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Sintesi
Storia: purezza razziale (ideologia nazista);

Filosofia: Herbert Spencer, il darwinismo sociale;

Italiano: Gabriele D'Annunzio (Le vergini delle rocce);

Inglese: Frankenstein or the modern Prometheus;

Francese: l'eugénisme en France avant 1939:
Estratto del documento

Esame di Stato A.S. 2011/2012

Questioni di bioetica: eugenetica e sperimentazione sulla vita

EUGENETICA:

la scienza del «razionale allevamento

umano»

Definizione di eugenetica

Con il termine eugenetica (dal greco εὖ =

"bene" e γένος = "stirpe, razza") s'intende lo

studio dei metodi volti al perfezionamento della

specie umana attraverso selezioni artificiali

operate tramite la promozione dei caratteri fisici

e mentali ritenuti positivi (eugenetica positiva) e

la rimozione di quelli negativi (eugenetica

negativa), mediante selezione o modifica delle

linee germinali, secondo le tradizionali tecniche

invalse nell'allevamento animale e in agricoltura

basate sulla genetica mendeliana, e quelle rese attualmente o potenzialmente

disponibili dalle biotecnologie moderne. Nel linguaggio comune, il

termine è usato come sinonimo di eugenismo,

Manifesto del 1925 che inneggia all’eugenetica

ideologia che ritiene che la soluzione di problemi politici, sociali, economici o sanitari

possa essere raggiunta attraverso l'adozione di pretese soluzioni eugenetiche.

Storia dell'eugenetica

«Eugenics is the study of agencies under social control that may improve or impair the

racial qualities of future generations either physically or mentally».

Così nel luglio del 1904 Francis Galton, biologo, antropologo e psicologo, cugino di

Charles Darwin, in un articolo sull’American Journal of Sociology dava la prima

definizione ufficiale di una “nuova scienza”, la scienza del “razionale allevamento

umano”. Questa novità in realtà aveva ben poco di nuovo, almeno nei presupposti e

negli scopi: da sempre filosofi, scienziati, intellettuali e statisti avevano accarezzato

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Questioni di bioetica: eugenetica e sperimentazione sulla vita

l’idea che l’umanità, usando la ragione, avrebbe potuto produrre “generazioni future

perfette”, fisicamente e moralmente. Storicamente, infatti, è in Platone che, per la

prima volta, il “razionale allevamento umano” viene indicato come strumento forte

nelle mani dello Stato. E’ lo strumento quasi necessario alla repubblica dei filosofi per

conservare la propria virtù e

perpetuarla. Con mezzi assolutamente sbrigativi, peraltro: omicidio e segretezza.

«Conviene che gli uomini migliori si accoppino con le donne migliori il più spesso

possibile e che, al contrario, i peggiori si uniscano con le peggiori, meno che si può; e

se si vuole che il gregge sia veramente di razza occorre che i nati dai primi vengano

allevati; non invece quelli degli altri. E questa trama, nel suo complesso, deve essere

tenuta all’oscuro di tutti, tranne che dei reggitori, se si desidera che il gruppo dei

guardiani sia per lo più al sicuro da sedizioni». (Repubblica, V)

Questa linea di pensiero, tuttavia, è destinata a morire con il mondo classico. Con la

filosofia cristiana medievale l’eugenetica perde completamente di senso: la corporeità

umana è intrinsecamente degenerata a causa del peccato originale. La corruzione

fisica e morale dell’uomo si perpetua proprio con l’atto sessuale e non c’è rimedio alla

degenerazione se non l’intervento “esterno” di Dio. Ogni possibilità di “miglioramento”

è dunque lasciata alla sfera ultraterrena. Il pensiero “eugenetico” torna in auge solo

con il Rinascimento e il rinnovato interesse per la politica: Campanella, nella

prospettiva utopica della “Città del sole”, sostiene l'opportunità di combinare i

matrimoni e controllare la vita sessuale dei cittadini. Tuttavia, si tratta di un ritorno

effimero: la medicina dopo la rivoluzione scientifica sarà molto più occupata a gettare

le basi della fisiologia e a capire i meccanismi “dell’uomo macchina” più che a

immaginare nazioni di figli perfetti.

In seguito però, dopo essere passata per la dura prova del criticismo kantiano,

la ricerca scientifica si accosterà al tema della corporeità umana in modo nuovo. Si

apre la questione del legame tra espressione fisica dell’uomo ed espressione

spirituale, tra “corporeità” e “pensiero”, (e in senso più ampio tra “forma del corpo” e

“forza della mente”). E si comincerà a riflettere ancora sulle diversità umane in termini

di “qualità”.

Nella prima metà dell’Ottocento nasce in Francia il positivismo, movimento

filosofico e culturale, caratterizzato dall’esaltazione della scienza, intesa come unico

metodo di conoscenza possibile e valido. In questi anni, si sviluppa e si impone, a

livello europeo e mondiale, una cultura che presenta le seguenti caratteristiche: 1) un

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rigoroso materialismo, che riconduce la condizione umana a quella di ogni altro

animale ed esclude qualsiasi soluzione di tipo metafisico e spiritualistico; 2)un

sostanziale determinismo: l’uomo è determinato dagli istinti, dai bisogni materiali,

dalla situazione storica in cui vive; 3) una concezione del progresso fondata

sull’evoluzionismo: le diverse specie si evolvono attraverso la «lotta per la vita» e la

«selezione naturale», adattandosi, quale più, quale meno, all’ambiente e affermandosi

o scomparendo in relazione a tale adattamento.

La teoria evoluzionistica assume la denominazione di “darwinismo” dal suo

fondatore, lo scienziato naturalista inglese Charles Darwin. Altro esponente di tale

teoria è l’inglese Herbert Spencer.

Charles Darwin e Herbert Spencer all’ origine del darwinismo sociale

L’origine

Nel 1859, Charles Darwin avanza la propria teoria dell’evoluzione nel libro

delle specie. Il merito di Darwin consiste nell’aver dato una compiuta e sistematica

teoria scientifica del trasformismo biologico fondandola su un numero enorme di

osservazioni e di esperimenti, e di averla presentata proprio nel momento in cui l’idea

romantica del progresso, nata sul terreno dell’indagine storica, si affermava nella sua

massima universalità e pareva incrollabile. La teoria darwiniana sull’evoluzione si

fonda su due ordini di fatti: 1) l’esistenza di piccole variazioni organiche che si

verificano negli organismi viventi lungo il corso del tempo e sotto l’influenza delle

condizioni ambientali, variazioni che in parte per la legge della probabilità, sono

vantaggiose agli individui che le presentano; 2) la lotta per la vita che si verifica

necessariamente tra gli individui viventi per la tendenza di ogni specie a moltiplicarsi

secondo una progressione geometrica. Da questi due ordini di fatti segue che gli

individui presso i quali si manifestino mutamenti organici vantaggiosi hanno maggiori

probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita; e, in virtù del principio di ereditarietà,

vi sarà in essi una tendenza pronunciata a lasciare in eredità ai loro discendenti i

caratteri accidentali acquisiti. Sviluppando questi due punti , Darwin scrive nel 1871 la

La discendenza dell’uomo,

sua opera più rivoluzionaria, in cui fa derivare la specie

umana dalla selezione naturale e dall’evoluzione della specie delle scimmie. La

morale, la religione e il linguaggio si sono sviluppati tra gli uomini per esigenze di

utilità sociale e di conservazione-riproduzione della specie, non hanno perciò

un’origine metafisica e vanno spiegate materialisticamente.

Herbert Spencer (1820-1903) non era uno scienziato, ma un filosofo, e infatti dà

dell’evoluzionismo un’interpretazione filosofica e sociale: non muove, come Darwin, da

analisi scientifiche settoriali ma da considerazioni globali della realtà naturale e

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storica. Anche per Spencer, come per Comte e Darwin, la conoscenza è caratterizzata

da un’evoluzione da verità semplici e specifiche a verità complesse; tuttavia scienza e

filosofia sono costrette, secondo Spencer, a fermarsi dinnanzi all’inconoscibile: le

cause ultime, insomma, restano sconosciute e misteriose per la ragione umana.

Per Spencer, le regole dell’evoluzione sono eguali nel mondo naturale e nel

mondo sociale, e sono segnate dal passaggio dal semplice al complesso,

dall’omogeneo all’eterogeneo: come un seme diventa una pianta, così accade per

l’organizzazione sociale. Naturalmente e spontaneamente sono nate l’organizzazione

capitalistica del lavoro, le divisione del lavoro, la formazione delle classi sociali. Proprio

perché si tratta di un’evoluzione naturale e dunque lenta e graduale, non è possibile

pensare di risolvere i problemi sociali con la rivoluzione: occorre lasciare che, sotto la

spinta dei bisogni naturali di ciascuno e del libero conflitto delle classi, il progresso si

realizzi da solo, attraverso la lotta e la selezione naturale. Qualsiasi azione statale,

che, animata da “buoni sentimenti”, intervenga in questa

dinamica sociale (per esempio, per proteggere gli strati sociali più deboli), rischia

perciò di contrastare o di ritardare l’attuazione concreta del progresso. Questa teoria-

che è stata chiamata “darwinismo sociale”- estendendo dalla natura alla società il

concetto di “selezione” e di “lotta per l’esistenza” pervenne alla giustificazione delle

discriminazioni razziste e classiste della politica imperialista e della lotta per la

concorrenza capitalistica fra aziende e interi Stati. In essa, l’idea di progresso si

conciliava con una certa dose, da un lato, di cinismo e di accettazione delle leggi del

più forte e dall’altro, di rassegnazione e di “fatalismo”. Infatti, secondo questa teoria,

la società si dividerebbe in “adatti” e “non-adatti”, “forti” e “deboli”, e i primi

avrebbero la prerogativa naturale di dominare i secondi.

Più propriamente esso andrebbe definito spencerismo sociale, poiché la sua

elaborazione si deve ad Herbert Spencer che così lo spiega:

«Può sembrare inclemente che un lavoratore reso inabile dalla malattia alla

competizione con i suoi simili, debba sopportare il peso delle privazioni. Può sembrare

inclemente che una vedova o un orfano debbano essere lasciati alla lotta per la

sopravvivenza [struggle for life and death]. Ciò nonostante, quando siano viste non

separatamente, ma in connessione con gli interessi dell’umanità universale, queste

fatalità sono piene della più alta beneficenza – la stessa beneficenza che porta

precocemente alla tomba i bambini di genitori malati, che sceglie i poveri di spirito, gli

intemperanti e i debilitati come vittime di un’epidemia.»

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Questioni di bioetica: eugenetica e sperimentazione sulla vita

Difatti, è sua la "sopravvivenza dei più adatti", definizione che riassume le

affermazioni principali del darwinismo. Spencer dichiarò che gli "inadatti" dovevano

essere eliminati e, a tal proposito, scrisse:

«Se sono sufficientemente idonei per vivere, vivono, ed è un bene che vivano. Se non

sono sufficientemente idonei per vivere, muoiono, ed è meglio che muoiano.»

Darwinismo e spencerismo, concepiti indipendentemente l’uno dall’altro con

metodi e presupposti assolutamente differenti, venivano spesso confusi e assimilati,

dando luogo a numerosi e duraturi equivoci. Se quella di Darwin è un’elaborazione

scientifica di dati accumulati con l’esperienza e l’osservazione, la cui applicazione è

limitata al campo biologico, l’evoluzionismo spenceriano è una concezione generale

della realtà, che trova applicazione nel mondo naturale, così come in quello storico e

sociale. Il fatto che tale dottrina sociologica iniziasse a circolare sotto il nome di

“darwinismo sociale” contribuì non poco alla confusione tra spencerismo e

darwinismo. In realtà, l’assimilazione dei due evoluzionismi è del tutto indebita, e lo

Autobiografia.

stesso Darwin lo esprime molto chiaramente nell’ Pur ammirando il

talento di Spencer, Darwin non ritiene che le sue opere abbiano

avuto una qualche influenza sul suo lavoro scientifico:

«Il metodo deduttivo con cui egli tratta ogni argomento, è assolutamente contrario

alla mia mentalità. Le sue conclusioni non mi convincono mai: e ogni volta, dopo aver

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