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INTRODUZIONE
Ricordare oggi la vita e le opere di Giovanni Gentile,oltre che rappresentare un’ovvia possibilità di
ripensamento e riflessione su uno dei massimi esponenti della cultura del 900,risponde anche alle
molte suggestioni, ai molti interrogativi che le grandi figure riescono sempre a suscitare,
indipendentemente dal trascorrere del tempo e dall’attenuarsi delle passioni.
La figura di Gentile da questo punto di vista, si presta ad alimentare uno strano cortocircuito di
sentimenti e riflessioni perché sulla sua figura, sul suo ruolo, sulla sua importanza ancora ci sono
divisioni in un paese come il nostro dominato dalla memoria militante.
Ma, indipendentemente dal ruolo assunto dal filosofo in un preciso momento storico, il suo
impegno come indiscutibile “capo” della cultura italiana fu caratterizzato sempre da un tentativo di
parlare all’Italia e agli Italiani con un sentimento di concordia e di conciliazione .
Il “Discorso agli Italiani” del giugno del 43 ad esempio, nella volontà di Gentile,non rappresenta un
atto di divisione ma l’estrema voglia di diffondere proprio nel momento più tragico di una guerra
sempre più segnata dalla sconfitta, quel sentimento di concordia e di unità di intenti che avrebbe
potuto evitare forse al paese di sprofondare nel baratro della guerra civile, anche se le cose alla fine
andarono diversamente e il filosofo aderì al RSI, stato satellite sotto il controllo tedesco.
Ogni aspetto della sua attività e militanza politico-culturale è stato sempre animato da questa idea
alta di proporre e realizzare, attraverso la compresenza e il dialogo degli opposti, un’idea unitaria
che il paese in quanto tale potesse fare sua, e sulla quale potesse costruire poi la sua crescita.
Figlio della generazione post unitaria, visse sulla sua pelle e comprese con straordinaria lucidità
che il vero problema di questo paese era il suo non essere ancora compiutamente nazione, era il suo
essere tributario e beneficiario solo inconsapevole di una storia millenaria che sembrava quasi
essergli restituita solo per caso. Quest ‘idea di restituzione agli italiani della forza e della
consapevolezza che solo la propria storia poteva avere la capacità di conferire un destino al nostro
popolo diventa per il filosofo Siciliano, la vera ed unica ragione di vita.
Tutta la parabola intellettuale di Gentile si iscrive in questo appassionato tentativo di tracciare il
punto di partenza per il processo di costruzione spirituale dell’Italia come realtà unitaria, anche e
paradossalmente attraverso il fascismo che Gentile considerò come l’unica occasione che la
penisola aveva di darsi una “forma” come paese.
Per questa idea alta del ruolo degli intellettuali nella vita del paese, questa tenace volontà di
considerare l’impegno al servizio della nazione unico scopo della propria vita, lo portarono a
“sporcarsi le mani “ nell’azione di governo come mai nessun altro filosofo aveva fatto e farà, anche
in ben altri contesti storici e politici. Rimase fedele al regime fino in fondo, tacendo spesso i motivi
di dissenso e le politiche che riteneva sbagliate del Fascismo. Pagò la sua coerenza con la vita
L’uccisione del filosofo fu dettata dall’esigenza di uccidere un uomo fuori posto e fuori luogo.
In un momento in qui bisognava fare di tutto per vincere una guerra fratricida lui parlava di pace e
pacificazione fra gli Italiani . E un uomo fuori posto non ci deve stare, è un pericolo, va ucciso.
VITA E OPERE
Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano, in provincia di Trapani, il 29 maggio 1875, da Teresa
Curti e da Giovanni Gentile. Dopo aver trascorso la sua infanzia a Campobello di Mazara, dove la
famiglia si era trasferita, frequentò il liceo Ximenes a Trapani. Durante l' ultimo anno, su
suggerimento del suo professore di greco, Gaetano Rota Rossi, decise di partecipare al concorso per
quattro posti d'interno alla Scuola Normale Superiore di Pisa, con tema su "La poesia civile del
Parini e dell'Alfieri"; dopo essere stato ammesso si iscrisse alla facoltà di Lettere e di Filosofia.
L'esperienza presso l'ateneo pisano influirà in maniera determinante sul suo pensiero e sulle sue
scelte culturali e politiche. La Scuola Superiore di Pisa infatti, oltre ad essere l'istituto scientifico
più prestigioso del regno, aveva avviato uno studio filologico e storico sulla letteratura italiana
nonché sul ruolo del pensiero italiano all'interno della filosofia europea; quest'impostazione era in
linea con l'esigenza post unitaria di cercare di rintracciare storicamente, e fondare, l'unità della
penisola non solo dal punto di vista politico, ma anche culturale e spirituale. Gentile fece sua questa
preoccupazione e cercò , in particolar modo nelle opere storiche, di meglio definire e ricostruire la
storia spirituale d'Italia con frequenti richiami alla continuità storica e politica con il Risorgimento.
Sotto l'insegnamento storico di Alessandro D'Ancona e filosofico di Donato Jaia, Gentile iniziò a
pubblicare i suoi primi articoli; l'influenza dei due professori fu antitetica: mentre il primo, pisano,
seguace del metodo storico, veniva dalla storiografia positivista e da ambienti liberali, il secondo,
siciliano come Gentile, era un hegeliano seguace di Spaventa e come quest'ultimo aveva frequentato
il seminario ma aveva rinunciato al sacerdozio. Queste due personalità costituirono, nello
svolgimento del pensiero filosofico di Gentile, due esigenze diverse ma allo stesso tempo
conciliabili: l'attenzione filologica per i documenti e per i testi, e per l'interpretazione spaventiana
della filosofia di Hegel. Oltre all'influenza esercitata dai suoi due maestri, fu determinante negli
anni trascorsi a Pisa, l'incontro con Benedetto Croce. Il loro carteggio, che rappresenta uno dei
documenti centrali per la ricostruzione storica della cultura italiana del periodo, iniziò nel 1896 e si
protrasse fino all'adesione di Gentile al partito fascista nel 1923. La discussione tra i due si svolse
all'inizio su argomenti storici e letterari; in seguito, l'argomento principe divenne la filosofia,
avendo Gentile deciso, sotto la spinta di Jaia, di laurearsi in filosofia . Col passare del tempo
l'amicizia tra i due si rafforzò fino a diventare cruciale per la formazione e lo sviluppo del pensiero
di entrambi, e per la carriera accademica di Gentile, dal momento che questi, al contrario di Croce,
non aveva a disposizione una base economica tale da esentarlo dall'insegnamento (funzione peraltro
che Gentile sentì come una missione). La base della discussione con Croce fu l'idealismo, che
accomunò per un verso i due filosofi ma che al tempo stesso li divise a causa di alcune divergenze,
sempre attenuate in nome della loro amicizia, eppure sempre latenti, che saranno il motivo della
loro separazione. I due combatterono insieme la stessa guerra, contro il positivismo e le
degenerazioni dell'università italiana; il loro scopo fu quello di costituire un polo filosofico
crescente, per dimensioni e qualità, all'interno della cultura italiana. Fondarono una rivista, La
Critica nel 1903, e lavorarono incessantemente alla creazione di nuove collane editoriali e alla
pubblicazione delle loro rispettive opere. Dopo la laurea a Pisa, e un corso di perfezionamento a
Firenze, Gentile iniziò la sua carriera di insegnante, ottenendo una cattedra a Campobasso, al liceo
Mario Pagano. La sua aspirazione però fu, sin dall'inizio, quella di ottenere una cattedra
universitaria; dopo una serie di tentativi andanti a vuoto e sconfitte in altrettanti concorsi, Gentile
riuscì ad ottenere una cattedra di storia della filosofia all'Università di Palermo nel 1906. Malgrado
ambisse ad una cattedra a Napoli, per la vicinanza con Croce e con gli ambienti culturali napoletani
(ben più vivi di quelli siciliani), l'esperienza e l'insegnamento a Palermo furono per lui determinanti.
Nella città siciliana, infatti, cominciò a crearsi intorno alla sua cattedra e agli incontri del circolo
culturale di Giuseppe Pojero, quella scuola di allievi che contribuirono non poco alla diffusione
dell'idealismo attuale, della sua filosofia che si arricchì in quegli anni di testi importanti: tra questi
L'atto del pensare come atto puro del 1912 che ne costituirà il manifesto, e La riforma della
dialettica hegeliana del 1913, che sarà la base dell'opera sistematica dal titolo La teoria generale
dello spirito come atto puro del 1916, una sintesi delle speculazioni che Gentile sviluppò lungo la
serie di testi, discorsi e polemiche su argomenti filosofici trattati nei primi anni della sua carriera
universitaria, prima a Palermo e poi a Pisa, e che è la prima vera sistemazione dei suoi principi (e a
cui farà seguito il Sistema di logica come teoria del conoscere del 1917, la sua opera più
voluminosa e complessa). L'insegnamento, oltre ad offrirgli la possibilità di continuare i suoi studi e
sostentare la sua numerosa famiglia, gli diede quella di toccare con mano il disagio della scuola
italiana, che sin dall'inizio, aveva giudicato non adatta a contribuire alla fortificazione dell'unità
nazionale e delle sue basi culturali, e incapace di formare una nuova classe dirigente che
traghettasse il paese verso una sorte migliore del degrado politico e spirituale in cui, ai suoi occhi ,
versava. Gentile sentì sempre come una vera e propria missione il suo ruolo di insegnante ed
educatore; la sua pedagogia, che è essenzialmente filosofica non può essere staccata né dal suo
sistema filosofico, né dal suo progetto di riforma della scuola che attuò nel 1923-24, quand'era
ministro della Pubblica Istruzione, e che dai primi due discende . L'influenza di Gentile sulla cultura
italiana, accresciutasi nel tempo per merito delle sue pubblicazioni, delle iniziative insieme a
Benedetto Croce, e della produzione della sua scuola filosofica, si estese anche grazie ai tanti
incarichi che ebbe modo di ricoprire. La sua adesione al fascismo del 1923, se da un lato costituì la
molla della rottura con Benedetto Croce (rapporto peraltro già incrinato da una polemica apparsa
sulla Voce dieci anni prima) e gli comportò molte inimicizie (anche all'interno dello stesso partito
fascista) , dall'altro gli diede la possibilità di accrescere ulteriormente la sua influenza sulla cultura
italiana, grazie anche ad alcune importanti iniziative editoriali: tra queste la più importante, per il
peso che ricoprì e che ricopre tutt'ora, è senza dubbio L'Enciclopedia Italiana, alla cui
composizione collaborarono anche molti intellettuali antifascisti, meno però di quanti Gentile
avesse auspicato. Nel suo disegno questa opera in volumi doveva costituire un monumento all'unità
e alla concordia della cultura italiana, a cui dovevano contribuire tutti gli studiosi, di qualsiasi credo
politico. La situazione storica e politica non lo permise e Gentile dovette subire diverse sconfitte: la
più bruciante fu la firma del Concordato tra la Chiesa Cattolica e lo Stato italiano nel 1929. Benché
Gentile considerasse il cattolicesimo come la forma storica della spiritualità italiana, il Concordato
contraddiceva al suo disegno di uno Stato etico garante di una sorta di unità divina tra gli
appartenenti, che negava perciò ogni Dio indipendente dallo Stato. La sua fedeltà al partito fascista,
in cui vide sempre l'espressione del moto risorgimentale di unità nazionale, lo portò ad aderire nel
1943 alla Repubblica Sociale Italiana; benché ormai confinato dallo stesso regime ad un ruolo
politico pressoché nullo, questo non gli evitò di essere ucciso il 15 aprile del 1944 sulla soglia della
sua abitazione a Firenze: fu trucidato barbaramente da un gruppo di partigiani, che non ebbero alcun
rispetto per l'anziano e dotto pensatore; l'importante era per loro, travolti da una furia barbara,
eliminare ogni fascista, ignorante o colto che fosse.
PARTE I
INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DI GENTILE
LA RIFORMA DELLA DIALETTICA HEGELIANA
Determinante, nella formazione filosofica di Gentile, fu l'insegnamento di Donato Jaja (1839-1914),