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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: Gli italiani a tavola da Mussolini agli OGM
Autore: Borlengo Elena
Scuola: Liceo scientifico
Descrizione: Fin dai tempi antichi, l'uomo ha cercato di aumentare le proprie risorse alimentari: gli egizi inventarono per primi il pane; i pastori sumeri scoprirono il formaggio (5000-6000 anni fa); nel XVI secolo le grandi scoperte geografiche fecero giungere in Europa piante alimentari mai viste prima (come patate, melanzane, pomodori e mais); nel 1800, infine, cominciò la produzione industriale della pasta. Le scoperte in campo alimentare sono sempre avvenute assai lentamente, come pure l'introduzione di nuovi cibi, e spesso limitate al luogo di produzione. Soltanto negli ultimi decenni, grazie a un imponente apparato produttivo, sostenuto da un altrettanto vasto sistema distributivo e da una meticolosa e incessante azione pubblicitaria, la creazione, il consumo e la distribuzione di nuovi prodotti alimentari si sono succeduti a ritmi vertiginosi, provocando cambiamenti notevoli nelle abitudini alimentari degli italiani.
Materie trattate: Storia (Fascismo), Biologia, Letteratura
Area: tecnologica
Sommario: I.1 MUSSOLINI E IL PANE; I.2 VIVERE BENE IN TEMPI DIFFICILI; I.3 DA MUSSOLINI ALLA RIVOLUZIONE ALIMENTARE; I.5 "UN AMERICANO A ROMA"; I.6 UN AMERICANO A NAPOLI E A BOLOGNA; I.7 FAST FOOD; I.8 CIBI GENUINI; I.9 EFFETTI CULINARI DELLA TRASFORMAZIONE ECONOMICA NEL DOPOGUERRA; I.10 LE MADRI DEGLI SPOT; I.11 TORINO 2006; II.1 I CONSUMI ALIMENTARI; II.2 STUDIO DELL'EVOLUZIONE DEI CONSUMI ALIMENTARI IN ITALIA; II.3 CONSUMI ALIMENTARI E SALUTE; II.4 LA DIETA MEDITERRANEA; II.5 LINEE GUIDA E DIETA MEDITERRANEA; III.1 OGM; III.2 COSA SI INTENDE PER OGM?; III.3 DOVE SONO COLTIVATI GLI OGM?; III.4 CHE COSA DICE LA LEGGE SUGLI OGM?; III.5 PERCHÉ VENGONO COLTIVATI?; III.6 QUALI SONO LE PRINCIPALI QUESTIONI DI INTERESSE PER LA SALUTE UMANA?; III.7 E PER L'AMBIENTE; BIBLIOGRAFIA
Bibliografia: Dickie John, Con gusto. Storia degli italiani a tavola, Editori Laterza, 2007, pp.300-437 • Lecaldano Eugenio, Dizionario di bioetica, Editori Laterza, 2002, pp.208-210. • Alberini Massimo, Storia della cucina italiana, Piemme, 1992 • Principi di alimentazione. Corso di scienza dell'alimentazione per il biennio, a cura di Faro Salvatore, Editrice San Marco, 2005 • Più so, meglio consumo. Percorso educativo per la scuola secondaria di 2° grado, progetto cofinanziato dal Ministero delle Attività Produttive e dalla regione Piemonte.
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LICEO SCIENTIFICO “L. COCITO”
Alba
Alunna: Borlengo Elena
Classe V H
A.S. 2008/2009
TESINA D’ESAME
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SOMMARIO 7
PREMESSA 9
PARTE I 9
I.1 M P
USSOLINI E IL ANE 11
I.2 V
IVERE BENE IN TEMPI DIFFICILI 11
I.3 D M
A USSOLINI ALLA RIVOLUZIONE ALIMENTARE 13
“U R ”
I.5 N AMERICANO A OMA 15
I.6 U N B
N AMERICANO A APOLI E A OLOGNA 16
F
I.7 AST FOOD 17
I.8 C
IBI GENUINI 18
I.9 E
FFETTI CULINARI DELLA TRASFORMAZIONE ECONOMICA NEL DOPOGUERRA 18
L
I.10 E MADRI DEGLI SPOT 19
I.11 T 2006
ORINO 21
PARTE II 21
II.1 I CONSUMI ALIMENTARI 21
II.2 S ’ I
TUDIO DELL EVOLUZIONE DEI CONSUMI ALIMENTARI IN TALIA 22
II.3 C
ONSUMI ALIMENTARI E SALUTE 22
L
II.4 A DIETA MEDITERRANEA 23
II.5 L
INEE GUIDA E DIETA MEDITERRANEA 25
PARTE III 25
OGM
III.1 25
III.2 C O ?
OSA SI INTENDE PER GM 25
D O ?
III.3 OVE SONO COLTIVATI GLI GM 26
III.4 C O ?
HE COSA DICE LA LEGGE SUGLI GM 26
III.5 P ?
ERCHÉ VENGONO COLTIVATI 27
Q ?
III.6 UALI SONO LE PRINCIPALI QUESTIONI DI INTERESSE PER LA SALUTE UMANA 27
III.7 … ’ ?
E PER L AMBIENTE 29
BIBLIOGRAFIA 29
SITOGRAFIA
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PREMESSA
Fin dai tempi antichi, l’uomo ha cercato di aumentare le proprie risorse alimentari: gli egizi inventarono per primi il
pane; i pastori sumeri scoprirono il formaggio (5000-6000 anni fa); nel XVI secolo le grandi scoperte geografiche
fecero giungere in Europa piante alimentari mai viste prima (come patate, melanzane, pomodori e mais); nel 1800,
infine, cominciò la produzione industriale della pasta.
Le scoperte in campo alimentare sono sempre avvenute assai lentamente, come pure l’introduzione di nuovi cibi, e
spesso limitate al luogo di produzione. Soltanto negli ultimi decenni, grazie a un imponente apparato produttivo,
sostenuto da un altrettanto vasto sistema distributivo e da una meticolosa e incessante azione pubblicitaria, la
creazione, il consumo e la distribuzione di nuovi prodotti alimentari si sono succeduti a ritmi vertiginosi,
provocando cambiamenti notevoli nelle abitudini alimentari degli italiani. Tra le cause di questi cambiamenti è
opportuno ricordare i seguenti fattori:
9 Maggiore benessere economico, quindi aumento del potere d’acquisto dei consumatori;
9 Aumento del numero dei prodotti offerti dall’industria alimentare;
9 Crescente urbanizzazione;
9 Maggiore mobilità del lavoratore sul territorio e, quindi, aumento dei pasti consumati fuori casa;
Alcune conseguenze di questi cambiamenti sono state:
9 Interesse e sensibilità da parte dei consumatori verso le problematiche alimentari;
9 Maggiore informazione in campo alimentare, anche se troppo spesso incompleta e scientificamente
infondata.
L’obiettivo di questa tesina è quello di ripercorrere le tappe più importanti dello sviluppo alimentare in Italia,
dall’epoca di Mussolini fino alle moderne Biotecnologie, per analizzarne i cambiamenti, i vantaggi e gli svantaggi
per i consumatori.
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PARTE I
I.1 Mussolini e il Pane
Roma, 1925-1938
Non era previsto che i fascisti amassero la cucina. Mangiare, se non nel modo più rapido e funzionale possibile,
aveva ben poco di fascista: le prime Camice nere preferivano consumare le loro ‘razioni’ marciando, coerentemente
col loro obbiettivo di ripristinare la disciplina delle trincee nella vita pubblica italiana del dopo Grande Guerra. Lo
stesso Benito Mussolini amava dire che nessuno dovrebbe perdere più di dieci minuti al giorno a tavola. Le
biografie incensatrici del duce, una volta instaurata la dittatura, esaltavano le sue abitudini alimentari frugali e
autodisciplinate: a colazione, soltanto latte, pranzo a tarda ora a base di bistecca, pesce o frittata con contorno di
verdure bollite, e niente di più sostanzioso di un po’ di
latte e un pezzo di frutta per cena. Raramente le foto
propagandistiche ritraevano il duce seduto, men che
mai a tavola. In realtà, Mussolini era poco incline al
galateo e non amava cenare in compagnia, forse anche
per via della sua fastidiosissima ulcera gastroduodenale,
diagnosticatagli per la prima volta nel 1925, che lo
costringeva a quella dieta insolita, con tutto quel latte e
quella frutta. Mangiare insieme a Mussolini equivaleva
a venire a conoscenza di uno dei segreti più
imbarazzanti del regime: l’inesauribile ed energico duce
della propaganda fascista era spesso indisposto.
Sul modello di Mussolini, o quantomeno del Mussolini tratteggiato dalla propaganda, i fascisti dovevano essere
tosti e aggressivi, con un giovanilistico sprezzo delle comodità: l’idea stessa di cucina trasmetteva indolenza. In una
delle sue opere più importanti scritte per illustrare la farraginosa dottrina del movimento da lui stesso creato,
pubblicata nel 1932, Mussolini diceva che “il fascismo nega il concetto materialistico di ‘felicità’ come possibile
[…] nega cioè l’equazione benessere = felicità, che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi:
quella di essere pasciuti e ingrassati”. Coerentemente con questa impostazione, la propaganda del regime negli anni
Trenta prendeva di mira la letargica avidità dei paesi nemici: gli Stati Uniti erano la “civiltà della bistecca” e gli
inglesi il popolo dei “cinque pasti al giorno”.
Mussolini si presentava come un uomo sobrio e atletico, in linea con un cliché di vecchia data (nato ben prima
dell’avvento del fascismo) che indicava gli italiani come popolo parco o frugale per intrinseca natura, con
un’inclinazione istintiva al vegetarianismo: un mito che tornava utile, perché trasformava in virtù la miseria cronica
che rendeva la carne un sogno irraggiungibile per molti contadini. Il fascismo, però, inserì questo luogo comune nel
contesto di una più ampia ideologia basata sul culto delle campagne e dell’Impero romano. Uno dei precetti
fondamentali del regime era la necessità di “ruralizzare” l’Italia, perché la vita nelle città industriali mina la virilità
della nazione, “insterilisce il popolo” e priva il paese delle truppe da destinare alle battaglie future. Gli italiani
erano una stirpe rurale, che come i contadini-legionari dell’antica Roma avrebbe marciato alla conquista
dell’egemonia nel Mediterraneo alimentandosi quasi esclusivamente di pane e un poco d’uva.
Le manovre per trasformare l’Italia in un paese permanentemente sul piede di guerra cominciarono poco dopo lo
smantellamento del regime democratico. Nel luglio 1925, fu proclamata la Battaglia del Grano, la prima grande
10 | P a g i n a
campagna propagandistica del regime: furono imposti dazi sul grano d’importazione e venne incoraggiata la
produzione interna, allo scopo di rendere l’Italia autosufficiente per il frumento; i cittadini venivano esortati a
mangiare soltanto prodotti coltivati nel paese, come il riso, il pesce, il formaggio e soprattutto il pane, oggetto di
una particolare venerazione da parte della propaganda ufficiale: il duce arrivò addirittura a comporre un poema
propagandistico al riguardo, che iniziava con le parole “Italiani, amate il pane”:
Onorate il pane
Gloria dei campi
Fragranza della terra
Festa della vita
L’esaltazione fascista della pagnotta doveva però fare i conti con un impedimento di fondo: non ce n’era mai
abbastanza per tutti. Alla fine, Mussolini non riuscì a liberare l’Italia da quella che lui chiamava la schiavitù del
pane straniero. La Battaglia del Grano fu un fallimento: il clamoroso effetto fu che il frumento diventò più raro da
trovare e più costoso. Anche quasi tutti gli altri generi alimentari seguirono la stessa sorte durante il Ventennio. Il
che spiega l’ultima strofa del poemetto mussoliniano:
Non sciupate il pane
Ricchezza della Patria
Il più soave dono di Dio
Il più santo premio alla fatica umana
Gli italiani potevano amare il pane quanto gli pareva, il problema è che ne avevano poco da mangiare.
L’alimentazione italiana, per tutto il Ventennio, rimase caratterizzata da una combinazione di austerità e di
propaganda. Man mano che la situazione peggiorava, Mussolini chiedeva sempre più sacrifici al suo popolo in
nome della creazione di un nuovo Impero romano.
Perfino nel momento in cui il regime era al suo apogeo la massa degli italiani mangiava peggio di prima. Le stime
delle calorie medie assunte ogni giorno dagli operai che vivevano nelle città evidenziano un declino: dalle 2.954 del
1926 alle 2.476 del 1936, e questo in un’epoca in cui i nutrizionisti sostenevano che un uomo che svolgeva
un’attività fisica moderata necessitasse, come minimo, di 3.000 calorie al giorno. I contadini erano rappresentati
dalla propaganda come gli esemplari più virtuosi e sani della razza, ma generalmente se la passavano anche peggio
degli altri. La storia della nutrizione di massa durante l’era fascista è la stessa vecchia storia di miseria e ristrettezze
della popolazione rurale. Se in Italia questo schema sopravvisse molto più a lungo rispetto ad altri paesi
dell’Europa occidentale, la colpa è anche dei vent’anni di regime totalitario.
Il mito fascista della frugalità era talmente radicato che solo occasionalmente il regime tentò di sfruttare a fini
propagandistici la ricchezza della cucina italiana. Uno dei casi più significativi fu la mostra di specialità regionali
del 1938, organizzata in un villaggio alquanto singolare, che ospitava la bellezza di sette trattorie tipiche regionali
di diverse zone dell’Italia. Perfino questa incarnazione dell’ideale rurale del fascismo, però, non riusciva a
dissimulare l’impronta urbana della cucina italiana: prima di tutto perché le varie trattorie rappresentavano città
come Torino, Firenze o Napoli, e in secondo luogo perché il “villaggio rustico”, com’era stato definito, era staro
appositamente costruito all’interno del Circo Massimo, il sito dove nell’antica Roma si svolgevano le corse dei
carri. Il “villaggio rustico” del 1938 fu uno dei primi esempi di kitsch gastronomico pastorale in Italia, ma non servì
ad altro che a sottolineare che la città, a dispetto di tutti gli sforzi del fascismo per ruralizzare il paese, rimanevano
isole di relativa prosperità e buona cucina. Anche sotto Mussolini le città furono centri di innovazione
gastronomica, luoghi dove la nazione veniva costruita e ricostruita attraverso il cibo. P a g i n a | 11
I.2 Vivere bene in tempi difficili
Mussolini aveva un ideale di donna, e la celebrava in film propagandistici e cerimonie di premiazione: fianchi
larghi e petto prominente, mietitrice di grano, allevatrice di polli, generatrice di piccoli legionari, donna di vigorosa
stirpe contadina. Italiana modello del duce era la “Massaia rurale”. Nei primi anni Trenta, tre milioni di donne
entrarono nelle fila della Massaie rurali, la sezione del Partito nazionale fascista creata per rendere la donna
contadina più simile all’ideale mussoliniano. I traguardi gastronomici
delle Massaie rurali, erano, come si può immaginare, alquanto limitati. La
rivista mensile dell’organizzazione nel 1935 pubblicava una ricetta tipica
per il piatto perfetto da offrire ai figli appena ritornati dalla guerra: una
“frittata patriottica”, fatta con uova, pomodori e verdure dell’orto, tutto di
produzione nazionale, che dimostrasse, mettendo in tavola il bianco, il
rosso e il verde del tricolore italiano, “che non distaccandosi dal focolare
le loro mani lavorano e il loro cuore palpita per lei [la patria]”.
All’inizio degli anni Trenta, il fascismo diede il via agli sforzi per
ricostruire l’intera società italiana a sua immagine e somiglianza,
attraverso organizzazioni totalitarie come le Masserie rurali. Ironicamente, però, furono soprattutto donne della
borghesia urbana a portare avanti la battaglia del regime in favore di costumi alimentari più spartani: le nuove
classi medie dell’epoca fascista erano smaniose di apprendere, in materia gastronomica, e a insegnare loro come si
cucina furono le esponenti di una nuova generazione di autrici di ricettari, un settore dell’editoria che era in forte
espansione.