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Origine della crisi argentina, caratteristiche della crisi, anni successivi alla crisi.
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CESSIONE E FALLIMENTO
INTERNATIONAL MONETARY
MERCOSUR FOUND, GLOBALISATION
FALLIMENTO
ARGENTINA 2001
I VECCHI E I GIOVANI BANCO AMBROSIANO
(PIRANDELLO)
Origine della crisi: il Piano di Convertibilità.
Nel 1991 è stato avviato il Piano di Convertibilità, ossia un programma di
riforme studiate per raggiungere la stabilità economica attraverso politiche di
liberalizzazione del commercio e un ampio piano di privatizzazioni, in modo da
fare uscire l’Argentina dalla fase di recessione in cui era piombata a causa di un
elevato livello di protezionismo e un marcato statalismo.
Con questa legge si è introdotta la parità fissa tra peso argentino e dollaro USA
con l’obiettivo di bloccare l’inflazione che nel 1990 aveva raggiunto livelli
elevatissimi. Tuttavia proprio questo provvedimento sembra essere la ragione
scatenante della crisi del Paese. Originariamente le idee cardine della riforma del
Piano di Convertibilità hanno avuto enorme successo, tanto da far superare
all’Argentina la crisi del Messico, negli anni 1994-1995, che si era
ripercossa sull’intero mondo latino americano, e il crollo delle borse asiatiche .
Nel corso degli anni ’90 Buenos Aires ha potuto godere di un alto tasso di
sviluppo che ha coinvolto tutte le risorse del paese così che dal 1994 al 1996 si è
registrato un raddoppio delle esportazioni sostenuto grazie ad una buona rete
infrastrutturale dei servizi, a un basso costo di manodopera di buon livello, ai
larghi incentivi alle imprese estere
decisi dal Governo. Questi incentivi
hanno permesso forti investimenti
stranieri diretti verso l’Argentina e più
in generale verso il Mercosur,
l’organizzazione economica cui fanno
parte anche il Brasile, l’Uruguay ed il
Paraguay. Quest’area economica
commerciale latino americana è
considerata una premessa importante per
lo sviluppo di una regione che dispone di
grandi potenzialità come l’Argentina, che
ha potuto così attirare investitori da tutto
il mondo per soddisfare i tassi di sviluppo
della sua economia e per raggiungere un
livello basso d’inflazione. Infatti, nel 1996 il tasso d’inflazione era pari allo 0,4%,
I settori
mentre nel 1998 la percentuale di crescita prevista era pari al 4,2% .
maggiormente interessati e coinvolti nella riforma strutturale del Piano sono
stati: il settore industriale (automobili, alimentari, chimica), le
telecomunicazioni, l’energia, le miniere, le costruzioni, il settore finanziario e
infine il turismo. Tali settori hanno potuto registrare un vero e proprio “boom” a
seguito della liberalizzazione delle importazioni.
In sostanza gli anni ’90 mostrano una crescita annuale nettamente superiore al
periodo precedente la riforma. La crescita media annuale passa da –1,3% al
4,5% e la produttività media del lavoro è salita al 2,5% rispetto al 2,2% del
decennio anteriore. La legge di Convertibilità però si è rilevata efficace fino al
biennio 1997-1998, in seguito al quale il periodo di espansione ha subito una
battuta d’arresto a causa della crisi delle borse e in particolare della svalutazione
brasiliana nel gennaio 1999. L’Argentina ha risentito fortemente di questa
svalutazione, in quanto tra i due paesi esistevano stretti legami economici,
poiché il 30% delle esportazioni argentine sono dirette al Brasile.
In un momento di recessione
economica, di problemi di natura
internazionale e di tensioni interne, il
paese è giunto alle elezioni politiche ed
il nuovo presidente Fernando de la Rua
ha dovuto subito preoccuparsi di
ridurre il debito pubblico e
l’indebitamento estero occupandosi
inoltre della politica fiscale e
amministrativa e soprattutto delle
politiche sul lavoro necessarie per
risolvere l’alto tasso di disoccupazione
e la crescita ancora relativa del
mercato interno. L’avvio del piano di
riforme, soprattutto per quanto
riguarda gli incrementi fiscali ha però
coinciso con un periodo di difficoltà per l’economia argentina finendo così per
ostacolare la ripresa. Tra i motivi di tali difficoltà c’è la continua perdita di
competitività del paese, la cui moneta rimane ancora ancorata al dollaro.
L'economia argentina tra il 1999 e il 2002.
L’autunno del 1999 rappresentò un periodo cruciale per l’Argentina. È bene
ricordare velocemente la situazione: i paesi asiatici colpiti dalla crisi del 1997
ricominciavano a crescere, il Brasile aveva appena svalutato il real(moneta
brasiliana) - decisione corretta che avrebbe portato entro pochi mesi ad una
crescita inarrestabile - e il dollaro americano continuava ad apprezzarsi sull’euro
(da sottolineare che l’Europa era l’area verso cui confluivano la maggior parte
delle esportazioni argentine). Agli occhi di molti l’Argentina avrebbe dovuto
cambiare rotta quanto prima ricorrendo anch’essa alla svalutazione del peso
(moneta argentina) prima che fosse troppo tardi, ma la situazione della politica
interna era delicata: infatti gli argentini dovevano eleggere il loro nuovo
presidente e il tema più ricorrente nella campagna elettorale era proprio la
questione del tasso di cambio, ed entrambe le fazioni (quella dei radicali e quella
dei peronisti) avevano la ferma intenzione di mantenere la stabilità cambiaria.
Venne eletto il radicale De La Rua che mantenne l’impegno elettorale non
procedendo alla svalutazione del peso. Cominciò in questo modo una lenta agonia per
il paese. Nei due anni successivi infatti la recessione si aggravò soprattutto a causa
della perdita di competitività sui mercati internazionali. Il ritmo di crescita delle
esportazioni passò dal 17% del 1997 al 6% del 2000, fino alla stagnazione del 2001. Il
Brasile inoltre diminuì in modo significativo gli scambi con l’Argentina.
La svalutazione del real cominciava inoltre a farsi sentire sugli equilibri del Mercosur.
Fu in questo periodo che il FMI (fondo monetario internazionale, uno trai grandi
istituti insieme alla banca mondiale e all' organizzazzione mondiale del commercio
che supportano la globalizzazione) chiese a De La Rua di mantenere la stabilità
valutaria suggerendo addirittura l’ipotesi di passare alla dollarizzazione, misura ancora
più estrema. La dollarizzazione avrebbe infatti portato alla scomparsa definitiva del
peso e l’adozione del dollaro americano come moneta ufficiale con conseguente
rinuncia all’autonomia in campo monetario. Il FMI aveva fiducia in De La Rua e
decise di concedere una linea di credito di 7,2 miliardi di dollari il 10 febbraio 2000.
In cambio il FMI richiedeva una
crescita del 3,5%-4% per i
successivi due anni e una
significativa riduzione del deficit
pubblico. Per raggiungere questi
obiettivi il neo presidente decise di
applicare politiche restrittive (cosa
completamente sbagliata in un
periodo di recessione secondo la
teoria keynesiana) introducendo
nuove tasse su redditi, bibite e
tabacco e di utilizzare in modo più
efficiente le risorse pubbliche. Ma
tutto ciò non bastava. Anzi, la
situazione non accennava a
migliorare a causa del crescente tasso di disoccupazione, della forte riduzione dei
profitti delle imprese e del conseguente calo degli investimenti, il tutto unito alla
contrazione dei consumi e al permanente aumento dell’inflazione. Il governo decise
quindi di provare con una nuova riforma sanitaria per migliorare l’efficienza
nell’erogazione dei suoi servizi. Il FMI andò in aiuto al governo concedendo altri 40
miliardi di dollari nel dicembre del 2000. Il circolo vizioso in cui cadde l’economia
del paese si aggravò ancor di più a causa dell’aumento dei tassi d’interesse dovuto al
dilagare del pessimismo. Nel giro di pochi mesi la soluzione che molti indicavano da
due anni divenne improvvisamente un pericolo da cui scappare. La svalutazione
infatti, in quella situazione, avrebbe avuto l’effetto di raddoppiare l’entità del debito
estero (espresso in dollari), e la volontà popolare era quella di non procedere per
questa via. Il 21 marzo 2001 De La Rua fece tornare Domingo Cavallo al ministero
delle Finanze, il quale dichiarò che il governo non avrebbe chiesto altri prestiti alle
istituzioni internazionali. In compenso Cavallo lanciò il 28 marzo il “Piano di
competitività” che prevedeva: l’aumento dei dazi sull’importazione dei beni di
consumo, la riduzione di quelli sull’importazione di capitali, una tassa sulle
transazioni finanziarie per migliorare il bilancio fiscale, la riforma del lavoro, la
creazione di più di 2 milioni di posti di lavoro entro il 2005 e la riduzione della spesa
pubblica. Nonostante le nuove misure, l’incertezza sui mercati non cessava e gli
investitori cominciavano a sollevare dubbi sulla capacità di ripagare il debito estero
(arrivato a più di 150 miliardi di dollari). In aggiunta si registrò una preoccupante fuga
di capitali: infatti i depositanti iniziarono a ritirare i propri capitali dalle banche, a
convertirli in dollari e a investirli all’estero. Il risultato fu la contrazione delle riserve
internazionali del 40% alla fine del luglio 2001. Il FMI si rese disponibile ad un
ultimo sforzo stanziando altri 21,7 miliardi di dollari (7 settembre) in cambio della
promessa di ulteriori tagli alla spesa pubblica. Il 14 ottobre 2001 i peronisti vinsero le
elezioni parlamentari, segnale inequivocabile che la fiducia in De La Rua era ormai
arrivata al termine. Gli argentini gli rimproveravano due anni di pessimo governo in
cui non aveva fatto altro che introdurre nuove tasse e tagliare la spesa pubblica. Come
se non bastasse, il FMI annunciò l’intenzione di sospendere la linea di credito
concessa poco meno di tre mesi prima. Per Cavallo non c’era più nessuna alternativa.
Il 1° dicembre impose il corralito, una restrizione sul ritiro dei depositi bancari
secondo la quale ogni correntista non avrebbe potuto prelevare dai propri conti più di
250 pesos/dollari la settimana. La decisione gettò nello sconforto e nella povertà il
popolo. Gravi scontri e disordini sociali animarono le settimane seguenti provocando
quaranta morti e ottocento feriti. De La Rua e Cavallo si dimisero, venne deciso un
banking holiday per evitare l’assalto agli sportelli. Il primo gennaio Eduardo Duhalde
venne nominato presidente della Repubblica Argentina. Appena giunto al potere
decise subito per la svalutazione del cambio e dichiarò il default sul debito estero.
Gli effetti e le cause della crisi del 2001
Le crisi che scoppiarono tra gli anni Novanta e i primi anni del nuovo s