Sintesi
LICEO CLASSICO, A.S. 2014-2015

L’EVOLUZIONE DELL’IMMAGINE DELL’UOMO NEI TEMPI: DAL RITRATTO ALLA FOTOGRAFIA AL SELFIE. UN MODO PER TOCCARE L’IMMORTALITA’.


Premessa.
L’uomo è l’unico essere vivente consapevole che la propria esistenza avrà un termine. Questa certezza, paradossalmente, costituisce la spinta più potente a ricercare alternative alla finitudine. Sin dagli albori della storia dell’uomo si trovano tracce di riti funebri: la loro necessità, sentita in quasi tutte le culture (fanno eccezione i popoli che, per ragioni religiose, abbandonano i morti o moribondi), è motivata ora dal punto di vista del defunto che altrimenti non troverebbe la propria pace o la via dell’aldilà, ora dal punto di vista dei vivi che si preoccupano di disfarsi dello spirito del morto o degli influssi nefasti emananti dal cadavere. Le religioni, la filosofia, persino l’agitarsi del senso artistico in tutte le sue manifestazioni , tutte queste manifestazioni proprie dell’attività umana possono essere razionalizzate nel grande bisogno di dare un senso alla propria esistenza e alla necessità di sfuggire l’oblio che accompagna la morte.

L’immagine come “antidoto” alla morte.

Filosofi e scrittori antichi alla ricerca di risposte
Religione e filosofia hanno dovuto accettare l’evidenza scientifica che il corpo umano è destinato ad avere una decadenza ed una fine, tuttavia hanno risposto al bisogno di immortalità strutturando un oltre in cui l’anima umana avrebbe goduto, molto spesso in relazione al come avrà trascorso la vita terrena, di un bene supremo. “L’anima di un uomo è immortale e incorruttibile”, sosteneva Platone; “Non la vita che teme la morte, e si mantiene intatta dalla devastazione, bensì quella che la sopporta e si mantiene in essa, è la vita dello spirito. Lo spirito guadagna la sua verità soltanto se trova se stesso nell’assoluta separazione” scrisse Hegel. Ma il corpo? Cosa può rimanere di eterno di un ente destinato alla corruzione? Solo l’immagine. I potenti di ogni epoca hanno ampiamente fatto ricorso all’immortalità dell’immagine, che li colga possibilmente belli (e quindi giusti ed onorevoli secondo il principio greco della Kalos kai agathòs) e nel pieno del loro vigore. La rappresentazione artistica della figura umana è centrale in gran parte delle culture antiche, ma è la Grecia il luogo in cui ha avuto maggiore importanza e influenza sulla storia dell’arte successiva. Che si trattasse di raffigurare dei immortali, eroi mitici, guerrieri caduti, atleti vittoriosi o altri personaggi celebri, l’interesse dei Greci verso la resa della forma, del carattere e della storia dell’individuo (il più delle volte maschile) mediante la rappresentazione scultorea del suo corpo sfociò in una delle conquiste artistiche più eccezionali e illustri della storia. Prendiamo ad esempio Alessandro Magno, raffigurato nella sua magnificenza, fiero cavaliere, fondatore di un impero senza pari. Morto in giovane età, presente ancor oggi in tutto il suo fulgore attraverso questa statua equestre che ne tramanda la grandezza:

Sguardo rivolto verso l’orizzonte, metafora del futuro, corpo forte e possente, Alessandro Magno viene qui magistralmente raffigurato nella miglior tradizione ellenistica, in perfetta assonanza coi toni encomiastici utilizzati ad esempio da Callimaco, tra i più importanti poeti alessandrini. L’elogio dei vincitori, anche attraverso l’utilizzo dell’immagine, è un elemento che si riscontra in ogni epoca storica. In letteratura latina celebre fu l’autore Gaio Svetonio Tranquillo, per avere redatto le biografie di uomini illustri, tra cui l’imperatore Claudio, di cui si trova un’emblematica immagine scultorea:

Mussolini e Hitler: l’immagine del potere?

Nel periodo intercorso tra le due guerre, i venti gelidi del fascismo soffiarono in molte parti d’Europa. Il fascismo era un sistema ultranazionalistico, che subordinava al massimo l’individuo agli interessi dello Stato. A tal fine i regimi fascisti eliminarono tutte le ideologie che ad esso si opponevano e non disdegnarono l’uso della violenza, per ottenere i propri scopi, anche con l’allontanamento, la segregazione dei più deboli e l’epurazione di massa. Per imporre le loro politiche, i regimi utilizzarono anche l’impatto che il carisma dei personaggi chiave Mussolini –Hitler generava, la loro arte nel proporsi e nel trasmettere il messaggio e gli intenti perseguiti, anche attraverso l’uso massiccio della propaganda, giungendo fino al grottesco e alla parodia, per nascondere le dure realtà dei regimi e ottundere le coscienze. Questa considerazione induce, oltre che a notare i diversi aspetti del potere dell’immagine, che esprime fascino e personalità dei due dittatori nella loro funzione di immagine-simbolo della nazione. Mussolini ed Hitler finirono con l’essere identificati con le loro rispettive Nazioni. Essi resteranno immortali nella storia, indipendentemente dall’effimera realtà del loro potere.

La ricerca dell’immortalità: Oscar Wilde
Il ritratto di Dorian Gray è forse il romanzo più famoso scritto da Oscar Wilde ed è pure quello che più rappresenta lo stile e il pensiero dell'autore. Terminato nel 1891 questo romanzo vede nascere un personaggio che incanterà l'Inghilterra e più tardi l'intera Europa se non il mondo. Molti altri autori hanno cercato di dare una fine diversa al romanzo cercando di riutilizzare il personaggio di Dorian Gray, un personaggio enigmatico che viene spinto dalla sua ingenuità, dalla sua bramosia di bellezza e dagli eventi a compiere azioni che altrimenti non avrebbe compiuto. Tutto per ricercare un’immortalità corporea che finirà col distruggere l’anima stessa di Dorian: una effimera metafora della paura di scomparire.

Un fotografo d’eccezione: Giovanni Verga.
Il più grande esponente del verismo, Giovanni Verga, arriva alla fotografia quasi per caso utilizzando una vecchia macchina dello zio paterno. Nel 1966 furono infatti ritrovati, nella casa di Giovanni Verga a Catania, ben 448 negativi fotografici.
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Nella sua produzione fotografica, così come nella scrittura, si occupa di riprendere un paesaggio dove natura e persone sono entrambe protagoniste. Oltre ai ritratti di parenti e della cerchia degli amici più cari, vengono fissati dal suo obiettivo volti di gente comune. Sono persone del popolo, massari, contadini, cacciatori, cameriere. Tutta una schiera di persone che non facevano parte dell’ambiente borghese da cui proveniva. Visi segnati dalla vita dura e dalle sue difficili condizioni, volti scavati da rughe profonde, espressioni che facevano comprendere tutto del loro vissuto. È dunque interessante e importante scoprire che anche Verga, non solo aveva scritto del “mondo dei vinti”, regalandoci pagine indimenticabili, caratterizzate da personaggi forti, con il coraggio di vivere nonostante i maltrattamenti della sorte, ma era andato in giro con la macchina fotografica per documentarsi su tutto, facendoci conoscere fin quasi a poterci immedesimare profondamente la sua concezione della realtà e i suoi fini, e di farlo con grande interesse e partecipazione. Certo la sua è una fotografia che va oltre la ripresa, i gruppi fotografati sono spesso in posa in attesa della fondamentale ricerca dell’espressività. Non gli basta e non persegue solo la bellezza delle forme, la perfezione nell’esposizione. Non esiste dubbio sul fatto che ad un’attenta e ben strutturata analisi gli scatti realizzati sono un mettere in luce una precisa scelta poetica dell’autore che faceva della profondità di campo, delle inquadrature sbilanciate la sua cifra stilistica. Un modo per rendere le immagini più vicine alla realtà, a quello che il suo occhio indagatore vedeva.

Il selfie
L’evoluzione più moderna del bisogno di ritrarre la propria immagine ha trovato fedele alleata nella tecnologia. Con l’arrivo sul mercato di modelli di telefonini sempre più sofisticati, si è imposta la moda del selfie. Cos’è un selfie se non un autoritratto? Un istante colto volutamente, spesso ricercato e studiato, per avere e lasciare un’immagine di se stessi in un momento particolare. Immagine da guardare e riguardare ma anche da lasciare.
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