Anteprima
Vedrai una selezione di 5 pagine su 20
Estetismo tesina (2) Pag. 1 Estetismo tesina (2) Pag. 2
Anteprima di 5 pagg. su 20.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Estetismo tesina (2) Pag. 6
Anteprima di 5 pagg. su 20.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Estetismo tesina (2) Pag. 11
Anteprima di 5 pagg. su 20.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Estetismo tesina (2) Pag. 16
1 su 20
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi
inglese - O. Wilde- The Picture of Dorian Gray
italiano - G. D'Annunzio - Il Piacere
Storia - L’Impresa di Fiume
Francese J. K. Huysmans A Rebours
Latino - Petronio: il primo esteta latino
Filosofia - Kierkegaard: la vita estetica
Biologia -L’invecchiamento delle cellule e
dell’individuo “
Estratto del documento

values his physical appearance more than the state of his soul,

which is openly showed by the increasing degradation of the

portrait. This superficial faith in the ultimate value of youth and

beauty is therefore the protagonist’s damnation. In this way, the

Picture of Dorian Gray may be read as a moralistic tale warning

against the dangers of valuing one’s appearance too highly, and of

neglecting one’s conscience. Finally the picture illustrates Wilde’s

theories of art:

“Art survives people, Art is eternal.”

IL PIACERE

GABRIELE D’ANNUNZIO

Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”

dal libro “Il Piacere" di Gabriele D’Annunzio

In Italia, Gabriele D’annunzio è il portavoce principale della cultura

estetizzante e la sua poetica è l’espressione più rappresentativa del

Decadentismo italiano. Personaggio di indiscutibile fama, patriota,

scrittore, uomo di società, egli mirò a realizzare uno stile di vita del

tutto eccezionale, libero da costrizioni e vincoli, fastoso, raffinato,

sensuale, ricco di tensioni erotiche, forte di ideali eroici.

Egli rigetta la ragione come strumento di conoscenza per

abbandonarsi alla suggestione del senso e dell’istinto. L’arte è il

valore supremo ed ad essa devono essere subordinati tutti gli altri

valori. La vita si sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone

alla legge del bello, trasformandosi in un’opera d’arte. Il compito

dell’esteta è, allora, quello di realizzare l’arte, ricercando sempre la

bellezza: ogni suo gesto deve distinguersi dai princìpi sociali e

morali che legano gli uomini. Lo stesso D’Annunzio visse una vita

all’insegna dell’arte, seguendo le dottrine proposte dall’estetismo;

5

la sua esistenza fu caratterizzata da una forte attività mondana, da

un profondo interesse verso diverse esperienze e da un’accesa

avversione nei confronti della società borghese. A creargli intorno

un alone di mito contribuirono anche i suoi amori, specie quello

lungo e tormentato con l’attrice Eleonora Duse. La sua poetica

risente di queste nuove ideologie e nelle sue opere D’annunzio

cerca l’artificio e l’ineffabile contro la piatta realtà. Egli riflette un

cupo senso di stanchezza, di sfiducia nell’agire umano, quasi un

desiderio di rovina, proprio dei poeti decadenti.

Il romanzo, considerato enciclopedia del decadentismo, è il “Il

Piacere” (1889); in esso confluisce tutta la crisi dell’esperienza

mondana e letteraria che lo scrittore ha vissuto fino a quel

momento. Al centro delle vicende c’è uno dei molti alter ego

fortemente autobiografici nati dalla penna dannunziana: Andrea

Sperelli, esteta raffinato e coltissimo, discendente d’una famiglia

nobile, estraneo alla barbarie dei tempi moderni e tutto dedito “a

fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”. Ovviamente, ad un

individuo del genere si addice un amore d’eccezione: il romanzo,

diviso in quattro parti, si apre proprio con un incontro fatale tra

Andrea ed Elena Muti, che gli fa visita nella residenza romana di

palazzo Zuccari. Si apre qui un lungo flashback, che torna alla

rottura della relazione tra i due, avvenuta due anni prima. Andrea

ha reagito alla fine dell’amore con Elena gettandosi nella vita

mondana della capitale, inanellando avventure superficiali e vane,

finchè, viene gravemente ferito durante un duello. La

convalescenza porta il nostro protagonista a Ferrara, presso una

cugina che gli assicura pace e ristoro, e soprattutto la possibilità di

dedicarsi in serenità alla creazione artistica. Ad infrangere la pace

ritrovata interviene l’arrivo di un’amica della cugina, Maria Ferres, in

grado di turbare profondamente il malato per la strana somiglianza

ad Elena. Il rapporto di amicizia si trasforma ben presto in amore.

Sfortunatamente Sperelli continua ad amare Elena oltre a Maria e la

confusione di sentimenti di cui è vittima lo spinge per errore a

pronunciare il nome di Elena nella prima notte d’amore con Maria:

la disperazione del giovane non può fermare la fuga definitiva di

Maria. Il libro si conclude con l’asta dei beni della donna, di cui al

protagonista non resta che un armadio, simbolo che riassume la sua

sconfitta.

Andrea è un giovane dandy, un intellettuale raffinato dotato di buon

gusto nelle opere letterarie, garbato, amabile seduttore e squisito

poeta. Ma, quella del conte Sperelli, è una vicenda triste e che

nasconde una crisi di valori di ben più ampia portata. Il suo amore

antico per Elena Muti lo porta e dover confrontarsi con una società

frivola, mediocre, intenta soltanto a ricercare nuovi scandali e nuovi

diletti mondani; una società edonista e superficiale che Andrea

6

sfrutta e subisce fino alle pagine conclusive del romanzo dove, lo

stesso protagonista, esaspera l’immagine del piacere inquinando

anche l’ultima possibilità di salvezza tra le braccia di Maria.

Anche l’ambiente sociale e geografico del romanzo descrive

prevalentemente una Roma aristocratica e nobile, attenta agli

avvenimenti mondani tra Palazzo Barberini, Villa Borghese, Piazza di

Spagna. La casa del protagonista, Palazzo Zuccari, viene

immaginata in cima a Piazza di Spagna; si parla quindi della folla,

della scalinata di Trinità dei Monti. Un ritrovo di nobili si svolge

anche a Palazzo Borghese di cui viene nominata la famosa Villa

Borghese. La città viene descritta nei suoi colori, a seconda delle

stagioni e dell’ora; viene descritto anche l’interno del palazzo,

arredato sontuosamente dal conte Sperelli, in particolare una

stanza, dove hanno luogo gli incontri amorosi di Andrea ed Elena,

che è molto accogliente: ha tappezzerie, un prezioso letto a

baldacchino, un caminetto dove arde sempre il fuoco e una poltrona

dove Elena appoggia i vestiti.

In questo romanzo D’Annunzio si fa portavoce dell’estetismo, deve

“illuminare” le menti del nuovo pubblico nascente e deve infondere

in loro il piacere per la bellezza. L’autore si identifica con il

protagonista, ma il narratore se ne distacca e lo critica

pesantemente. Nel primo caso Andrea è ciò che D’Annunzio è e che

vorrebbe essere: così è giovane, elegante, raffinato e piacente

come lui, come lui è un intellettuale, come lui un seduttore timido e

nello stesso tempo cinico, come lui ha facile accesso nei ritrovi

mondani e nei salotti della nobiltà; nel secondo caso, la critica è

indirizzata, soprattutto, alla sua falsità, alla sua doppiezza, alla

menzogna ed all’inganno che usa nei confronti delle donne da lui

amate e possedute: il personaggio si scinde, infatti, in ciò che è

internamente e in ciò che deve essere in realtà.

D’ANNUNZIO E L’IMPRESA DI FIUME

“ 7

Se almeno mezza Italia somigliasse ai fiumani, avremmo il dominio

del mondo. Ma Fiume non è se non una cima solitaria dell’eroismo,

dove sarà dolce morire.” Gabriele D’Annunzio

Il clima di conflitti sociali e generale sfiducia che crearono i

presupposti per lo sviluppo della corrente letteraria del

decadentismo, erano gli stessi che portarono, nei primi anni del ‘

900, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Il senso di sfiducia per la mediocre democrazia instauratasi generò

non poche invocazioni di regimi autoritari da parte della classe

dirigente. Dall’altra parte, le masse contadine e operaie, che fino ad

allora avevano sostenuto gli ideali democratici, contestavano lo

stato liberale di matrice borghese, proponendo ben altre soluzioni di

stampo marxista: i conflitti sociali venivano sanati con pesanti

repressioni. L’ondata antidemocratica aveva già travolto gran parte

d’Europa e numerose opere letterarie contribuirono a diffondere tali

posizioni. In questo clima di angoscia generale, D’Annunzio trova

spazio, tanto in letteratura quanto in politica, lasciando il segno ed

influenzando, più o meno direttamente, gli eventi che gli sarebbero

succeduti.

Nel 1915 D’Annunzio ritornò in Italia e condusse immediatamente

un’intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma.

Il discorso celebrativo che il poeta pronunciò il 4 maggio 1915

suscitò entusiastiche manifestazioni interventiste, così come

l’arringa tenuta a Roma il 13 maggio.

Il suo estetismo e il suo superomismo si convertirono in fiammante

oratoria nazionalistica, in esaltazione del coraggio e della lotta, in

abile sfruttamento politico e militare delle masse.

Nel conflitto D'Annunzio si schierò, senza esitazioni, a favore della

Grande Guerra, tanto che riuscì ad arruolarsi nonostante fosse

ormai ultracinquantenne, diventando protagonista di imprese

straordinarie tanto in mare quanto in cielo, col clamoroso volo su

Vienna e l’incredibile impresa di Fiume.

Nel 1919, infatti, concluso il 1° Conflitto mondiale, D’Annunzio

organizzò un clamoroso colpo paramilitare, guidando una

spedizione di “legionari”, all’occupazione della città di Fiume, che le

potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all’Italia. Con

questo gesto D’Annunzio raggiunse l’apice del processo di

edificazione del proprio mito personale e politico. A Fiume nessuno

aveva pensato, anche perché la comunità italiana di quella città

aveva ben pochi legami con la madrepatria. Tuttavia, l'occupazione

della città da parte delle truppe slave, aveva indotto gli italiani di

Fiume a formulare l'appello al primo ministro Orlando. Da parte

croata invece era costante il tentativo di integrare Fiume nelle

8

tradizioni slave, con l'intenzione palese di annettere la città alla

nazione croata.

Ma Orlando e il suo ministro degli Esteri Sonnino ricevettero

l’appello del Consiglio Nazionale di Fiume in un momento delicato:

la conferenza della pace di Versailles doveva fare i conti con

l’intransigenza del presidente americano Wilson, che non accettava

le clausole del Patto di Londra: Wilson riconosceva il diritto dell’Italia

al Brennero come sua “frontiera naturale”, ma non ammetteva che

un milione di slavi fossero trasferiti “come un gregge” entro i confini

italiani.

A Fiume la situazione si faceva esplosiva, col rischio di scontri tra le

truppe italiane e quelle iugoslave.

L'Italia viveva un momento delicatissimo perché alla crisi

economica causata dal conflitto, si sommava la crisi (ben più grave)

delle coscienze, strascico inevitabile di tutte le guerre e

a ciò si aggiunga quel clima di sbandamento culturale che l'Europa

viveva dall'inizio del secolo.

D'Annunzio, come dicevamo, tuonava sulle piazze contro la vittoria

mutilata e intanto gli avvenimenti a Fiume precipitavano.

Mentre l'Italia era già teatro degli scontri tra squadre fasciste e

socialisti, gli uomini di punta dell'irredentismo fiumano potevano

tranquillamente fare pubblica propaganda per l'arruolamento nella

Legione Fiumana, in ciò coadiuvati anche dai Fasci di

combattimento, iniziando il concentramento di uomini a Trieste e

comunicando con la massima naturalezza a Badoglio, sottocapo di

Stato Maggiore dell'Esercito, l'intenzione di prendere Fiume con un

colpo di forza. Badoglio ordinò alle truppe, poste alla frontiera

fiumana, di aumentare la sorveglianza. Ma di lì a poco si sarebbe

visto quanto quegli ordini venissero presi alla lettera.

Il 12 settembre 1919 D'Annunzio era a Ronchi, una cittadina a pochi

chilometri da Trieste, con un seguito di oltre duemila, tra granatieri,

arditi e fanti;

Il generale Pittaluga, successore del generale Grazioli, avrebbe

dovuto obbedire agli ordini del suo superiore Badoglio e fermare con

le armi questo esercito privato, formato da disertori e comandato da

un uomo che, palesemente, si poneva in rotta col governo.

Pittaluga rispose, invece, abbracciando il poeta ed entrando con lui

in Fiume, dove nel frattempo il Consiglio Nazionale aveva preparato

una manifestazione.

Ma quest’avventura era destinata a concludersi con il drastico

ridimensionamento del sogno: col trattato di Rapallo, Giolitti,

appoggiato dai nazionalisti ed anche da Mussolini, ottenne la

fissazione del confine lungo la linea di displuvio alpina, più un'esile

striscia di territorio per collegarla a Fiume, che però sarebbe rimasta

città libera. L'Italia, così, rinunciava alla Dalmazia, con l'eccezione di

9

Dettagli
Publisher
20 pagine
3 download