vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Introduzione Genocidio dimenticato, Armeni - Tesina
La seguente tesina di maturità affronta la descrizione del contesto storico durante cui si è verificato il genocidio armeno, con una parte dedicata all'analisi degli aspetti dell'attualità legati ad esso. Analisi del romanzo "La masseria delle allodole".
“Nella grande piana ai piedi dei primi contrafforti del Tauro, confluiscono stremati i resti delle carovane. Di quanti, di quante biancheggiano ormai le ossa sui sentieri, quanti gonfi cadaveri sono trasportati dall'Eufrate; quanti bambini, quante ragazze sono scomparsi. Il gruppetto dei superstiti della piccola città si attenda penosamente sotto due alberi scarni, mentre un falco alto gira nel cielo limpidissimo. È luglio, chissà. Nessuno tiene più il conto dei giorni.
Dove sono i castelli di Cilicia, dove il regno crociato dei Lusignano? Nella nebbia, nel calore accecante, fra i resti miserabili di quel popolo orgoglioso si aggirano i fantasmi degli arcieri invincibili bagratidi, dei cavalieri con l'orifiamma al vento. E un delicato vento di morte soffia sulle guance accaldate, sui volti riarsi, portando frescura, abbandonata inerzia, consolazione: e Shushanig vede le belle forti angele guerriere che vengono a prenderla, insieme a Sempad a cavallo, bello come quando andava a caccia con l'amico nel paese dei Lazi.”
Collegamenti
Genocidio dimenticato, Armeni - Tesina
Storia -
Il genocidio armeno (contesto storico e attualità)
Italiano -
Analisi del romanzo "La masseria delle allodole"
LA STORIA DEL GENOCIDIO
Il genocidio della popolazione armena, avvenuto tra la fine del 1800 e gli inizi
del 1900, corrisponde ad una delle pagine di violenza più eclatanti della storia
moderna.
Fin dai secoli precedenti, la popolazione armena rappresentava all’interno
dell’Impero Ottomano una minoranza che, a causa della propria fede cristiana,
era costretta a vivere ai margini di una società composta per la maggior parte
da cittadini di religione musulmana; l’Impero si era in genere dimostrato
piuttosto tollerante nei confronti delle minoranze etniche e religiose, sebbene si
fosse sempre assicurato che coloro che ne facevano parte venissero spogliati di
ogni potere. Come riferisce Haig Der Manuelian, avvocato che lavora presso l’
“Armenian Library and Museum of America”, spesso gli Armeni riuscivano
anche a ricoprire posizioni prestigiose all’interno della società, essendo essi di
solito commercianti o architetti, ma «erano pur sempre cittadini di seconda
categoria; vivevano una vita agiata, ma sempre con una spada di Damocle su
di loro, sempre con l’incertezza sul proprio futuro».
Con la decadenza dell’Impero Ottomano che andava concretizzandosi in
maniera sempre più evidente, si verificarono verso la fine del 1800 numerosi
tumulti indipendentisti, tra cui quelli della popolazione armena, che a partire
dal 1890, con il sostegno della Russia, che progettava di poter controllare quei
territori una volta che avessere conseguito l’indipendenza dalla Turchia. Il
Sultano Abdul Hamid II, sovrano che governava durante quell’epoca, decise di
risolvere questa situazione attraverso la repressione e la violenza,
determinando tra 1890 e il 1896 decine di migliaia di vittime; oggi non è
semplice individuare un numero esatto, a causa della scarsa attendibilità delle
informazioni fornite dal governo turco, tuttavia le stime indicano che in tali
circostanze persero la vita tra le 80.000 e le 300.000 persone. L’Europa fu
scossa da tali avvenimenti, ma nessuno intervenne.
Spesso questo episodio viene individuato come il primo momento in cui si
manifestò il genocidio degli armeni, tuttavia altre analisi lo indicano come
“massacro” a causa del numero delle vittime, considerato non sufficientemente
elevato per poter utilizzare il termine genocidio.
Un punto di svolta per la vicenda si verificò nel 1908, anno in cui si verificò
l’ascesa al potere del movimento dei Giovani Turchi; essi nacquero sul modello
di movimenti nazionali come la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, volendo
rimodellare e ringiovanire la struttura dello Stato ed essendo essi nazionalisti e
liberali. Nonostante ciò, inizialmente il nuovo governo si dimostrò molto aperto
culturalmente, tanto che, a seguito delle elezioni, il Parlamento era formato da
sia da Musulmani, sia da Cristiani, sia da Ebrei. 3
Questa armonia non era purtroppo destinata a durare, dal momento che
successivamente a prevalere furono quegli esponenti del Movimento che
davano maggiore priorità alla dimensione nazionalista; ricordiamo a questo
proposito il triumvirato dei Tre Pascià, ovvero il gruppo che guidò la Turchia dal
1913 alla fine della prima guerra mondiale, formato da Mehmed Talaat Pasha,
Ismail Enver Pasha e Ahmed Djemal Pasha, ovvero da coloro che sono ritenuti
all’unanimità come i principali resonsabili dello sterminio attuato ai danni degli
Armeni. Essi ritenevano che uno dei punti deboli del vecchio Impero fosse
proprio la sua multiculturalità, che, secondo loro, avrebbe determinato una
scarsissima coesione all’interno della popolazione; per questo motivo essi
progettavano la costruzione di uno Stato il cui popolo fosse unito dalla stessa
religione, dalla stessa lingua e dalla stessa nazionalità. In realtà i Giovani
Turchi non rappresentavano per niente il prototipo del musulmano praticante,
bensì guardavano la religione con estremo disinteresse; tuttavia essi vi
trovarono un perfetto strumento per favorire l’unità tra il popolo turco. Durante
il loro governo si intreprese pertanto un’opera di islamizzazione dello Stato, ma
ciò non aveva dunque origini ideologiche, bensì era finalizzato al
conseguimento di un’ideale identità nazionale. Gli armeni, di religione cristiana,
diventavano dunque una minoranza sempre più indesiderata,
indipendentemente dal fatto che risiedessero nei territori dell’Impero da molte
generazioni e fossero ormai divenuti parte integrante della società; nel 1867,
l’Impero ottomano, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, aveva
dichiarato che circa due milioni di Armeni abitavano l’Anatolia, mentre
all’interno della Turchia se ne potevano contare all’incirca 400.000 .
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu l’occasione in cui il progetto di
eliminazione degli Armeni poté concretizzarsi, dal momento che la
maggioranza di questi aveva dichiarato la propria volontà di rimanere neutrale,
non volendo scontrarsi con la Russia, Nazione in cui vivevano all’incirca un
milione di Armeni. Ciò fu considerato a tutti gli effetti dal governo turco come
alto tradimento, e gli Armeni furono accusati di essere favorevoli ai nemici
russi, poiché una premessa simile sembrava confermare che gli Armeni
avrebbero potuto successivamente schierarsi con la Russia. A questo punto gli
Armeni non erano più solamente una minoranza ingombrante, ma dei veri e
propri nemici da combattere con ogni mezzo.
Il giorno in cui si diede inizio allo sterminio fu il 24 aprile 1915, data in cui il
governo diede l’ordine di arrestare e uccidere moltissimi armeni che
risiedevano a Costantinopoli, in particolare coloro che occupavano ruoli
importanti all’interno della società, ovvero intellettuali, studiosi e poeti.
Successivamente il progetto venne attuato su tutto il territorio della Turchia e
in maniera ben più estesa: coloro che vennero colpiti per primi furono gli
uomini (indipendentemente dalla ricchezza o dalla posizione sociale), i quali
venivano arrestati senza alcun apparente motivo e poi uccisi a sangue freddo,
4
spesso dopo essere stati condotti insieme ad altre centinaia (se non migliaia) di
persone in determinati luoghi particolarmente isolati.
Se possibile, alle donne e ai bambini venne riservato un destino ancor più
crudele, dal momento che essi erano costretti a effettuare lunghissime marce
attraverso il deserto dell’Anatolia, durante cui erano naturalmente frequenti le
morti per fame e per sete o a seguito della violenza che subivano da parte dei
soldati che conducevano i numerosissimi e lunghissimi convogli umani. Spesso
le donne divenivano vittime inermi di violenze sessuali, ma altrettanto
frequentemente erano loro stesse a prostituirsi ai soldati, dal momento che ciò
poteva rappresentare l’unica possibilità di ottenere la loro benevolenza, e
quindi la sola speranza di salvarsi o quantomeno di poter prolungare la propria
sopravvivenza.
In tutto ciò ebbero un ruolo fondamentale anche i Curdi, minoranza etnica di
origine iranica che vive tuttora nelle regioni orientali della Turchia, che, se da
una parte, come gli Armeni, risultava essere un problema per le ambizioni
nazionalistiche dei Giovani Turchi (i contrasti tra i Curdi e i Turchi anche oggi si
traducono in gravi problemi di convivenza), dall’altra professava la religione
musulmana come la maggior parte della popolazione dell’Impero; pertanto il
governo turco si servì di essi per perpetrare le stragi ai danni degli Armeni,
concedendo ad esempio che essi potessero sfruttare a proprio piacimento i
beni di coloro che divenivano vittime della loro violenza, oppure persino con la
promessa di poter violentare le donne armene che incontravano durante tali
razzie.
Dunque, coloro che si trovarono ad essere vittime di questa incredibile pulizia
etnica subirono anche la confisca dei beni, che venivano spartiti tra il governo, i
soldati che se ne appropriavano e, appunto, i curdi che aderivano alle proposte
di sotenere il governo nella sua azione violenta. Allo scopo di cancellare ogni
traccia della precedente presenza degli Armeni, gli edifici che prima ospitavano
le loro attività economiche vennero distrutti oppure occupati nuovamente; un
destino simile ebbero anche le chiese e i cimiteri cristiani, di cui oggi è difficile
trovare traccia. Non fu solo un popolo a subire una terribile violenza, ma un
intero pezzo di storia della Turchia doveva essere dimenticato, poiché questo
era l’unico modo per dare origine ad un nuovo e più grande Stato. 5
Possiamo
osservare da
questa carta
geografica quali
fossero i
considerati i
confini armeni
agli inizi del
1900, che si
presentavano
ben più estesi di
quelli
dell’Armenia
attuale 6
LA MASSERIA DELLE ALLODOLE
“Nella grande piana ai piedi dei primi
contrafforti del Tauro, confluiscono stremati i
resti delle carovane. Di quanti, di quante
biancheggiano ormai le ossa sui sentieri,
quanti gonfi cadaveri sono trasportati
dall'Eufrate; quanti bambini, quante ragazze
sono scomparsi. Il gruppetto dei superstiti
della piccola città si attenda penosamente
sotto due alberi scarni, mentre un falco alto
gira nel cielo limpidissimo. È luglio, chissà.
Nessuno tiene più il conto dei giorni.
Dove sono i castelli di Cilicia, dove il regno
crociato dei Lusignano? Nella nebbia, nel
calore accecante, fra i resti miserabili di quel
popolo orgoglioso si aggirano i fantasmi degli
arcieri invincibili bagratidi, dei cavalieri con
l'orifiamma al vento. E un delicato vento di
morte soffia sulle guance accaldate, sui volti
riarsi, portando frescura, abbandonata
inerzia, consolazione: e Shushanig vede le
belle forti angele guerriere che vengono a
prenderla, insieme a Sempad a cavallo, bello
come quando andava a caccia con l'amico
nel paese dei Lazi.”
Gli avvenimenti del genocidio armeno sono raccontati nel romanzo “La
masseria delle allodole”, pubblicato nel 2004 da Antonia Arslan, scrittrice
italiana dalle origini armene. L’opera nasce grazie alle testimonianze della
famiglia dell’autrice, che può attingere dalla memoria dei superstiti sul
massacro concretizzatosi nel 1915 per cercare di trattare un argomento di cui
non si discute a sufficienza.
L’opera si divide in un breve prologo, in cui viene riportato un episodio
dell’infanzia dell’autrice, e in due sezioni, che si focalizzano sulle vicende dei
due capifamiglia, rispettivamente Sempad e Shushanig.
Il romanzo si sviluppa parallelamente tra Anatolia e Italia, dove rispettivamente
risiedono la famiglia da cui discende l’autrice, gli