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Italiano: descrizione del casino (Luigi Pirandello)
Filosofia: Sigmund Freud, Fedor Dostoevskij (il parricidio)
Matematica: il calcolo delle probabilità e il metodo della martingala
Arte: Edvard Munch; Paul Cezanne
L’opera dunque si può interpretare come un invito rivolto ai Romani affinché si guardino
dentro e ritornino alla sanità degli antichi costumi prima di essere travolti da altri popoli più
“virtuosi”. Pertanto lo schema della monografia è tutto basato sul confronto implicito
Romani-Germani: da un lato la corruzione, la decadenza morale, i vizi, dall’altro un tenore di
vita semplice e genuino, un amore ostinato per la libertà. Insomma c’è in Tacito una specie
di ammirazione per quelle genti sane, forti e fierissime della loro indipendenza, che si
serbano immuni dalla corruzione, in cui il lusso e la ricchezza avevano fatto precipitare i
Romani.
Capitolo 24 – La testimonianza dell’abitudine dei germani a giocare d’azzardo
Genus spectaculorum unum atque in omni coetu idem. Nudi iuvenes, quibus id ludicrum est, inter
gladios se atque infestas frameas saltu iaciunt. Exercitatio artem paravit, ars decorem, non in
quaestum tamen aut mercedem: quamvis audacis lasciviae pretium est voluptas spectantium.
Aleam, quod mirere, sobrii inter seria exercent, tanta lucrandi perdendive temeritate, ut, cum omnia
defecerunt, extremo ac novissimo iactu de libertate ac de corpore contendant. Victus voluntariam
servitutem adit: quamvis iuvenior, quamvis robustior adligari se ac venire patitur. Ea est in re prava
pervicacia; ipsi fidem vocant. Servos condicionis huius per commercia tradunt, ut se quoque pudore
victoriae exsolvant.
Gli spettacoli sono di un unico tipo, che si ripete identico in tutte le riunioni: giovani nudi,
specializzati in questi esercizi, volteggiano rapidi in mezzo a spade e a lance puntate contro di loro.
Dall'esercizio hanno acquistato abilità e dall'abilità grazia, ma non a fine di guadagno o per
compenso: unica ricompensa di un gioco tanto pericoloso è il divertimento degli spettatori. È
stupefacente vedere con quale serietà giochino ai dadi, e mai in condizioni di ubriachezza; l'azzardo
e l'accanimento, vincano o perdano, sono tali che, una volta venuti meno tutti i loro beni, con un
ultimo e decisivo colpo, pongono come posta la loro libertà personale. Chi perde, accetta
volontariamente la schiavitù: può anche essere più giovane e robusto del vincitore, ma si lascia
legare e mettere in vendita. Si tratta di una deplorevole ostinazione, ma la chiamano una prova di
lealtà. Gli schiavi di questo tipo li vendono, per liberare anche se stessi dalla vergogna di aver vinto.
Letteratura Italiana
La cultura Cristiana si porrà sempre in contrasto col gioco, in particolare se questo implica
l’acquisto o la perdita di denaro. Le accuse vanno dalla perdita di tempo, all’incentivare la
bestemmia, suscitare l’ira ma anche a favorire la promiscuità tra uomini e donne. Associare
il gioco d’azzardo all’arte della seduzione non è una novità. Già Ovidio, infatti, nella sua
opera più famosa, l’”Ars Amandi”, spiega come si debba comportare l’uomo che vuole
sedurre una donna. La necessità di barare, in questo caso, va intesa al contrario: l’uomo,
cioè, farà di tutto per perdere; la posta in palio, non sono le monete puntate, ma ben altra
cosa. Dante Alighieri:
In un’operetta attribuita incertamente a Dante, “Il Fiore”, viene ripreso questo tema
(“Fiore”, LXIII). "S'a scachi o vero a tavole
giocassi
Colla tua donna, fa ch'agie il
pigiore
Del gioco, e dille ch'ell'è la
migliore
Dadigittante che tu mai
trovassi.
S'a coderon giocaste, pigna
ambassi,
E fa che d’ella sia là vincitore:
Della tua perdita non far
sentore,
Ma che cortesemente la ti passi
Falla seder ad alti, e tu sie basso,
E sì l'aporta carello o cuscino:
Di le' servir non ti vegghi mai lasso.
S'adosso le vedessi un buscolino,
Fa che glie·levi, e se vedessi sasso
Là 'v'ella dé passar, netta 'l camino.”
Nella commedia Dantesca il termine “gioco” ha una
ricorrenza molto bassa e rappresenta “la metafora che
traduce il momento risolutivo della vita umana: è l’azione
dalla quale dipende la sorte eterna dell’individuo, la sua
salvezza o la sua condanna.
Eppure Dante, quando all’inizio del canto VI del Purgatorio
(VV. 1-12) deve descrivere la ressa delle anime che gli si stringono intorno per ottenere da
lui preghiere che possano accelerare il loro passaggio al Paradiso, si paragona con
“azzardatissimo” realismo a chi ha vinto molti soldi giocando a zara e cerca di liberarsi dalla
folla che gli si accalca addosso con elargizioni o promesse:
Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;
con l'altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;
el non s'arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, più non fa pressa;
e così da la calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa.
Luigi Pirandello:
Ne “Il Fu Mattia Pascal” viene affrontato il tema del gioco d’azzardo. Esso serve a
sottolineare l’idea di relativismo e di mancanza di punti di riferimento nella vita dell’uomo:
vengono palesemente mostrati tutti i limiti della volontà e della ragione umane di fronte al
potere della sorte e del caso. Allo stesso modo il tema dello spiritismo sottolinea la crisi del
razionalismo positivista, la mancanza di certezze razionali e il conseguente interessamento
per fatti che la ragione e la scienza non possono spiegare. Pirandello rappresenta
minuziosamente il casinò di Montecarlo, nei pressi di Nizza, dove Pascal vince alla roulette
divenendo improvvisamente ricco. La descrizione del luogo ha del reportage giornalistico e
doveva servire a stimolare la curiosità del lettore borghese nei confronti di un posto
“favoloso e proibito”. Inoltre Pirandello ci offre una minuziosa e dettagliata descrizione dello
stato d’animo di Mattia, che viene colto dalla febbre del gioco sentendosi colto da una
ebbrezza estrosa e curiosissima
“(…) a poco a poco, guardandolo, la febbre del gioco prese anche me. I primi colpi mi andarono
male. Poi cominciai a sentirmi come in uno stato di ebbrezza estrosa, curiosissima; agivo quasi
automaticamente per improvvise e incoscienti aspirazioni; puntavo, ogni volta, dopo gli altri,
all’ultimo, là! E subito acquistavo coscienza, la certezza che avrei vinto (…). Quella specie di lucida
ebbrezza cresceva intanto in me, né si intorpidiva per qualche colpo fallito (…). A un certo punto
ebbi l’ispirazione di arrischiare tutto, là e addio; e vinsi; gli orecchi mi ronzavano, ero tutto in sudore,
e gelato (…). Chiusi gli occhi, dovevo essere pallidissimo (…). Presi il denaro e dovetti allontanarmi,
come un ubriaco. Caddi a sedere sul divano, sfinito (…). Quanto avevo vinto? Aprii gli occhi ma
dovetti richiuderli immediatamente: mi girava la testa. Il caldo, là dentro, era soffocante. Come! Era
già sera? Avevo intraveduto i lumi accesi; e quanto tempo avevo giocato?(…)
Capitolo VI “ Tac tac tac”
La scommessa può far scaturire una vincita formidabile ma anche indurre al suicidio, come
avviene per un giovane che sembra puntare con aria indifferente e poi viene rinvenuto
senza vita nel giardino del Casinò. Il pathos, l’emozione intensa dell’azzardo può trovare
una catarsi solo in un esito estremo, un grande guadagno o una perdita totale. La febbre
del gioco è dunque mancanza di lucidità, il simbolo di un’emotività così forte da annullare la
ragione, dando luogo ad esiti estremi poiché non sono per nulla controllabili dall’individuo.
Letteratura Europea
Aleksandr Sergeevič Puškin: “La Dama di Picche”, 1834
La storia narra, con una sottile ironia, che spesso si mescola ad ambigue note di sarcasmo,
il tentativo del giovane soldato Hermann, uomo di pochi mezzi ma estrema ambizione, di
appropriarsi di uno strano segreto. Esso ha a che fare con la combinazione magica di tre
carte che assicurerebbe la vincita al gioco. Il finale, drammatico, chiude il cerchio del
racconto e getta un’ammonizione contro tutti coloro che pensano di
poter ottenere la vittoria attraverso mezzi illeciti e senza alcun
sacrificio. Il “Pikovaja Dama” è un opera che, pur nella sua brevità,
risulta complessa e sfaccettata. L’ambientazione, costituita da
elementi fantastici e realistici, incalza dando vita a continue rifrazioni
delle energie nascoste che Puškin mette in scena. Il carattere di
segretezza che ammanta ogni cosa nel racconto di Puškin fa perno su
uno strumento popolare: le carte da gioco. Spesso, nella superstizione
popolare, così come nella tradizione culturale figurativa ed esoterico -
simbolica, le carte sono state considerate custodi di antiche verità
nascoste. Dense di un simbolismo affascinante e suggestivo, queste
semplici tavole colorate sembra velino un linguaggio codificato attraverso cui l’uomo,
secondo alcuni esoteristi, potrebbe addirittura riuscire ad interloquire col Divino. Il tema
dell’azzardo, del “momento della fortuna”, capace di cambiare la vita di un uomo, di
trasformarla dalla banalità quotidiana all’eccezionalità serve a Puškin per dimostrare che la
ricchezza è un potere demoniaco e che raggiunta, o non raggiunta, conduce alla perdizione.
Inoltre un altro intento di Puškin è quello di dimostrare che sebbene l’abilità sia un
elemento molto importante per vincere, nel gioco non vi sono certezze o combinazioni
vincenti. Fëdor Dostoevskij: “Il Giocatore”, 1866
Dostoevskij è una figura molto particolare nella letteratura Russa. Egli
era afflitto dal vizio del gioco e peregrinò nei casinò d’Europa, specie
tedeschi, almeno dal 1862 quando era in viaggio verso Parigi, mentre la
prima moglie stava morendo di tisi, fino al 1871, quando dopo
un’ennesima drammatica richiesta di denaro alla seconda moglie, Anna
Grigorevna, tenne finalmente fede al giuramento del “mai più”.
Giocava fino a perdere tutto, non per avidità, ma per amore del gioco
per se stesso (“le jeu pour le jeu”). Doveva perdere tutto, fare debiti,
per poi umiliarsi di fronte alla sua compagna.
“il Giocatore” è il romanzo principale dell’autore che riprende il gioco
d’azzardo e la sua esperienza autobiografica. Autobiografici sono infatti, non soltanto molti
tratti dei protagonisti o certi riferimenti al gioco della roulette, ma tutta l’esperienza vissuta
dal protagonista. In quel periodo egli era totalmente dominato dalla passione per il gioco e
per Apollinarija e da essa era stato trascinato irresistibilmente in un mondo diverso da
quello noto e abituale. In quello stato di prostrazione e solitudine la passione aveva lasciato
posto alla delusione. Così come lo era per l’autore, per Alekscj Ivanovic (protagonista del
romanzo) il gioco è una rivincita ed una prova suprema per misurare se stesso. Il giocatore
è dunque il romanzo della passione, intesa e analizzata come forza a cui ci si sottomette
senza esitazione né riserve; in esso tutto obbedisce alla logica della passione nei suoi più
vari aspetti e manifestazioni. Dostoevskij analizza quindi il gioco d’azzardo in tutte le sue
forme con i diversi tipi di giocatori, dai ricchi nobili Europei, ai poveretti che si giocano tutti i
loro averi, ai ladri tipici dei casinò. È anche uno studio delle diverse peculiarità delle
popolazioni europee: la severità del barone Tedesco, la ricchezza del gentleman Inglese, la
boria del Francese manipolatore. Emblematica la frase finale del racconto,
pronunciata dal protagonista/giocatore :
“domani, domani tutto finirà”…
Filosofia
Sigmund Freud:
La psicoanalisi si è occupata diverse volte del fenomeno del
gioco d’azzardo ed in particolare del poker, per
comprendere quali meccanismo vengono innescati
nel giocatore durante il gioco e soprattutto i legami tra
l’azzardo e le problematiche individuali. Il padre della scuola
psicanalitica Sigmund Freud ha affrontato l’argomento in
un saggio pubblicato nel 1928 intitolato“Dostoevskij ed il
Parricidio”, nel quale viene analizzato il comportamento del
giocatore compulsivo, facendo esplicito riferimento alla vita
del grande scrittore Russo, la cui dipendenza dal gioco