La follia dell’’uomo e della natura
“Prepara il funerale ai tuoi figli, Giasone, e innalza loro il tumulo; la tua sposa e tuo suocero hanno già ricevuto gli onori dovuti ai defunti, li ho seppelliti io; questo figlio è morto e quest’altro subirà la stessa sorte davanti ai tuoi occhi! Proprio dove non vuoi, dove soffri di più, io ti colpirò con la mia spada!”
Questo passo è tratto dalla Medea di Seneca: ci troviamo nel momento in cui Medea, assalita dalla follia, dopo aver ucciso uno dei suoi figli, sta per uccidere anche l’altro sotto lo sguardo atterrito del marito Giasone, incolpato di averla tradita con un’altra giovane donna di nome Creusa.
Medea è una donna corrosa dall’odio e per vendicarsi del marito adultero compie dei gesti folli, incontrollabili: uccide non solo Creusa, alla quale fa arrivare una veste avvelenata, e il padre di quest’ultima, ma arriva persino a sgozzare i propri figli avuti da Giasone pur di colpirlo.
Questa tragedia di Seneca, come tutte le altre, esprime il trionfo del Furor sulla Ratio, che rimane impotente davanti al devastante sconquasso arrecato dalla follia.
Nei personaggi delle tragedie di Seneca si scatenano sempre le più cupe passioni, i più truci istinti; si uccide senza pietà, spesso all’interno della famiglia, e ci si vendica senza pensarci due volte. Nell’Hercules furens, Ercole, impazzito per volontà di Giunone, uccide moglie e figli; nell’Agamennon, il re Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia per placare l’ira di Artemide e ottenere così un viaggio propizio verso Troia, ma al suo ritorno viene ucciso dalla moglie Clitemnestra e dal suo amante Egisto, i quali a loro volta saranno uccisi da Oreste, figlio di Agamennone; Fedra, nell’omonima tragedia, si suicida dopo aver causato la morte del figliastro Ippolito; nel Thyestes, Atreo dà da mangiare all’ignaro fratello Tieste le carni dei suoi figlioletti uccisi.
È questo il tragico mondo di Seneca, un mondo fatto di delitti, invidie, gelosie, suicidi, drammi, ire tremende e dominato da un Furor incontrollabile.
Se nelle tragedie di Seneca la presenza della follia può essere giustificata con la sua adesione al gusto del macabro e dell’orrido allora imperante, nelle opere di Pirandello essa è dovuta a una situazione più seria.
Secondo Pirandello, noi cerchiamo di fissarci in una particolare ‘forma’, di dare agli altri una precisa immagine di noi. Crediamo, quindi, di essere ‘uno’ per noi e le persone che ci circondano, mentre in realtà siamo tanti individui diversi, a seconda di chi ci guarda. Ad esempio, io posso crearmi di me stessa l’immagine di una ragazza onesta e che lavora seriamente, mentre gli altri mi possono considerare una persona disonesta e senza scrupoli. È esattamente questo che accade in Uno nessuno e centomila al protagonista Vitangelo Moscarda: tutta la vicenda ha inizio quando la moglie Dida gli fa notare che il naso gli pende un po’ da una parte. Egli, che non se ne era mai accorto, capisce che gli altri si sono fatti di lui un’immagine completamente diversa da quella che si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere ‘uno’, come aveva sempre creduto, ma ‘centomila’ e quindi ‘nessuno’ agli occhi degli altri. È per questo motivo che Vitangelo decide di distruggere le diverse ‘versioni’ di se stesso compiendo dei gesti folli, inconsulti.
La prima immagine di cui vuole liberarsi è quella dell’usuraio, perciò sconvolge tutti vendendo la banca che gli assicura agiatezza. Ferito gravemente da Anna Rosa, un’amica della moglie colta da un inspiegabile raptus di follia, al fine di evitare scandali cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio ed egli stesso vi si fa ricoverare, estraniandosi dal mondo esterno, rinunciando alla propria identità e riuscendo così a liberarsi di tutte le ‘forme’ in cui lo avevano costretto.
La ‘forma’ per Pirandello è una ‘trappola’, un ‘carcere’ dal quale l’uomo cerca di fuggire. Gli istituti nei quali si manifesta la trappola della forma sono la famiglia (con i suoi odi e rancori, le sue gelosie, il suo senso di grigiore e oppressione) e la condizione economico-sociale, soprattutto a livello piccolo-borghese, che impone una condizione di vita misera, un lavoro frustrante, alienante e poco gratificante.
Ai prigionieri di queste trappole non si propone alcuna vera via d’uscita: la loro insofferenza a lungo soffocata li conduce spesso alla follia, come quella manifestata da Belluca, il protagonista de Il treno ha fischiato. Questo povero uomo deve sopportare il suo pesante lavoro di contabile e anche la sua famiglia, composta di tre cieche, due figlie vedove e sette figli complessivamente, e tutti hanno bisogno di lui. Questa situazione innesca in Belluca la miccia della follia, tanto da trovare il coraggio di ribellarsi al suo capo e, al rimprovero di quest’ultimo, di mettergli le mani addosso.
La follia, quindi, è una diretta conseguenza del fittizio meccanismo della società, definita da Pirandello come un’enorme ‘pupazzata’, che ci impone dei rigidi ruoli e ci strappa a quella che è la vera vita.
I primi studi di Sigmund Freud, condotti con la collaborazione del medico viennese Joseph Breuer, vertono sull’isteria. E proprio con Breuer, Freud apre uno studio per la cura delle malattie nervose e comincia a utilizzare le tecniche ipnotiche per aiutare i pazienti affetti da isteria a liberare le loro tensioni emotive. Nel 1895 pubblica gli Studi sull’Isteria, nei quali i sintomi isterici vengono presentati come manifestazioni di energia psichica non scaricata, in relazione ad un trauma psichico completamente ‘rimosso’. Attraverso l’ipnosi diventa possibile recuperare il ricordo del trauma e scaricare le emozioni a esso legate e causa dei sintomi.
Poco dopo, Freud abbandona l’ipnosi e la sostituisce con le libere associazioni: egli chiede ai suoi pazienti di dire, senza alcuna censura, qualsiasi loro pensiero e in questo modo i processi inconsci da cui derivano le nevrosi possono riaffiorare. Questo è il metodo che sta alla base della psicoanalisi, che nasce dunque come terapia delle malattie nervose e soprattutto dell’isteria. Compito dell’analista è vincere le resistenze del paziente ad affrontare i contenuti rimossi ed effettuare, insieme a lui, l’analisi di tali contenuti. Le nevrosi, oltre che da traumi rimossi, dipendono anche da altri fattori legati alla struttura della psiche.
Secondo Freud, infatti, nella psiche si distinguono tre sfere diverse: l’Es, il Super-Ego e l’Ego.
L’Es è l’inconscio, una zona psichica estranea all’Io, la parte oscura della nostra personalità, il luogo degli istinti, delle pulsioni, che sono come delle continue ‘spinte’ verso il raggiungimento del piacere.
Il Super-Ego è relativamente indipendente dall’Io. Esso è come un giudice che domina la nostra vita, imponendole comandi e divieti. Guida e minaccia l’Io, come fanno i genitori con i figli: il Super-Ego del bambino, in effetti, si costruisce proprio in base a quello dei genitori.
L’Ego stabilisce il rapporto con il mondo esterno e costituisce l’ago della bilancia tra le due sfere conflittuali dell’Es e del Super-Ego. Quando, in alcuni casi, l’Ego non riesce più a equilibrare queste due forze, si genera una sorta di nevrosi, nella quale ci sarà il sopravvento ora dell’Es ora del Super-Ego.
Le nevrosi sono anche il risultato del conflitto tra l’Io e le pulsioni sessuali. Queste ultime hanno la loro ragion d’essere nel conseguimento del piacere, evitando il dispiacere. Anche le pulsioni dell’Io tendono al piacere, ma non si preoccupano del dispiacere. Spesso, quindi, l’Io può rimandare il raggiungimento del piacere, o rinunciarvi del tutto, o sopportare un po’ di dispiacere. In questo modo, si crea una certa conflittualità tra l’Io e la sessualità, che è presente in tutti gli uomini. Laddove questo conflitto degeneri, la diretta conseguenza è ancora una volta la nevrosi.
Joyce lived closer to the state of madness than he would have preferred. His mother died in a state of delirium; his daughter Lucia developed hebephrenic schizophrenia and was permanently hospitalized; his son married a manic depressive.
Joyce portrayed different states of madness in his writings, for example in Ulysses. Critics of his works accused him of being mad, interpreting his use of the stream-of-consciousness, epiphany and interior monologue as the product of a disordered mind. These new techniques developed during the age of Modernism, a definition which can be referred to various fields (art, religion), but also to literature.
The stream-of-consciousness indicates the mental process that develops in the human mind. There are two level of consciousness: the speech level, which can be communicated orally or in writing, and the pre-speech level, which isn’t rationally controlled or logically ordered.
The novelists try to explore the mental process and analyse how it works. One of the methods used to depict consciousness is the interior monologue that is the mean through which it is possible to translate the stream-of-consciousness into words. Since it reflects the chaotic sequence of thoughts, it rejects conventional punctuation, formal syntax, etc…
Joyce used direct interior monologue through which he shifted from thought to thought, without connection of verb, subject or punctuation.
Joyce’s works are rich in epiphanies. This term indicates a sudden revelation caused by casual episodes which enables the subject to have a sudden awareness of his dark condition and understand the sense of his life. One of the best examples of epiphany can be found in The Dead, the last story in Dubliners. The protagonist, Gabriel, and his wife Gretta are present at a party. When they are returning to their hotel room, Gabriel sees that Gretta is crying. When they arrive, Gretta tells him that an old Irish song sung at the party had brought back to her thoughts the memory of a young man, Michael, who had been in love with her and had died for her. When Gretta falls asleep, Gabriel meditates on the events of the night and realizes the futility of his own life. Also in Ulysses Joyce abandons the conventions of the narrative prose, but he takes his technical experimentation to extremes in Finnegans Wake, in which the refinement of the words is driven to delirium. Because of these techniques he was considered mad, but in reality he always had a clear idea of his intentions and believed that his approach would ultimately be vindicated.
Anche l’ideologia del regime nazista mostra chiari segni di una follia che ha mietuto milioni di vittime: appena saliti al potere nel 1933, I nazisti costruirono i Konzentrazionlager, nei quali cominciarono a essere deportati gli ebrei. Il primo grosso contingente, però, vi fu rinchiuso dopo la Notte dei Cristalli del novembre 1938, quando in Germania furono incendiate tutte le sinagoghe e infrante le vetrine dei negozi ebraici. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale i lager si moltiplicarono in Germania e nei paesi occupati, come la Polonia. In questi campi concentrazionari, nei quali si prevedeva sia l’annientamento materiale (disastrose condizioni igienico-alimentari, disumane costrizioni al lavoro, deliberate torture fisiche) sia la sopraffazione psicologica, si mirava a cancellare l’identità, la personalità e l’autonomia di milioni di ebrei. Lo sterminio di massa veniva programmato con fucilazioni, camere a gas, fosse comuni e forni crematori. Il più tristemente famoso campo di concentramento fu quello di Auschwitz-Birkenau, dove furono eliminati più di un milione di ebrei.
A partire dal 1942 in questi campi venne attuata la cosiddetta soluzione finale, che aveva come scopo l’annientamento fisico degli ebrei (Shoah), ma che coinvolse anche altre categorie umane considerate ‘inferiori’ (prostitute, Testimoni di Geova, disabili, criminali comuni, ecc…). Questa impresa di ‘pulizia’ razziale portò a un vero e proprio genocidio, che portò alla morte di circa sei milioni di ebrei.
Ecco il giudizio che Adolf Hitler dava degli ebrei nel suo libro intitolato Mein Kampf (La mia lotta):
“Il mio movimento è basato su una concezione razzista del mondo. Lo Stato ha il suo fondamento nell’esistenza di una razza superiore. Nel caso scomparisse la razza ariana, portatrice di civiltà, non sussisterebbe più alcuna civiltà. Gli ebrei diventano fermenti di decomposizione di popoli e razze, distruttori della civiltà umana”.
È bene ricordare che la Germania nazista non fu l’unico Paese a essere segnato dal razzismo: nell’Italia fascista nel 1938 vennero emanate le ‘leggi per la difesa della razza’, che determinarono la discriminazione degli ebrei e ne favorirono successivamente la deportazione nei campi di sterminio.
E nell’Italia fascista ad assumere un’enorme importanza nell’esaltazione della razza ariana, ma anche della giovinezza e della prestanza fisica fu lo sport. La stampa sportiva, dichiaratamente fascista, arrivò ad affermare che “lo sport è un’arma. È un modo di essere e divenire di un popolo guerriero e superiore”.
È per questa funzione di propaganda nazionalistica e militaristica che, dopo la Prima Guerra Mondiale, nacquero in Italia varie organizzazioni sportive, come i FASCI (Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane) e l’ENEF (Ente Nazionale per l’Educazione Fisica). Nel 1927 l’ENEF venne assorbito dall’Opera Nazionale Balilla (ONB), che dipendeva dalle disposizioni di Benito Mussolini. L’ONB inquadrava i giovani delle varie età: i bambini e le bambine fra i sei e gli otto anni erano i Figli della Lupa; i bambini fra gli otto e i quattordici anni erano i Balilla, mentre le bambine della stessa età erano le Piccole Italiane; i ragazzi fra i quattordici e i diciotto anni erano gli Avanguardisti, mentre le ragazze della stessa età erano le Giovani Italiane.
Nel 1937 l’ONB fu sostituito dalla GIL (Gioventù Italiana del Littorio).
Nel Dopoguerra l’educazione fisica diventò ancora più importante, tanto che si sancirono: l’obbligo del suo insegnamento in ogni ordine e grado di scuola; la partecipazione degli insegnanti di educazione fisica ai consigli di classe e ai collegi dei docenti; la fornitura delle palestre scolastiche da parte degli enti locali.
Io ritengo che una sorta di follia sia insita anche nella natura stessa: ne è un esempio l’attività vulcanica, che può innescarsi improvvisamente in qualche settore della superficie terrestre senza che nessuno possa prevederlo o immaginarlo.
I vulcani sono spaccature della crosta terrestre create dalla pressione del magma che si trova in profondità e si raccoglie in una camera magmatica sotto la crosta. All’aumentare della pressione il magma risale verso la superficie attraverso fessure o spaccature. I gas caldi in esso intrappolati cercano di liberarsi e la superficie comincia a gonfiarsi. Quando la pressione non può più essere contenuta, i gas e i frammenti di roccia vengono rilasciati in una violenta esplosione. La gola del vulcano è detta cratere centrale.
Le eruzioni vulcaniche possono essere esplosive o effusive.
Quando il magma è viscoso e ricco di gas, si sviluppano le eruzioni esplosive: lapilli incandescenti, detti materiali piroclastici, vengono violentemente proiettati in aria. Le particelle più pesanti atterrano vicino al cratere, formando a poco a poco una montagna conica chiamata edificio vulcanico; le particelle più leggere, invece, possono essere trasportate dal vento per centinaia di chilometri.
Quando il magma è più fluido e contiene meno gas, le eruzioni sono delle colate effusive che danno origine ai cosiddetti vulcani a scudo.
L’alternanza di eruzioni esplosive ed effusive dà origine ai vulcani a strato.
Un’attività effusiva dominante dà origine a eruzioni di tipo hawaiiano e islandese. Le prime sono tranquille: la lava molto fluida non ostruisce il cratere e non si verificano esplosioni. Simili sono le seconde, nelle quali, però, la lava fuoriesce da lunghe fessure e non da un edificio vulcanico. Un’attività effusiva prevalente con magma meno fluido dà origine a eruzioni di tipo stromboliano, in cui il magma è piuttosto pastoso e quindi solidifica con una certa facilità, ostruendo il camino, ma la pressione dei gas fa saltare la crosta con esplosioni di modesta entità.
Un’attività esplosiva dominante dà origine a eruzioni di tipo vulcanico, pliniano e paléeano.
Nel primo caso, la lava molto viscosa si solidifica formando un ‘tappo’ di grosso spessore. I gas impiegano più tempo a raggiungere pressioni sufficienti a vincere l’ostruzione e quando questo avviene, l’esplosione è violentissima.
Nelle eruzioni di tipo pliniano (da Plinio il Giovane, che descrisse l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.) le esplosioni sono ancora più violente: la colonna di vapori e gas fuoriesce con tale forza e velocità da salire dritta verso l’alto per alcuni chilometri prima di espandersi in una gran nuvola.
Quelle di tipo paléeano, infine, sono definite catastrofiche per la loro violenza: la viscosità della lava è tale da ostruire ogni via d’uscita e ciò determina esplosioni anche ai lati e alla base dell’edificio vulcanico. Tipico vulcano paléeano è quello di Pelée nell’isola di Martinica.