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Sintesi
- Pirandello e le Sue origini (che sono poi anche le mie: per questo mi sono divertito a colorare i dialoghi con espressioni tipicamente siciliane);
- l’uso di una lingua colloquiale e senza tanti fronzoli;
- l’affermazione della scorrevolezza della vita e l’ostinato rifiuto di fissarla entro “forme” definite;
- l’umorismo che sa vedere il contrario di quanto appare, scavando nelle cose nascoste;
- l’adesione al Partito Nazionale Fascista;
- il sogno di un Teatro Nazionale;
- il premio Nobel;
- Marta Abba… e, naturalmente, la maschera che ciascuno di noi indossa (chi con fatica, chi con maggior disinvoltura), simbolo dell’accettazione passiva di un ruolo da recitare, sulla scena dell’esistenza.
Estratto del documento

Esame di Stato 2012-2013

<<ESSERE O APPARIRE>>

Siamo ciò che appariamo?

Quanto ci appare corrisponde a qualcosa di reale?

Tesina

a cura di Giovanni Gitto

1

Breve nota esplicativa:

Questo immaginario dialogo con Pirandello nasce dall’esigenza di portare

la commissione a conoscenza del tema centrale della mia tesina: le

Maschere, ovvero il dualismo tra ESSERE e APPARIRE, tanto caro allo

scrittore siciliano.

Ho tentato, tuttavia, di affrancare i professori dalla noia di leggere

un’esposizione schematizzata scolasticamente, sperando, così, di

renderla più piacevole.

Sono ricorso all’uso del dialogo non a caso: tutta la poetica pirandelliana

sviluppa i drammi dei personaggi attraverso questa forma linguistica.

Ho cercato di presentare l’uomo Pirandello, più che lo scrittore, poichè,

come egli stesso ebbe modo di dire: la speranza è che i riconoscimenti

vadano alla persona, prima ancora che al personaggio.

Pirandello e le Sue origini siciliane (che sono poi anche le mie: per questo

mi sono divertito a colorare i dialoghi con espressioni tipicamente

siciliane);

l’uso di una lingua colloquiale e senza tanti fronzoli;

l’affermazione della scorrevolezza della vita e l’ostinato rifiuto di fissarla

entro “forme” definite;

l’umorismo che sa vedere il contrario di quanto appare, scavando nelle

cose nascoste;

l’adesione al Partito Nazionale Fascista;

il sogno di un teatro nazionale;

il premio Nobel;

Marta Abba… e, naturalmente,

la maschera che ciascuno di noi indossa (chi con fatica, chi con maggior

disinvoltura), simbolo dell’accettazione passiva di un ruolo da recitare,

sulla scena dell’esistenza.

Questi i temi che propongo con la lettura dell’immaginario incontro tra

due siciliani: uno “sgamato” e uno… ancora un po’ “amminchiato’’

(traduzione siciliana di “rincitrullito’’).

Se il risultato non avrà sortito l’effetto desiderato, sarò comunque

consolato dal divertimento provato nel tentativo di “mettere in scena’’

uno studio fatto di riflessioni su pagine e pagine consumate con voracità!

“METTI UNA SERA A CENA”, incontro con Luigi

Pirandello: 2

Mentre il fumo della sua sigaretta mi appanna la vista, lui, senza mai

togliersela, ma affrancandosela coi denti, muove le labbra e continua il

suo discorso:

P. Veda, io sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta

realtà, perchè son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un

intricato bosco denominato, in forma dialettale, Cavusu dagli abitanti di

Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco

“Kaos".

G. Carino “corruzione dialettale”. Un modo, politically correct, per

sottolineare una specie di degenerazione linguistica!

P. No, guardi, non ci siamo capiti. E’ auspicabile una contaminazione

dialettale nell’uso della lingua, poiché l’Italiano, quello di fine ‘800, inizio

‘900, non rappresenta ancora una lingua nazionale: resta piuttosto una

sorta di varietà alta, riservata agli usi scritti, ed è per questo che la prosa

circolante mi è spesso apparsa artificiosa. Mi sono domandato, nei

momenti di riflessione, dove si trova, dove si parla questa benedetta

lingua italiana? Si parla o si vuole parlare nelle scuole e si trova nei libri?

E che senso ha, mi sono detto, “andarla a cercare”? La lingua acqua è,

che si fonda alle nostre vite nonostante noi. Non dobbiamo andare a

cercare la lingua: idda trova noi!

E così ho sperimentato, per un po’, degli artifici perchè ci trovasse.

G. Artifici? Di che genere?

P. Mah, ho alternato l’uso del dialetto con l’uso dell’Italiano, e sono giunto

a una lingua nuova, a una sorta di “koinè” (voi ragazzi del terzo millennio

direste un mix, contaminati come siete dall’Inglese!), dal lessico

composito, ora raffinato e letterario, ora ricco di elementi dialettali e

gergali, ora specialistico e tecnico; dalla sintassi agile e spumeggiante,

assai vicina al parlato.

G. Eh, la parola: per eccellenza lo strumento di congiungimento ai propri

simili. - aggiunge in dialetto siciliano -

P. Sì! La parola: la “paLora paLLata” che

prevarica sulle forme descrittive e rappresentative, poichè ad essa viene

dato un significato preciso, che consente di uscire dall’isolamento in cui

siamo costretti. Si è chiesto, caro ragazzo, per quale ragione i miei

romanzi (sempre che Lei ne abbia letto qualcuno) sono ricchi di dialoghi?

La sintassi verticale (come l’hanno definita), è quasi bisognosa

dell’integrazione di altri strumenti espressivi, di una complementare 3

espressività dei gesti, dei movimenti, della mimica e dei rapporti spaziali

tra protagonisti!

G. Ma scusi, Professore, per chi mi ha preso? L’avrei invitata a cena, se

non avessi letto alcuno dei suoi romanzi? E la risposta è che io mi sono

appassionato alla sua poetica proprio perchè i drammi dei suoi

personaggi si compiono parlandone!

G. E poi… Mi dia del “tu”, chè non ho l’ambizione di affrontare un dialogo

da pari a pari.

Aggiungo intimidito ma deciso.

P. Già, parlandone, salvo poi tornare a seppellire, questi drammi, nella

coscienza di ognuno, senza trovare soluzione. Ti verso del vino?

G. No, sono in macchina, la legge, oggi, prevede che i giovani con meno

di un anno di patente non possano bere nemmeno un goccio d’alcool.

P. Capisco… E dico sul serio: comprendo il peso di certe scelte di

“legalità”. Del resto, come ho avuto modo di scrivere, è molto più facile

essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto;

galantuomini si deve essere sempre.

G . Sì, l’onestà è un principio importante, e faticoso al tempo stesso.

Sorride.

P. Anche i principi, tuttavia, per aumentare di vigore, hanno necessità di

affievolirsi, periodicamente.

G. Non ho capito.

P. Dico che non esistono immortali principi. Dico, piuttosto, che c’è una

vitale necessità di continua creazione di illusioni, di realtà relative, di

mete sempre fuggenti delle aspirazioni umane…

Non ci possono essere “quadretti” entro i quali relegare le nostre verità,

poiché, per esser forma, non c’è più vita.

G. Mi sento inadeguato e, al tempo stesso, ho una gran voglia di chiederle

una cosa.

P. Non chiedermi piccioli, però!

G. No, no. Non si preoccupi. Era per sfuggire alla fissità dei principi che ha

aderito al Partito Nazionale Fascista? 4

P. Figghiu beddu, è stato un po’ come votare Beppe Grillo!

G. Mi prende in giro?

P. Ma nemmeno per sogno, anche se, ammetto, mi divertono tutti quei

punti interrogativi che immagino dentro la tua testa!

La classe politica che dal 1890 aveva governato il nostro paese ci aveva

portati fin dentro la Prima Guerra Mondiale. E quella guerra ha toccato

nell’intimo ogni persona, con morti, feriti e prigionieri, distruzioni e

miseria nuova, aggiunta alla miseria vecchia…

La mia adesione al Fascismo fu innanzi tutto un atto d’accusa a quella

classe politica. Mi parve poi che il Fascismo si ponesse come l’unica

formazione in grado di rompere con il passato e di risolvere i problemi, e

qualcosa in questa direzione venne pur fatto: pensa all’istituzione della

“cassa mutua” e della pensione di vecchiaia (che poneva la legislazione

sociale italiana all’avanguardia fra le nazioni civili) e successivamente alla

legge di riforma agraria.

G. Ho capito. Eppure la sensazione è quella che, da una parte, lei fu

usato.

P. Intendi dire che il Fascismo aveva bisogno di una figura autorevole che

gli conferisse credenziali, in un momento in cui le quotazioni erano al

ribasso?

G. Esattamente!

P. Mah, può essere. Ma io, ragazzo, in quel periodo avevo il cruccio di un

teatro che avesse un largo consenso europeo e mondiale… E Mussolini

che, a mio parere, aveva saputo affermare un’idea di attivismo, di vitalità

e forza, in un paese in cui nessuno sembrava più averne, aveva molto da

offrirmi, in quel senso. Almeno così avevo creduto: ero caduto nel tranello

della sua maschera da duro!

G. Sì, d’accordo, ma quando poi si accorse che l’essenza morale del

Fascismo era negativa, almeno quanto l’ incapacità della vecchia classe

politica dirigente, perchè non sconfessò la sua adesione?

Sorride e sorseggia il suo Nero D’Avola.

P. Beh, intanto me ne partii e me ne andai a Berlino. Come ogni altro

Italiano, anche Mussolini era disinteressato ai problemi dello spirito e

dell’arte. O forse era più interessato ai suoi vezzi poeticizzati o

poeticizzanti… Belle parole, sempre, e incoraggiamenti costanti, ma

giunti al sodo, non ha mai mosso un dito in mio favore! Io avevo a cuore, 5

l’ho sempre avuta a cuore, l’arte! E l’arte mi è servita per rappresentare

sempre e soltanto quel che mi premeva, non il contingente, ma l'eterno, il

dolore dell'umana condizione, gli inganni del male di vivere. Mai ho voluto

seguire la poetica dell’impersonalità! Ho sempre tentato di intervenire,

nelle mie rappresentazioni, per ricondurre ogni parola, ogni gesto, a

testimone della mia esperienza di vita; ho inteso raccogliere le idee ed i

fermenti spirituali che sentivo in Europa, per dare al pubblico le mie

riflessioni senza pretendere di educare o di cambiare la situazione

collettiva. Forse questo non era chiaro al Sig. Mussolini, forse lui credeva

che con la mia arte avrei potuto manipolare le menti degli uomini e

indirizzarli a credere che non c’era speranza per un futuro migliore,

perché il nostro destino è segnato!

G. E’ un po’ come dire che per cambiare "direzione", imprimendo un

carattere, un sigillo "personale" all'unica ed irripetibile possibilità a noi

concessa, la nostra vita, non si è mai abbastanza forti, o abbastanza

fortunati?

P. Post mortem, però sì!

G. In che senso?

Scoppia in una fragorosa risata.

P. “Solo un cavallo, solo un cocchiere e solo un carro di infima classe, per

il mio funerale!’’.

Non gliel’ho consentito al Signor Mussolini di farmi un funerale Fascista in

Pompa Magna, così che potesse ostentare i miei resti al mondo intero!

Ahahahah! Come si dovette sentire babbiato!

Ognuno finisce poi per vedere le cose a modo suo, certamente, ma per

me quello fu un modo eclatante di sconfessare il Fascismo: me ne andai

sbattendo la porta, caro lei!

G. “Ognuno finisce poi per vedere le cose a modo suo’’…

Gli faccio eco a mezza voce… e continuo:

G. Eh sì, perchè dietro all’illusione che siamo UNICI, con caratteristiche

personali, c’è la consapevolezza che siamo, da una parte, “centomila”,

tanti quante le persone che giudicano, e NESSUNO, perchè se abbiamo

centomila personalità, in realtà, non ne possediamo nessuna.

P. Dietro OGNI realtà, potremmo dire, si nasconde un’apparenza, e le due

cose difficilmente coincidono. Immaginati steso su un prato a fissare le

stelle, percepisci la luminosità persino di quelle estintesi già da milioni di

anni: quale inganno peggiore? 6

Improvvisamente un luccichio nei suoi occhi preannuncia quella che, a

ripensarci, sembrerà una confidenza…

P. Tu lo sai che nel vaso del V secolo a.C, ove le mie ceneri furono

raccolte, prima di essere poi travasate in un cilindro metallico per il

tumulo nel cimitero di Caos, furono trovate anche “ceneri” di non so

quanti altri corpi non identificati?

Insomma, in quell’urna altri signor nessuno – anche se probabilmente non

centomila - hanno riposato con me.

Ride.

G. No, non lo sapevo! Nel mio libro di Narrativa questo aneddoto non è

riportato. Ma certo è curioso!

Torniamo, però, al discorso del vivere, Professore, mi interessa molto

capire come è stato per lei.

P. Assai a lungo mi sono «visto vivere», mi sono esaminato dall'esterno,

come sdoppiato, nel compiere gli atti abituali che la mia «maschera», la

mia «parte», mi imponevano. E queste «forme» le ho avvertite come una

«trappola», come un «carcere».

La vita non si può vivere o leggere dal DI DENTRO, e di conseguenza

dominarla, poichè questo equivarrebbe ad arrestarne il flusso continuo,

cangiante; quel flusso che ognuno inutilmente tenta di controllare

dandogli una forma.

La provvidenziale illusione che ognuno si dà per sentirsi padrone della

propria esistenza è rappresentata dall’apparenza, dalle maschere. Per

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