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Sintesi
Italiano: il lessico familiare

Storia: la famiglia nell'800 e nel '900

Cittadinanza e Costituzione: il diritto alla famiglia

Francese: ma famille

Inglese: the American family

Arte: i quadri sulla famiglia

Musica: i canti di lavoro (work song)

Geografia: gli Stati Uniti

Scienze: le malattie ereditarie

Tecnologia: l'alimentazione

Educazione fisica: anoressia,bulimia e obesità
Estratto del documento

L’inosservanza degli obblighi imposti ai genitori dall’art.147 codice civile dà luogo

all’applicazione di sanzioni penali (art.570 codice penale).

La legge attribuisce ai genitori la ‘potestà genitoriale (art.316 codice civile), nei

confronti del figlio minore, che è un insieme di poteri - doveri riconosciuti

nell’esclusivo interesse del figlio.

La potestà comprende i poteri decisionali relativi alla cura ed all’educazione del

figlio, nonché i poteri di rappresentanza del figlio e di cura dei suoi interessi

patrimoniali.

Ma tali poteri devono sempre essere esercitati nell’interesse del figlio e per la

formazione della sua personalità.

Proprio perché l’esercizio della potestà è funzionale all’interesse del minore ed alla

formazione della sua personalità, man mano che il minore sviluppa la capacità delle

proprie scelte di vita, viene meno il motivo del suo assoggettamento alle scelta dei

genitori.

Quindi, si ha un ridimensionamento dell’esercizio della potestà nel corso della

formazione del figlio.

La potestà spetta ad entrambi i genitori

La violazione dei doveri ad essa inerenti o l’abuso dei relativi poteri può comportare,

per il genitore che vi incorre, la perdita della titolarità della potestà stessa (art.330

cod. civ.).

Anche i figli, dal canto loro, hanno dei doveri nei confronti dei genitori (art.315,

318 cod. civ.):

il dovere di rispetto;

 il dovere di convivere coi genitori (l’obbligo riguarda solo i figli minori);

 il dovere di contribuire, in relazione al proprio patrimonio, al mantenimento

 della famiglia finché convivono con essa;

il dovere di prestare gli alimenti al genitore che si trovi in stato di bisogno, cioè privo

dei mezzi per provvedere al proprio sostentamento (art.433 cod. civ.).

STORIA

La famiglia nell’800

L’equilibrio tra braccia e bocche

Nell’Ottocento le famiglie contadine europee rappresentavano tra il 65 e l’80 % della

popolazione del continente. La famiglia contadina era molto più simile a quella del

mondo antico che a quella attuale. Innanzitutto era il vero soggetto del sistema

agrario su cui si basava l’economia preindustriale: come detto, era un’unità di lavoro

e di produzione, nella quale i membri operavano sotto la direzione del capofamiglia

per garantirsi la sopravvivenza o, nei casi migliori, un modesto benessere.

Per realizzare questo obiettivo, la famiglia doveva essere grande a sufficienza per

consentire il massimo di efficienza nello sfruttamento del suolo. Se i membri della

famiglia erano pochi rispetto alle dimensioni dell’azienda agraria, diventava

impossibile svolgere bene tutte le attività necessarie alla coltivazione. Al contrario,

troppe braccia rispetto alla produzione possibile di derrate alimentari determinavano

un peggioramento delle condizioni di vita della famiglia. Il giusto equilibrio tra

braccia e bocche da sfamare è stato il principale problema della famiglia rurale in

tutte le civiltà che si sono succedute prima della società industriale .

Un equilibrio instabile che però ha determinato la creazione di famiglie non solo

numerose – cioè con molti figli – ma anche allargate. In queste famiglie infatti

vivevano, oltre ai genitori e figli, anche nonni e nipoti, zii e altri parenti più lontani.

Famiglie che assomigliavano più a dei clan che alla famiglia moderna, e che non

vivevano isolate ma prevalentemente in piccoli villaggi in genere meno di mille

abitanti organizzati intorno alla chiesa, al cimitero, alla piazza.

La trasmissione di tradizioni e conoscenze

Come detto, però, il ruolo della famiglia nella civiltà contadina non si riduceva

esclusivamente alle sue dimensioni economiche. Nella famiglia si delineavano gli

stili di vita, i comportamenti e i modelli culturali: l’attaccamento alle tradizioni della

comunità, i valori morali e la fede religiosa. Inoltre, in una società il larga misura di

analfabeti, la famiglia era un luogo di trasmissione dei saperi. Dagli adulti si

apprendevano le conoscenze utili alle attività agricole : riconoscere le piante e gli

animali, impossessarsi delle tecniche culturali, introdurre innovazioni e soprattutto

svolgere quelle attività, come la tessitura o il commercio, che costituivano una parte

non secondaria dell’azienda agricola famigliare.

La struttura gerarchica

I demografi, cioè gli studiosi della popolazione, hanno dato a questo tipo di famiglia

vari nomi, il più usato dei quali è quello di “famiglia patriarcale”. Il termine

“patriarca” indica, tra le altre cose, il capo di un gruppo ampio di persone:

“patriarcale” suggerisce quindi che la comunità numerosa di famigliari è regolata da

norme e consuetudini rigidamente gerarchiche. A capo della famiglia vi era il

maschio adulto nel pieno delle sue capacità lavorative; le donne e i fanciulli non

avevano nessuna autonomia e vivevano in uno stato di subordinazione assoluta; gli

anziani, pur privi di potere reale, rappresentavano la memoria vivente del gruppo e

avevano il ruolo di custodi delle tradizioni della famiglia e della comunità del

villaggio.

Gli affetti e gli interessi

Nella famiglia patriarcale, il padre organizzava il matrimonio dei figli senza chiedere

il parere. Il fine ultimo del matrimonio era il rafforzamento della solidità economica

delle rispettive famiglie, non il coronamento di una storia d’amore tra ragazzi.

Se in famiglia le braccia erano troppe, era sempre il padre che prendeva le decisioni

in merito. Prioritario diventava garantirsi un’ulteriore fonte di reddito. Il padre, allora,

poteva stabilire di mandare una figlia a sua scelta a servizio presso famiglie cittadine

benestanti. Un’altra soluzione era data dal lavoro nelle manifatture.

I rapporti tra genitori e figli, quindi, erano regolati principalmente non tanto dagli

affetti, quanto dagli interessi. Questa situazione, che a noi appare inconcepibile,

aveva numerose cause. Tra queste, vi era indubbiamente l’altissima mortalità,

soprattutto tra i bambini: una madre faceva molti figli ma pochi sopravvivevano.

Questa durissima selezione naturale, che rendeva la sopravvivenza il principale se

non l’unico obiettivo dell’esistenza per la stragrande maggioranza della popolazione,

impediva lo sviluppo di una piena vita affettiva tra i membri della famiglia.

La famiglia nell’900

Le conseguenze dell’urbanizzazione

Con lo sviluppo industriale che si diffuse in Europa dalla seconda metà

dell’Ottocento si verificò un fenomeno tumultuoso e inarrestabile, che caratterizzò

tutto il Novecento e caratterizza tuttora le aree del pianeta in fase di sviluppo: la

riduzione della popolazione agricola e il trasferimento dei contadini dalla campagna

alla città. Tra il 1850 e il 1950 la popolazione contadina occidentale si ridusse dal

60%-70% di quella totale sino a circa il 30%; vent’anni dopo era meno del 10%.

La città spingeva in direzione della famiglia mononucleare, ovvero costituita da un

solo nucleo famigliare: una coppia di coniugi con due o al massimo tre figli, che poi

nel corso del secolo scese verso un solo figlio in media.

Questa differenza tra città e campagna era dovuta a diversi fattori. In primo luogo,in

città la famiglia non era un’unità produttiva, ma semplicemente un’unione di persone

che vivevano dei salari e degli stipendi che il capo famiglia era in grado di

guadagnare. Inoltre, le industrie nascenti si servirono di molta manodopera

femminile: le donne, inserite nel mercato del lavoro, avevano meno tempo per

accudire i figli. Non va infine dimenticato che la stragrande maggioranza delle

famiglie era costretta a vivere, per i bassi redditi, in case piccole, che spesso si

riducevano a una sola stanza e che non favorivano la convivenza di molte persone.

Famiglia e società di massa

La famiglia urbana nel Novecento divenne quindi un’unità di consumo. I membri

della famiglia diventarono soprattutto consumatori e non più produttori.

La famiglia non fu più dominata da strategie economiche volte a preservare e

incrementare le forze di lavoro da impiegare nel fondo agricolo,ma era spinta da lla

necessità di incrementare i propri redditi per accedere a consumi sempre più ampi e

variegati: non solo quelli primari (alimentazione, vestiario, casa) ma anche quelli

voluttuari (automobili, vacanze, giornali, cinema, radio, sport ).

A questi si univano gli investimenti sui figli legati all’istruzione, alla salute, al

benessere. La famiglia era ormai proiettata nelle dinamiche della società di massa.

Il calo della mortalità infantile

Nel Novecento, grazie anche al miglioramento delle condizioni di vita a seguito

dell’industrializzazione, si verificò un fenomeno demografico di grande rilievo che

ebbe forti conseguenze sulla struttura della famiglia: la diminuzione della mortalità e

soprattutto di quella infantile. Ora i figli sopravvivevano più a lungo e quindi

l’investimento affettivo dei genitori nei loro confronti aumentò: le coppie ne

generavano di meno, ma a essi dedicavano più attenzione, più amore, anche perché le

famiglie a loro volta erano sempre più unioni basate sull’affetto e meno sull’interesse

dei padri dei coniugi.

L’emancipazione femminile

Il processo di emancipazione della donna, che costituisce uno dei fenomeni più

significativi del Novecento, ebbe anch’esso un ruolo fondamentale nel profondo

cambiamento della famiglia.

I primi movimenti femministi nati alla fine dell’Ottocento, oltre a richiedere il voto

femminile, si proponevano di superare il ruolo tradizionale della donna come madre e

“angelo del focolare”. Nel corso del Novecento, per lo meno nell’Occidente, il

principio della parità tra i sessi, inizialmente aspirazione di piccoli gruppi di donne

coraggiose, diventò uno dei fondamenti della società moderna dell’Occidente e ora si

sta diffondendo in tutti i continenti.

Questi profondi cambiamenti della società e della mentalità collettiva ebbero effetti

dirompenti sulla famiglia. Essa nel corso del secolo divenne, perlomeno

nell’Occidente, una libera unione tra soggetti uguali, portatori degli stessi diritti,

fondata sull’amore e il rispetto reciproco, nella quale generare dei figli diventava uno

degli scopi e non l’unico. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa

dalle Nazioni Unite nel 1948, dedica un articolo, il 16, al matrimonio e quindi alla

famiglia, L’articolo 16 dice così:

“Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia,

senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno uguali diritti

riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. Il

matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri

coniugi”. Conseguenza di questo processo fu la radicale riscrittura del diritto di

famiglia, che originariamente assegnava al maschio un potere di controllo sulla donna

e sui figli e un primato nell’utilizzazione delle risorse economiche della famiglia.

Oggi tutto questo è scomparso in Occidente. E questa scomparsa è stata

accompagnata da leggi che hanno reso possibile il divorzio e l’interruzione di

gravidanza, accrescendo l’autonomia dei coniugi, e in particolare della donna, nella

vita sentimentale e famigliare.

Uno sguardo alle dinamiche attuali

Le trasformazioni della famiglia occidentale e delle società coinvolte nei processi di

industrializzazione avanzati nel XX secolo non sono però finite; sono ancora in corso,

anche se si muovono in una direzione sufficientemente evidente.

Innanzitutto il numero dei figli è in costante caduta verso la media di un solo nato per

coppia. In secondo luogo, aumenta il numero di divorzi e di separazioni: in Italia, in

base ai dati Istat, in media quasi un matrimonio su due si conclude con una

separazione.

Tale incremento determina a sua volta l’aumento del numero di persone che vivono

da sole, che sono circa il 25% della popolazione nel periodo 2003-2005.

E’ in forte aumento anche il numero di coppie che convivono invece di sposarsi.

Intorno alle unioni mononucleari si stanno quindi sviluppando nuove forme di

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