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Italiano: Giacomo Leopardi (rapporto uomo/natura)
Latino: Lucrezio (De Rerum Natura)
Fisica: l'energia nucleare
Educazione fisica: la prevenzione dalle radiazioni
Storia: il bombardamento su Hiroshima e Nagasaki
Inglese: the second world war
Filosofia: il "Manifesto" Russell-Einstein
Storia dell'arte: Pablo Picasso (Guernica)
MAREMOTO DEL GIAPPONE
Il terremoto si è verificato l'11 marzo 2011 al largo della costa della
regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale, alle ore 14:45 locali .
Ulteriori scosse si sono
succedute dopo quella
iniziale delle 14:45;
le scosse di magnitudo
superiore a 5,0 sono state
più di una quarantina nel
corso della giornata;
le scosse sono continuate
sino al 17 Marzo.
SCHEDA DEL TERREMOTO:
MAGNITUDO 9,0 della Scala Richter
(il più grande sisma registrato nello stato
nipponico in epoca moderna e il 5° terremoto
più forte di sempre)
INTENSITA’ 8° grado della scala Mercalli
(il corrispondente del grado 6 della scala
orientale JMA)
IPOCENTRO 24,4 Km di profondità
(è quindi un terremoto superficiale)
SCHEDA DEL MAREMOTO:
VELOCITA’ Le onde si sono scagliate sulla costa ad una
velocità di 750Km/h
ONDE
ALTEZZA Le onde hanno raggiunto dovunque
un’altezza di oltre 10 m;
ONDE (l’onda più alta si è scagliata sulla città di
Miyako, raggiungendo un’altezza di 38,9 m)
EFFETTI DEL TERREMOTO:
ASSE Si è spostato di 17 cm
TERRESTRE Si sono spostate di 4 m verso Est
COSTE 14.000 morti (accertati) e 15.000 dispersi,
VITTIME per un totale di oltre 30.000 vittime
Il sisma ha provocato lo spegnimento
CENTRALI automatico di undici centrali nucleari
NUCLEARI da parte dei sistemi di emergenza.
”E’ crudele ed umiliante constatare che le opere umane, costate tanti
anni di lavoro e sacrificio, possano venir distrutte in pochi secondi... la
terra, simbolo stesso di solidità, può muoversi sotto i nostri piedi come
una sottile pellicola su un liquido”
(Charles Darwin, dopo il terremoto cileno del 1835)
…ma perché proprio il Giappone?
Secondo la teoria della “Tettonica a Placche”, formulata verso la fine degli anni 60, l’intera
litosfera terrestre (la parte rigida del nostro pianeta che comprende la crosta terrestre e la
porzione del mantello esterno) è suddivisa in diversi blocchi, in “placche” appunto.
Lungo i margini delle placche
sono localizzate:
fosse di subduzione
le
(“margini distruttivi”) ove una
placca sprofondo al di sotto di
un’altra, rifondendosi;
dorsali oceaniche
le (“margini
costruttivi”), lungo le quali si
costruisce nuova litosfera oceanica
che via via si allontana dalla
dorsale.
Analizzando il “mosaico” delle placche terrestri, il Giappone si trova esattamente dove si
ha il contatto di quattro placche tettoniche:
Placca Pacifica Placca Nordamericana
che vanno in subduzione
al di sotto di:
Placca delle Filippine Placca Euroasiatica
Nel caso dell’ultimo evento sismico Giapponese la Placca
del Pacifico (crosta oceanica) è subdotta sotto alla Placca
Nord Americana (crosta mista);
sembra assodato che l’ipocentro sia localizzato in una
zona piuttosto superficiale del piano di subduzione e
questo ha aumentato la violenza dell’evento in quanto
tanto più superficiale è il terremoto tanto più si avrà una
flessione della crosta terreste;
in effetti è stato calcolato che in seguito al sisma il fondale
marino si sia alzato di diversi metri e abbia generato lo
tsunami che ha spazzato le coste Giapponesi.
Cintura di Fuoco
Inoltre il Giappone fa parte della , che risulta essere una zona ad arco di
circa 40′000 km intorno all’Oceano Pacifico in cui l’avvicinamento di placche oceaniche e
continentali che si infilano una sotto l’altra origina il fenomeno della subduzione e provoca
violentissimi eventi sismici come appunto quello occorso l’11 Marzo scorso.
…ma come si pone l’uomo davanti
agli effetti devastanti della Natura?
Giacomo Leopardi (1798-1837), in tutta
la sua opera ha indagato il rapporto
uomo-natura, oscillando tra due
posizioni opposte:
Natura Benigna
“ ” vista come una madre amorevole, attenta al bene delle sue
creature, che ha voluto offrire un rimedio all’uomo contro la sua infelicità:
l’immaginazione e le illusioni riescono a mascherare le sue effettive misere
(concezione finalistica);
condizioni
Natura Maligna
“ ” vista non più come madre amorosa e provvidente, ma come
meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature e anche crudele, in cui la
sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, perché gli individui devono
(concezione meccanicistica e
perire per consentire la conservazione del mondo
materialistica). Pessimismo
Alla prima concezione della natura corrisponde la fase del “
Storico ”, secondo cui la condizione negativa del presente viene vista come
effetto di un processo storico, di una decadenza e di un allontanamento
progressivo dalla condizione originaria di felicità.
Gli antichi, pertanto, erano “felici” in quanto più vicini alla natura e spinti a
gesta eroiche.
Oggi, il progresso della ragione ha allontanato l’uomo dalla condizione di
felicità: la colpa dell’infelicità presente è dunque attribuita all’uomo stesso, che
si è allontanato dalla via tracciata dalla natura benigna.
Alla seconda concezione della natura, corrisponde la fase del
Pessimismo Cosmico
“ ”, secondo cui tutti gli uomini, in ogni
tempo e in ogni luogo, sono necessariamente infelici.
Se la natura stessa è causa dell’infelicità, questa non è più legata ad
una condizione storica e relativa dell’uomo, ma ad una condizione
assoluta, come un dato eterno e immutabile di natura.
Alla seconda fase si rifanno le “Operette Morali”, quasi tutte composte nel 1824, in cui
Leopardi vi espone il “sistema” da lui elaborato.
Dialogo della Natura e di un Islandese
In particolare, il “ ” segna il passaggio
da un pessimismo sensistico-esistenziale a un pessimismo radicalmente
materialistico e cosmico, dalla concezione di una natura benefica e provvidente a
quella di una natura nemica e persecutrice.
L’operetta fu scritta fra il 21 e il 30 Maggio
1824. Lo spunto fu offerto dalla “Storia di
Jenni” di Voltaire, dove, nel contesto di un
discorso sui flagelli da cui sono tormentati gli
uomini, si parla delle terribili condizioni degli
Islandesi, minacciati insieme dal gelo e dal
vulcano Hekla. Di qui probabilmente è venuta
a Leopardi l’idea di assumere un Islandese
come esempio dell’infelicità dell’uomo e dei
mali che lo affliggono per colpa della natura.
Come afferma G. Baldi, l’operetta rappresenta “un’appassionata requisitoria
contro la crudeltà della natura” in cui “l’Islandese è chiaramente portavoce di
Leopardi”.
Nei primi righi, l’autore vede la natura personificata in una figura di donna gigantesca:
“Trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto,
appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo
tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi” (rr.9-12)
Fin dall’inizio, la Natura si presenta come nemica da cui fuggire, mediante il paragone
del serpente e dello scoiattolo:
“Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da
se medesimo. Io sono quella che tu fuggi” (rr.17-18)
Subito dopo emerge la concezione di “Natura malvagia” in cui l’autore, per bocca
dell’Islandese, elenca una lunga serie di avversità “fisiche” cui è sottoposto l’uomo:
“Io non poteva mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno,
l’intensità del freddo e l’ardore estremo della state, che sono qualità di quel luogo,
mi travagliano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare una
gran parte del tempo, m’inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo; di modo
che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio”
(rr.45-50)
Viene poi chiarito il motivo del viaggio dell’Islandese, che è in ricerca di un posto
sulla Terra in cui vivere serenamente, in una condizione di atarassia:
“Mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della
terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non
patire” (rr.62-63)
Viene quindi ribadita la volontà persecutoria della Natura nei confronti
dell’uomo: “Tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli abitanti,
non rei verso di te di nessun’ingiuria” (rr.76-77)
Passando nuovamente in rassegna alle avversità naturali, l’autore descrive i
cataclismi sismici e vulcanici:
“In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata dalla
frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal
ribollimento sotterranei di tutto il paese” (rr.77-79)
Alla luce di quanto detto, l’Islandese capisce che la Natura è effettivamente
nemica dell’uomo:
“E mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli
altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci
assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci
perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria
famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere”
(rr.117-121)
La Natura, però, si dichiara estranea a tali accuse, in quanto essa è “indifferente”
al destino dell’uomo:
“Immaginavi forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle
fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho
l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi
offendo in qualunque modo e col qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non
rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e
non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per
dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la
vostra specie, io non me ne avvedrei” (rr.132-139)
In questi ultimi due estratti, risultano evidenti due diverse concezioni della natura:
Per l’Islandese, essa è come un’entità malvagia che perseguita
deliberatamente le sue creature;
La Natura stessa invece, obietta che fa il male senza accorgersene, in
obbedienza a leggi oggettive.
In questa duplice immagine si rispecchiano due diversi atteggiamenti dello scrittore:
filosofico-scientifico
Quello , che considera la natura come un puro
meccanismo impersonale e inconsapevole;
poetico
Quello , immaginoso e mitico, che vede la natura come una
specie di divinità malefica.
L’allusione al poeta latino Lucrezio è molto evidente:
Sia per quanto riguarda la concezione materialistica e meccanicistica del mondo:
LUCREZIO:
LEOPARDI: “Cede sempre il suo posto l’antico
“Tu mostri non aver posto mente che la estromesso dal nuovo/
vita di quest’universo è un perpetuo ed è legge che tutte le cose si rinnovino
circuito di produzione e distruzione, l’una dall’altra/
collegate ambedue tra se di maniera, che né alcuno discende giammai nell’abisso
ciascheduna serve continuamente tenebroso del Tartaro./
all’altra, ed alla conservazione del Occorre materia perché crescano le stirpi
mondo; il quale sempre che cessasse o future/
l’una o l’altra di loro, verrebbe che pure, trascorsa la vita seguiranno la
parimente in dissoluzione” (rr.163-166) stessa tua sorte/
e, non meno di quelle perite già prima di
te, periranno.
(De Rerum Natura, III, vv.694-699)
Per entrambi i poeti, infatti, il mondo è un ciclo eterno di “produzione e distruzione”,
e la distruzione è indispensabile alla conservazione del mondo.
Sia per quanto riguarda il ruolo occupato dall’uomo nel mondo, focalizzando
entrambi la loro attenzione sul momento della nascita:
LEOPARDI: LUCREZIO:
“Nasce l'uomo a fatica, “E inoltre, il bimbo, come un navigante
Ed è rischio di morte il nascimento. gettato sulla riva/
Prova pena e tormento da onde furiose, giace a terra nudo,
Per prima cosa; e in sul principio stesso incapace di parlare/
La madre e il genitore bisognoso d'ogni aiuto per vivere, appena
Il prende a consolar dell'esser nato. la natura lo fa uscire/
Poi che crescendo viene, con sforzi fuori dal ventre della madre
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre alle rive della luce/
Con atti e con parole e riempie il luogo di un lugubre vagito,
Studiasi fargli core, come è giusto/
E consolarlo dell'umano stato: per uno che nella vita dovrà passare per