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Sintesi

Introduzione Un'idea dell'India, tesina



«Che ti è accaduto in India? Ho fatto un’esperienza. Quale esperienza? L’esperienza dell’India. E in che cosa consiste fare l’esperienza dell’India? Consiste nel fare l’esperienza di ciò che è l’India. E cos’è l’India? (…) L’India è l’India. (…) Neppure io so veramente cosa sia l’India. La sento, ecco tutto. Anche tu dovresti sentirla». Così Alberto Moravia mette in guardia i suoi lettori, come a dire: l’India esiste, ma non può essere ridotta ad una formula, ad una sentenza, ad uno slogan. Ed è stato un sentimento analogo, oltre ad un istintivo interesse per il mondo orientale, ad avermi incoraggiata a soffermare la mia attenzione, e focalizzare la mia tesina di maturità, sull’Est del mondo, ed in particolar modo sulla realtà indiana e i rapporti che ha instaurato con la società occidentale. Ad acuire il mio interesse ha contribuito il notare come la concezione che l’uomo occidentale ha dell’India trovi spazio degno di nota nella letteratura, nella filosofia e nell’arte dal mondo greco, passando per quello latino sino ai nostri giorni.
Nella tesina, osservando il quadro più ampio, l’Oriente ha da sempre suscitato in Europa forte attrazione: per le dimensioni geografiche, per la varietà di lingue, di popoli, di tradizioni religiose e per le ricchezze, che siano reali o immaginate. I primi contatti tra il mondo occidentale e quello asiatico furono di natura commerciale, che in epoca greco-romana si registrano con eccezionale intensità, mentre i rapporti politici, a parte la meteora dell’impresa di Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C., furono scarsi. Attestato è l’interesse dei Romani per i prodotti provenienti dall’Oriente, in particolar modo per gli indumenti, ce ne forniscono attendibile testimonianza Plinio il Vecchio quando nella sua Naturalis historia parla degli orientali definendoli “Seri, famosi per il filato ottenuto dalle foreste” (VI, 54), e Seneca che, riferendosi ad indumenti di seta importati dalla Cina e molto in voga durante l’Età Imperiale, si domanda se “materiali che non nascondono il corpo possano essere definiti abiti” (De beneficiis VII, 9,5).
Vorrei evidenziare, come, al di là delle ragioni commerciali, ciò che unisce i due universi abbia radici più profonde, come lo spiritualismo orientale, e in particolar modo quello indiano, abbia avuto un ruolo singolare e a mio parere significativo nello sviluppo del pensiero europeo. Partendo dunque dall’antica Grecia è di grande interesse la produzione, nonché la vita, del fondatore della storiografia occidentale: Erodoto, che scrive dell’India circondandola di un alone mitico e fantastico, e ricordandola come l’ultimo dei paesi abitati in uno dei suoi celebri logoi, per altro frequenti nella sua opera storiografica. Una simile immagine della lontana terra ci viene fornita da Apuleio di Madauro, notevolissima personalità della letteratura latina del II secolo, che, conosciuto per la sua fama di mago, non rinuncia a raccontarci di un’India dal territorio sconfinato e abitata da animali enormi. Certamente il rapporto tra la cultura classica e quella indiana fu in alcuni momenti controverso ed è al centro di un dibattito ancora aperto, citando lo storiografo russo Bongard-Levin: «l'India fu vista dal mondo classico sotto aspetti differenti, influenzati dal diverso atteggiamento morale e gnoseologico che l'Occidente di volta in volta assumeva, nonché più in generale dalla specificità della cultura greco-romana».
Con il tramonto dell’Impero Romano anche i rapporti commerciali tra i due grandi continenti finirono per allentarsi e durante il Medioevo, in un’Europa occidentale che aveva perso il contatto diretto con l’Oriente, rimaneva di questo soltanto la memoria e l’immagine di favolosa ricchezza. Tra il XV e il XVI secolo a spingersi in Oriente insistettero i portoghesi, che intorno al 1497-98, con Vasco da Gama, raggiunsero l’agognata India, costeggiando l’Africa e oltrepassando il Capo di Buona Speranza. La conoscenza di queste terre fu arricchita nei decenni successivi dai navigatori che raggiungevano le terre dell’Estremo Oriente principalmente per ragioni economiche.
Tra il XIX e il XX secolo le potenze europee Francia, Inghilterra, e in misura minore Italia e Germania, trasformarono in colonie gran parte dei territori asiatici dove avevano instaurato protettorati commerciali. Proprio in questo periodo, a livello storico, il fenomeno del colonialismo divenne sempre più insistente e diede occasione a viaggiatori, scrittori e artisti di farne esperienza. L’esempio più compiutamente letterario di tale fenomeno ci viene fornito, nella letteratura inglese, da Edward Morgan Forster, il quale, con straordinaria concretezza, in uno dei suoi più noti romanzi, “A passage to India”, esalta la ricchezza spirituale indiana contrapposta all’insensibilità degli occidentali irrispettosi di tradizioni, di religioni e di culture tanto diverse. E nonostante Forster si faccia portavoce delle incomprensioni tra due poli opposti è stato, allo stesso tempo, inevitabile che il loro contatto abbia dato il via ad un’osmosi culturale tra il mondo occidentale e quello orientale rimasta pressoché ininterrotta, Schopenhauer, padre dell’irrazionalismo filosofico, arriva addirittura ad affermare, in uno dei suoi più celebri scritti: «Torna l’indiana sapienza a fluire verso l’Europa e produrrà una fondamentale mutazione del nostro sapere e pensare». Egli si pone infatti come punto di incontro di esperienze filosofiche eterogenee tra le quali figura anche la spiritualità indiana. Lungo il corso della storia risalta l’interesse dell’uomo occidentale per il pensiero orientale, per l’India, per una terra che, nonostante l’attuale condizione di povertà economica, nonostante sia fatta di case che crollano e gente che annega, è dotata di un’intrinseca forza vitale, di un’indistruttibile forma di vita. Ed è forse questo ciò che attira noi europei: il non poter capire fino in fondo l’India ma il poter sentire, e irrimediabilmente invidiare, la sua ricchezza spirituale.

Collegamenti


Un'idea dell'India, tesina



Greco:Erodoto di Alicarnasso.
Latino:Apuleio di Madauro.
Storia:Il colonialismo.
Filosofia:Arthur Schopenhauer.
Inglese:E. M. Forster.
Italiano:Alberto Moravia.
Estratto del documento

UN’IDEA

DELL’INDIA:

Lo spiritualismo indiano in Occidente

Curcuruto Giulia

Classe III Sez. A

Anno Scolastico 2015/2016

Premessa

«Che ti è accaduto in India? Ho fatto un’esperienza. Quale esperienza? L’esperienza dell’India.

E in che cosa consiste fare l’esperienza dell’India? Consiste nel fare l’esperienza di ciò che è

l’India. E cos’è l’India? (…) L’India è l’India. (…) Neppure io so veramente cosa sia l’India. La

sento, ecco tutto. Anche tu dovresti sentirla». Così Alberto Moravia mette in guardia i suoi

lettori, come a dire: l’India esiste, ma non può essere ridotta ad una formula, ad una

sentenza, ad uno slogan. Ed è stato un sentimento analogo, oltre ad un istintivo interesse per

il mondo orientale, ad avermi incoraggiata a soffermare la mia attenzione, e focalizzare il mio

studio, sull’Est del mondo, ed in particolar modo sulla realtà indiana e i rapporti che ha

instaurato con la società occidentale. Ad acuire il mio interesse ha contribuito il notare come

la concezione che l’uomo occidentale ha dell’India trovi spazio degno di nota nella letteratura,

nella filosofia e nell’arte dal mondo greco, passando per quello latino sino ai nostri giorni.

Osservando il quadro più ampio, l’Oriente ha da sempre suscitato in Europa forte attrazione:

per le dimensioni geografiche, per la varietà di lingue, di popoli, di tradizioni religiose e per le

ricchezze, che siano reali o immaginate. I primi contatti tra il mondo occidentale e quello

asiatico furono di natura commerciale, che in epoca greco-romana si registrano con

eccezionale intensità, mentre i rapporti politici, a parte la meteora dell’impresa di Alessandro

Magno alla fine del IV secolo a.C., furono scarsi. Attestato è l’interesse dei Romani per i

prodotti provenienti dall’Oriente, in particolar modo per gli indumenti, ce ne forniscono

Naturalis historia

attendibile testimonianza Plinio il Vecchio quando nella sua parla degli

orientali definendoli “Seri, famosi per il filato ottenuto dalle foreste” (VI, 54), e Seneca che,

riferendosi ad indumenti di seta importati dalla Cina e molto in voga durante l’Età Imperiale, si

De

domanda se “materiali che non nascondono il corpo possano essere definiti abiti” (

beneficiis VII, 9,5).

Vorrei evidenziare, come, al di là delle ragioni commerciali, ciò che unisce i due universi abbia

radici più profonde, come lo spiritualismo orientale, e in particolar modo quello indiano, abbia

avuto un ruolo singolare e a mio parere significativo nello sviluppo del pensiero europeo.

Partendo dunque dall’antica Grecia è di grande interesse la produzione, nonché la vita, del

fondatore della storiografia occidentale: Erodoto, che scrive dell’India circondandola di un

alone mitico e fantastico, e ricordandola come l’ultimo dei paesi abitati in uno dei suoi celebri

logoi, per altro frequenti nella sua opera storiografica. Una simile immagine della lontana

terra ci viene fornita da Apuleio di Madauro, notevolissima personalità della letteratura latina

del II secolo, che, conosciuto per la sua fama di mago, non rinuncia a raccontarci di un’India

dal territorio sconfinato e abitata da animali enormi. Certamente il rapporto tra la cultura

classica e quella indiana fu in alcuni momenti controverso ed è al centro di un dibattito ancora

aperto, citando lo storiografo russo Bongard-Levin: «l'India fu vista dal mondo classico sotto

aspetti differenti, influenzati dal diverso atteggiamento morale e gnoseologico che l'Occidente

di volta in volta assumeva, nonché più in generale dalla specificità della cultura greco-

romana».

Con il tramonto dell’Impero Romano anche i rapporti commerciali tra i due grandi continenti

finirono per allentarsi e durante il Medioevo, in un’Europa occidentale che aveva perso il

contatto diretto con l’Oriente, rimaneva di questo soltanto la memoria e l’immagine di

favolosa ricchezza. Tra il XV e il XVI secolo a spingersi in Oriente insistettero i portoghesi, che

intorno al 1497-98, con Vasco da Gama, raggiunsero l’agognata India, costeggiando l’Africa e

oltrepassando il Capo di Buona Speranza. La conoscenza di queste terre fu arricchita nei

decenni successivi dai navigatori che raggiungevano le terre dell’Estremo Oriente

principalmente per ragioni economiche.

Tra il XIX e il XX secolo le potenze europee Francia, Inghilterra, e in misura minore Italia e

Germania, trasformarono in colonie gran parte dei territori asiatici dove avevano instaurato

protettorati commerciali. Proprio in questo periodo, a livello storico, il fenomeno del

colonialismo divenne sempre più insistente e diede occasione a viaggiatori, scrittori e artisti di

farne esperienza. L’esempio più compiutamente letterario di tale fenomeno ci viene fornito,

nella letteratura inglese, da Edward Morgan Forster, il quale, con straordinaria concretezza, in

“A passage to India”,

uno dei suoi più noti romanzi, esalta la ricchezza spirituale indiana

contrapposta all’insensibilità degli occidentali irrispettosi di tradizioni, di religioni e di culture

tanto diverse. E nonostante Forster si faccia portavoce delle incomprensioni tra due poli

opposti è stato, allo stesso tempo, inevitabile che il loro contatto abbia dato il via ad

un’osmosi culturale tra il mondo occidentale e quello orientale rimasta pressoché ininterrotta,

Schopenhauer, padre dell’irrazionalismo filosofico, arriva addirittura ad affermare, in uno dei

suoi più celebri scritti: «Torna l’indiana sapienza a fluire verso l’Europa e produrrà una

fondamentale mutazione del nostro sapere e pensare». Egli si pone infatti come punto di

incontro di esperienze filosofiche eterogenee tra le quali figura anche la spiritualità indiana.

Lungo il corso della storia risalta l’interesse dell’uomo occidentale per il pensiero orientale,

per l’India, per una terra che, nonostante l’attuale condizione di povertà economica,

nonostante sia fatta di case che crollano e gente che annega, è dotata di un’intrinseca forza

vitale, di un’indistruttibile forma di vita. Ed è forse questo ciò che attira noi europei: il non

poter capire fino in fondo l’India ma il poter sentire, e irrimediabilmente invidiare, la sua

ricchezza spirituale. Letteratura greca

Erodoto di Alicarnasso

Notizie attendibili circa i rapporti tra l’India ed il continente europeo, nella vasta produzione

letteraria antica, compaiono per la prima volta nell’opera storiografica di Erodoto di

Alicarnasso, e in parte in quella logografica di Ecateo di Mileto, tuttavia gli studiosi

concordano nell’ipotesi che entrambi gli autori abbiano attinto ad un’opera, per noi in gran

Periplo

parte perduta, dal titolo e attribuita al greco Scilace di Carianda, che, vissuto alla fine

del IV secolo a.C., fu navigatore e conquistatore della valle dell’Indo, per conto del re persiano

Dario. Ed è proprio l’incontro-scontro tra Greci e Persiani, o per meglio dire “barbari”, a

determinare le circostanze favorevoli per l’ottenimento di informazioni, sia attraverso metodi

diretti che indiretti, sulle innumerevoli civiltà che popolano l’Asia. L’India, in particolare,

Storie,

occupa, nel terzo libro delle una sezione a carattere geografico-economico, nella quale

l’autore passa ad elencare le satrapie dell’Impero Persiano, con i rispettivi tributi, e i popoli

confinanti che inviano doni al re di Persia. L’india di Erodoto è l’ultimo, a Oriente, dei paesi

abitati, popolata da genti che si nutrono di carni crude, che uccidono e mangiano gli

ammalati, che si accoppiano in pubblico e non possiedono case. Come se non bastasse brulica

di formiche più grandi delle volpi che aggrediscono i cercatori d’oro e vi risiedono cammelli

più grossi di qualsiasi specie conosciuta dai Greci. Nonostante le informazioni siano di certo

inattendibili e straordinariamente fantasiose, le tecniche narrative adoperate da Erodoto nelle

sue descrizioni sono da considerare esemplificative della sua idea di storiografia, un genere

epos

non ancora codificato e che risente dei fortissimi influssi dell’ e della tragedia, dalle quali

ha ereditato il gusto per le gesta eroiche e l’impianto monumentale, spesso interrotto da

digressioni e sviluppi secondari. Erodoto è fondamentalmente un collezionista di conoscenze,

uno scrittore che si abbandona alla gioia di raccontare, senza rinunciare all’elemento

fantasioso e romanzesco. È infatti da sottolineare come la sua opera sia dedicata ad un

pubblico ancora avvezzo alla dimensione orale, avido di dettaglio esotico, di storie

commoventi e appassionanti. Il primitivo storiografo non ricerca la verità ma la realtà, che non

è unica ed inequivocabile ma varia e sfaccettata, possiamo dunque collocare la sua

esperienza letteraria a metà tra quella dei logografi e quella di Tucidide, storiografo

consapevole e attento alla selezione delle fonti. Per altro come Erodoto abbia concepito le

Storie nel loro complesso rimane un mistero, dando vita ad una questione per certi versi

paragonabile a quella omerica, seppur di più ridotta portata; evidenziandone le tappe e le

personalità più note, ricordiamo Felix Jacoby che nel 1913 sosteneva l’intenzione

essenzialmente logografica dell’autore e che solamente dopo essere entrato in contatto con

Atene si dedicò alla storia persiana. Nel 1926 Gaetano de Sanctis sosteneva, al contrario,

l’intento storiografico dell’opera di Erodoto che nel suo sviluppo assume i connotati di lotta tra

Storie

Greci e barbari, Max Pohlenz, propugnando la tesi unitaria, immaginava le come

logoi,

commistione di parti storiche e di nonostante al gusto moderno appaiano come

un’anomalia strutturale.

Il romanzo storico di Erodoto, se così può essere definito, occupa una posizione di rilievo nella

letteratura greca classica, in quanto costituisce la prima fonte sufficientemente attendibile per

lo studio dei rapporti tra il mondo asiatico e quello occidentale, nonché il primo passo verso la

costruzione del genere storiografico moderno. Letteratura latina

Apuleio di Madauro

È ampiamente provato che la Roma imperiale intrattenne frequenti rapporti, per lo più di

natura commerciale, con l’India, rapporti che contribuirono alla nascita, già sotto Ottaviano, di

uno spiccato gusto per gli usi, per i costumi e persino per le religioni dell’Estremo Oriente.

Apuleio di Madauro, vissuto nel II secolo d.C., non è che un esempio della fase culminante del

baratto

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