Italia non venne stimolata la creazione di quella media
azienda agraria condotta in proprio dalla famiglia contadina, che negli Stati Uniti e nel