Sintesi

Empatia e razzismo


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INDICE
Premessa 3
Introduzione 4
1. Le caratteristiche generali 5
1.1 La definizione di empatia e origine del termine
1.2 I cambiamenti di significato della parola nel corso dei secoli
2. L’empatia nella psicanalisi 7
2.1 L’interpretazione fenomenologica
2.2 L’approccio cognitivo e approccio affettivo
3. Le basi biologiche del fenomeno psicologico 10
3.1 I neuroni-specchio
4. L’empatia e il razzismo 14
4.1 L’empatia come rimedio al razzismo
4.2 L’importanza del linguaggio nel rivolgersi all’interlocutore
Conclusione Bibliografia e sitografia
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PREMESSA
La tesina proposta affronta una tematica che mi ha colpito diverso tempo fa, ovvero l’empatia. L’idea nasce da una serie di domande che mi sono posta durante gli ultimi anni della mia vita; di questi quesiti, il più significativo è “Come mi sentirei io se qualcuno mi offendesse con insulti discriminatori?”. Sono convinta che, se ogni volta che una persona parla si immedesima in colui\colei che ascolta e immagina una possibile reazione alle sue parole, molte frasi non verrebbero dette perché ci si potrebbe rendere benissimo conto che spesso ciò che diciamo può ferire il destinatario delle nostre affermazioni. Fondamentale è l’importanza che si dovrebbe dare al linguaggio con cui ci si rivolge ad un’altra persona, anche se oggigiorno sembra che questo aspetto venga preso sempre meno in considerazione dalle persone; dimostrazioni di questa situazione sono le innumerevoli violenze verbali contro esseri umani di diversa religione, “razza” e carnagione e contro persone caratterizzate da disabilità. Senza dubbio una maggiore diffusione dell’empatia potrebbe far sì che vi siano minori discriminazioni tra gli esseri umani e una convinzione più profonda che siamo tutti appartenenti ad un’unica razza, la razza umana.
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INTRODUZIONE
La tematica che verrà affrontata nel corso della mia tesina è quello dell’empatia, ovvero la capacità dell’uomo di immedesimarsi nell’altro. Inizialmente darò una definizione di empatia, confrontando i diversi significati che ha assunto questo termine col passare del tempo. In un secondo momento, verrà analizzata l’interpretazione fenomenologica associata all’empatia da un punto di vista filosofico e psicanalitico; da questo studio si sottolineerà la differenza tra comprensione empatica e comunicazione empatica. Nello studio dell’empatia da un punto di vista della psicanalisi distinguerò i suoi due tipi di approccio, vale a dire quello cognitivo e quello affettivo e come, negli ultimi decenni, questi due aspetti si siano uniti tra loro in un rapporto di coesistenza.
Nella seconda sezione, invece, tratterò il tema da un punto di vista scientifico attraverso l’analisi e la spiegazione di un esperimento sui neuroni-specchio condotto da Giacomo Rizzolatti (insieme a Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese) tra gli anni ’80 e ’90 presso l’Università di Parma.
Nella terza ed ultima parte della tesina affronterò il problema del razzismo (legato anche ai pregiudizi presenti nella società e alla convinzione di essere migliori degli altri), a cui proporrò come soluzione l’empatia. Esporrò la ricerca eseguita da Alessio Avenanti (insieme a Angela Sirigu e Salvatore Maria Aglioti) presso l’Università La Sapienza di Roma e metterò in evidenza la fondamentale importanza del linguaggio che si utilizza quando ci si rivolge a persone verso cui si hanno dei pregiudizi.
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1. Le caratteristiche generali
1.1 La definizione di empatia e origine del termine
Per empatia si intende generalmente la capacità di un individuo di porsi nella situazione di un’altra persona, percependone i sentimenti e i pensieri. Essa viene spesso considerata come uno strumento che permette una superiore comprensione dell’altro grazie al processo di immedesimazione che si attua quando si intraprende un percorso empatico.
Il termine empatia deriva dal greco εμπαθεία (en, dentro e pathos, sentimento, dunque sentire dentro). Inizialmente, questa parola veniva utilizzata per indicare il rapporto sensibile di partecipazione che si instaurava tra il cantore e il suo pubblico fin dai tempi dei Greci ma, con il passare del tempo, questo significato ha subìto delle modifiche.
1.2 I cambiamenti di significato della parola nel corso dei secoli
1.1
Alla fine dell’Ottocento fu Robert Vischer (immagine 1.1) a coniare la parola empatia, chiamandola Einfühlung. Questo termine è nato in un contesto legato alla riflessione estetica, indicando la capacità dell’uomo di afferrare il valore simbolico della natura. Vischer percepiva la natura esterna come qualcosa di interno, che apparteneva all’uomo e al suo corpo; egli aveva
collegato questa sua idea con un’azione pratica, l’osservare un’opera d’arte, e dedusse che il sentimento provato dall’uomo di fronte a quest’ultima fosse proprio l’empatia.
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Oggigiorno consideriamo questa capacità come immedesimazione nell’altro, ma da dove deriva questa concezione?
Il significato che oggi attribuiamo al termine 1.2
empatia lo dobbiamo a Theodor Lipps (immagine
1.2), il quale, alla fine dell’Ottocento, porse al centro della sua filosofia questo tema. Egli affermò, dunque, che l’empatia fosse la predisposizione a sentirsi in armonia con l’altro, captandone i sentimenti, gli stati d’animo e tutte le sensazioni da lui stesso provate.
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2. L’empatia nella psicanalisi
2.1 L’interpretazione fenomenologica
L’indagare sui processi empatici inizia nell’ambito della fenomenologia; infatti, vengono studiati e classificati gli avvenimenti in un tempo e in uno spazio ben determinati. Questa fase serve a superare la convinzione che la comunicazione interpersonale sia basata sulla razionalità, così come l’attitudine di comprendere l’altro.
2.1
Fu Edith Stein (immagine 2.1) ad individuare il principio primo dei processi empatici nelle condizioni esistenziali dell’essere-in-un- mondo-comune, chiamato Mitwelt. Questa filosofa pubblicò le sue teorie nell’opera Zum Problem der Einfühlung, pubblicata nel 1917 e definì l’empatia come “genere di atti, nei quali si coglie l’esperienza vissuta altrui”, dunque è una serie di azioni percettive che hanno come scopo la percezione soggettiva dell’altro.
All’interno del suo libro, Edith Stein distinse l’Einfühlung dal Mitfühlen e dall’Einsfühlen. Per definire il Mitfühlen, Stein fece l’esempio della felicità provata da uno studente dopo aver superato un esame; nel caso del Mitfühlen, l’individuo si immedesima nell’altra persona e gioisce insieme a quest’ultima per il risultato ottenuto all’esame. Se, invece, la persona attuasse un processo empatico, coglierebbe la stessa gioia che lo studente ha in sé e lo trasferirebbe all’interno del suo corpo. Successivamente, Edith Stein diede una definizione di Einfühlen. Quest’ultimo è un atto per cui si arriva alla gioia dell’oggetto comune a due individui e non alla stessa gioia dell’altro; tuttavia, se una persona
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gode per un fatto/oggetto di cui un altro individuo gode, si giunge al fatto che godono insieme senza distinzione di un io e un tu.
Da un punto di vista fenomenologico, nell’empatia si possono individuare due aspetti, la comprensione empatica e la comunicazione empatica. Durante la fase della comprensione empatica, nell’individuo inizia un processo per cui egli pone al centro della sua riflessione i valori sconosciuti della propria persona. Questo passaggio avviene a livello cosciente in quanto il soggetto esprime la volontà di percepire tutto ciò che accade nel proprio interlocutore per poterlo condividere in un secondo momento. Ciò richiede, però, l’abilità di vivere la relazione interpersonale come se si fosse al posto dell’altra persona, conservando comunque la consapevolezza della separazione in modo tale da non farsi coinvolgere dalle emozioni che si desidera condividere. La comunicazione empatica, invece, è una norma comunicativa che delinea la capacità di giudicare la tipologia di interazione che avviene tra gli individui, tenendo conto dei linguaggi verbali e non e del livello di sintonia con l’altro. Questo processo richiede un rispetto delle tempistiche e dei modi di aprirsi dell’interlocutore.
2.2 L’approccio cognitivo e approccio affettivo
Nell’empatia si differenziano due approcci, quello cognitivo e quello affettivo. Nell’approccio cognitivo, l’empatia rappresenta la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro e viene controllata dalla parte superiore del cervello; inoltre, occorre riconoscere le emozioni altrui in modo approfondito per poter riuscire a vivere la situazione dalla prospettiva dell’altro.
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L’approccio affettivo, al contrario, delinea la partecipazione e la condivisione delle sensazioni e delle emozioni vissute dall’altro. Nella psicologia sociale, l’approccio affettivo si riscontra nell’imitare spontaneamente i gesti che si osservano negli altri. Di conseguenza, in questo processo l’individuo prova tutto ciò che prova anche l’altro. In questo caso, l’empatia viene regolata dalla parte inferiore del cervello. Negli anni ’80 si è arrivati a pensare che nell’empatia vi fosse una coesistenza tra l’approccio cognitivo e l’approccio affettivo.
Tuttavia, per empatizzare si intendeva il provare un’esperienza di condivisione emotiva e di comprensione dell’altro. In questo processo veniva, poi, segnalata la presenza di un incontro affettivo, detto affect match, in cui si è certi che i sentimenti e le emozioni che l’individuo prova sono le stesse provate anche dall’interlocutore.
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3. Le basi biologiche del fenomeno psicologico
3.1 I neuroni-specchio
La mente, come ben si sa, è la sede dell’attività intellettiva dell’essere. Al suo interno è presente un meccanismo che determina l’abilità di identificarci in un altro individuo; questo processo è promosso dai neuroni-specchio, ovvero delle cellule del cervello che si mettono in funzione in determinati momenti, o meglio, solo quando compiamo un gesto e\o quando vediamo un’azione compiuta da altri individui.
3.2
La scoperta dei neuroni-specchio si deve a Giacomo Rizzolatti (immagine 3.1), Leonardo Fogassi (immagine 3.2) e Vittorio Gallese (immagine 3.3), i quali, tra gli anni ’80 e ’90 fecero un esperimento presso l’Università di
Leonardo Fogassi
3.1
Giacomo Rizzolatti
Parma.
3.3
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Vittorio Gallese
Il gruppo di ricercatori stava studiando presso l’Università di Parma un’area della corteccia cerebrale chiamata area premotoria1 . Essi avevano messo degli elettrodi nella corteccia cerebrale di un macaco per studiare i movimenti della mano; lo scopo dell’esperimento era quello di capire il comportamento del cervello della scimmia mentre le si porgeva del cibo.
La svolta si ebbe quando uno dei ricercatori, preso da un improvviso languorino, mangiò una delle banane che erano destinate all’animale. I neuroni del macaco, il quale osservava attentamente lo studioso mentre mangiava il frutto, reagirono come se fosse la scimmia stessa a mangiare quel frutto.
Nel 1995 si scoprì che il sistema nervoso dell’uomo era molto simile a quello della scimmia e, di conseguenza, anche la
1Zona del cervello che controlla il comportamento e i muscoli. Inoltre, pianifica i movimenti e li guida nello spazio, comprende le azioni altrui e detta le regole per poter raggiungere gli obiettivi prefissati
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corteccia motoria2 dell’uomo si attiva dopo l’osservazione di azioni compiute da altri, i quali si comportano come se il movimento fosse il proprio.
I neuroni-specchio sono probabilmente i mediatori della comprensione delle azioni altrui e, quindi, dell’apprendimento attraverso l’imitazione. Il cervello è abile ad attivarsi quando percepisce le emozioni altrui e ciò rende ogni individuo capace di agire in base alla cosiddetta partecipazione empatica.
Quello osservato da Rizzolatti e la sua équipe è un fenomeno anche quantitativo, poiché mette in relazione il numero dei neuroni-specchio con l’empatia. Si potrebbe pensare che il rapporto tra neuroni-specchio e capacità empatica sia direttamente proporzionale, ma ciò è stato smentito da alcuni studi fatti sui monaci buddisti. Infatti, questi ultimi trascorrono molto del loro tempo ad allenarsi in esercizi di compassione, durante i quali la connessione tra i differenti neuroni è più stabile. Studiando il comportamento della mente dei monaci durante queste attività di potenziamento, gli scienziati si sono resi conto che questi individui riescono a concentrare i loro esercizi in determinate aree del cervello che risultano essere esposti ad un vero e proprio allenamento.
In conclusione, si può affermare che il pensiero empatico e l’attività dei neuroni-specchio possono essere soggetti ad allenamento.
Il sistema dei neuroni-specchio è anche alla base dei processi di socializzazione. Riconoscersi in un altro individuo significa accettarlo
2Ha la funzione di trasmettere alle cellule dei nuclei dei nervi cranici e alle cellule delle corna anteriori del midollo gli impulsi per i movimenti compiuti dietro comando della nostra volontà
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nella propria vita e ciò consente di creare gruppi omogenei di individui che sono capaci di collaborare tra loro.
Inoltre, il complesso dei neuroni-specchio è un metodo per l’apprendimento globale poiché essi permettono l’apprendimento per imitazione; favoriscono anche la conoscenza di sé in quanto l’uomo non è in grado di costruirsi un’immagine del proprio io da solo.
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4. L’empatia e il razzismo
4.1 L’empatia come rimedio al razzismo
Nel mondo attuale è diventato ormai all’ordine del giorno il tema razzismo. Per razzismo si intende la concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la 'purezza' e il predominio della 'razza superiore’ (così riporta l’Enciclopedia Treccani).
Da sempre si tende a classificare le diverse etnie in base a pregiudizi riguardanti la religione professata, la lingua parlata, il colore della pelle, i tratti somatici, etc... ma tutto ciò viene forse fatto per paura di diventare una minoranza?
E soprattutto, chi è un razzista? Razzista è chi soffre di un complesso di inferiorità o superiorità e disprezza chi è diverso; è colui che si crede migliore rispetto ad un’altra persona che ha differenti caratteristiche dalle sue; è colui che si basa su pregiudizi senza conoscere la realtà che lo circonda; è colui che generalizza partendo da un caso particolare (es. se un arabo ruba, allora tutti gli arabi sono ladri).
Il fatto di essere tutti uguali viene ribadito anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; l’articolo 1 sostiene che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono
dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
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Sicuramente difficile è trovare una soluzione a problemi presenti nella società odierna legati al razzismo, ma esistono comunque metodi per sconfiggere questo comportamento. Uno delle possibili soluzioni e l’empatia.
Recente è uno studio neuroscientifico eseguito da un gruppo di ricercatori, i quali propongono l’empatia come antidoto al razzismo. I pregiudizi razziali sono, dunque, inversamente proporzionali alla capacità di provare empatia.
Nel 2010 viene pubblicata sulla rivista scientifica Current Biology l’articolo riguardante la ricerca condotta da Alessio Avenanti3, Angela Sirigu4 e Salvatore Maria Aglioti5.
I ricercatori hanno sottoposto a quaranta studenti universitari delle immagini in cui delle mani venivano punte da aghi e il colore della pelle delle mani raffigurate cambiava continuamente. Lo scopo dello studio era quello di comprendere le reazioni dei soggetti alla visione di immagini di sofferenza altrui, registrandone le azioni a livello cerebrale corrispondenti e riconoscere eventuali variazioni di queste reazioni in base al colore della pelle delle mani.
Attraverso la tecnica della stimolazione magnetica transcranica, gli studiosi hanno riscontrato il fatto che durante la visione delle immagini dolorose, nella maggior parte dei soggetti si attivavano automaticamente gli stessi circuiti cerebrali collegati alla percezione di quel dolore, come se chi osservava provasse quello specifico dolore sulla propria mano.
3 professore nel Centro Studi e Ricerche in Neuroscienze Cognitive presso l’Università di Bologna 4 professoressa presso l’Istituto di Scienze Cognitive del CNRS di Lione
5 ricercatore presso l’Università la Sapienza di Roma
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Inizialmente, i ricercatori avevano sottoposto i soggetti ad un test studiato per rilevare la presenza di eventuali pregiudizi razziali nel loro inconscio. La risposta automatica delle cellule cerebrali non si manifestava in quegli individui che avevano manifestato di avere pregiudizi razziali nei confronti di diverso etnie.
4.1
Questi ultimi facevano fatica ad immedesimarsi empaticamente nel dolore altrui nei casi in cui il colore della pelle delle mani rappresentate era differente dal loro. Più i pregiudizi erano forti, tanto più i cervelli dei soggetti sembravano essere indifferenti alla sofferenza delle mani punte dagli aghi che avevano colore diverso dal loro (come dimostra l’immagine 4.1).
La minore capacità empatica non può essere giustificata con le mani di colore diverso poiché i ricercatori hanno sottoposto ai soggetti una mano colorata artificialmente di viola e hanno osservato che gli studenti provavano una forte immedesimazione nel dolore derivato dalla puntura dell’ago.
La mano viola rappresentava l’esistenza di una reattività naturale da parte del cervello dei soggetti e degli esseri umani in generale anche verso ciò che più è estraneo; essi sono, dunque, aperti nei confronti del diverso.
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In conclusione, possiamo sostenere che sono i pregiudizi razziali e gli stereotipi riguardanti il colore della pelle ad influenzare la naturale compartecipazione alla sofferenza altrui.
Alla fine della ricerca, il prof. Avenanti ribadisce l’importanza e, soprattutto, la necessità di educare all’empatia, in quanto strumento efficace per il miglioramento della comunicazione tra gli uomini.
4.2 L’importanza del linguaggio nel rivolgersi all’interlocutore
Spesso e volentieri quando ci si rivolge a persone straniere, o che comunque presentano delle differenze somatiche\religiose dalle proprie, si utilizzano termini poco adeguati. Il rispetto dell’altro si basa anche nel linguaggio utilizzato e, qualche volta, viene meno questo valore in quanto non si pensa a quali potrebbero essere le conseguenze che si hanno nell’interlocutore. L’empatia dovrebbe far parte di tutti quei parametri per cui una persona, prima di parlare, dovrebbe pensare.
Un esempio chiaro di questo problema appartiene alla vita quotidiana di ognuno di noi, ovvero la differenza tra di colore, nero e negro.
Queste tre espressioni vengono utilizzate riferendosi a persone con carnagione scura, ma quale delle tre è la più corretta?
Negro: questo è un aggettivo che viene contestato da decine di secoli in quanto identifica\identificava la “razza” africana a cui vengono\venivano conferite determinate caratteristiche. Inoltre, questo termine indicava anche un livello di inferiorità. La svolta si ebbe negli anni ’70 quando, in seguito alle lotte dei “neri americani”, alcune
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persone iniziarono a rifiutare l’impiego della parola negro in favore della parola nero. Successivamente si diffuse l’espressione di colore, ma l’aggettivo negro continuò comunque ad essere utilizzato nell’ambito dell’immigrazione e, negli ultimi decenni, viene interpretato come un’offesa, un’ingiuria contro coloro che presentano una carnagione scura.
Oggigiorno si preferisce utilizzare le espressioni di colore e\o nero. Ma quale delle due dovrebbe essere utilizzata? Una risposta vera e propria non c’è. Di colore non presenta alcuna connotazione negativa apparentemente, ma alcuni studiosi hanno affermato che questo modo di dire è un eufemismo in quanto è nato per sostituire l’aggettivo negro, sottolineando comunque la caratteristica del colore della pelle. Ultimamente si tende ad utilizzare la parola nero, nonostante il fatto che, se utilizzato per identificare un determinato popolo, può essere considerato discriminatorio.
La soluzione che si propone è di utilizzare il meno possibile termini che riprendono il colore della pelle ma, in generale, si consiglia di pensare prima di rivolgersi a qualcuno e cercare di immedesimarsi nell’altro.
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CONCLUSIONE
L’empatia, come si è visto nel corso della tesina, è alla base dei rapporti interpersonali e caratterizza ogni essere umano. Ognuno ha un livello di empatia ben definito e questa peculiarità si ripercuote nella realtà attraverso il fenomeno del razzismo. L’esperimento delle mani colorate dimostra a livello scientifico questo fatto, che viene poi associato anche al linguaggio utilizzato nella comunicazione con persone verso cui si hanno pregiudizi razziali (in modo particolare verso coloro che hanno la pelle di diverso colore dalla propria).
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BIBLIOGRAFIA
Curtis H., Flores G., Schnek A., Sue Bames N., Invito alla biologia.blu PLUS. Il corpo umano con Biology in English, Zanichelli, 2016
Stein E., La fenomenologia dell’Einfühlung, Diogene Edizioni, 2016 (traduzione a cura di N. Salato)
SITOGRAFIA
http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-
linguistica/domande-risposte/nero-negro-colore
https://www.albanianews.it/notizie/opinioni/463-pregiudizio-e- razzismo-frutti-dellignoranza
https://www.cell.com/current-biology/fulltext/S0960-9822(10)00515-4 https://paolomaggi.wordpress.com/empatia-e-neuroni-specchio/
http://scienzalive.it/comprendere-le-emozioni-neuroni-specchio- lempatia/
stateofmind.it
treccani.it (Enciclopedia Treccani Online)
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