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Latino: Giovenale, Marziale, Tacito;
Inglese: Jane Austen, Virginia Woolf;
Storia: il movimento delle suffragette, Sibilla Aleramo;
Arte: E. Munch, Manet, G. Klimt;
Scienze: le grandi donne della scienza;
Attualità: la donna nella televisione italiana.
Claudia Carnuccio
edizioni, questa volta con il sottotitolo di “Bozzetto siciliano”, ciò perché l’intento primo di
Verga per questa novella consisteva nel recupero nostalgico del mondo rurale siciliano, ben
lontano dalla vita frenetica dei primi anni milanesi. I lettori mostrarono di apprezzare
l’opera per la novità del contenuto e per la capacità di soddisfare sia l’interesse sociale sia
la curiosità per le nuove regioni italiane. Il Sud era infatti terra sconosciuta, perlopiù costi-
tuita da diseredati e miserabili. La protagonista di questa novella è appunto Nedda, una
giovane donna raccoglitrice di olive, di cui non si conosce di preciso l’età, ma è di
bell’aspetto così come ce la descrive Verga nei pochi righi:
“Era una ragazza bruna, vestita miseramente, dall'attitudine timida e ruvida che danno la miseria
e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non avessero alterato profondamente non
solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti, ar-
ruffati, appena annodati con dello spago, avea denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avve-
nenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso"
Gli stenti, le fatiche e i cenci che la ricoprono ci inducono a pensare a quello stato di
profonda povertà e miseria in cui viveva, non solo lei, ma anche la madre e per giunta gra-
vemente malata. Della famiglia, morta la madre, non rimane che uno zio di cui Nedda si fi-
da, che la aiuterà nei momenti più tragici della storia, ma nonostante questo soffre lo stato
di povertà e di emarginazione sociale in cui è immersa, attribuendo a se stessa la colpa del-
le sue disgrazie. Nedda è costretta a lavorare ogni giorno per guadagnare quel poco che le
consenta di sopravvivere, ma ciò non placa le chiacchiere del-
la gente, perfino quelle del parroco che, non vedendola arri-
vare alle messe domenicali in chiesa, la rimprovera.
La giovane donna inizia ad avvicinarsi sempre di più al
contadino Janu, un suo compagno nel lavoro di raccolta, con
cui vivrà un amore breve ma intenso. Qualche mese dopo in-
fatti, Janu si ammalerà di febbre malarica, che lo condurrà al-
la morte in pochi giorni. Per Nedda ricomincia un periodo di
solitudine ed emarginazione, ma non può più curarsi dei giu-
dizi della gente perché si scopre incinta e ciò non le consente
di lavorare come prima. La novella si conclude tragicamente
perché la bambina che partorirà è molto gracile, incapace di
sopravvivere agli stenti della fame. La madre saluta la sua pic-
cola creatura per l’ultima volta dopo averla adagiata sul letto
dove aveva dormito sua madre, e..
"..cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura. - Oh, benedetta voi, Vergine Santa! esclamò - che
9
La Donna
mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me!”
La novella porta alla luce l’amara condizione popolare del Sud nel secondo Ottocen-
to e ancora meglio notiamo la condizione della donna negli strati bassi della società, con-
dannata al proprio destino di lavoro e di sofferenza, di cui è certa anche la protagonista per
se stessa, perché:
“così è stato di sua nonna, così di sua madre, così sarà di sua figlia”
Tra le donne che decidono sia meglio rassegnarsi alla propria condizione e fare dun-
que il bene della famiglia e del prossimo, sacrificando se stesse, Verga delinea il personag-
gio di Mena appartenente al celebre romanzo “I Malavoglia” del 1881, prima opera del
“Ciclo dei Vinti”, ossia di tutti quelli che “piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravve-
gnenti”, risultando dunque sconfitti, “vinti”, dal corso degli eventi. “I Malavoglia” sono la
storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza, che conducono una vita relativamente feli-
ce, fin quando per una serie di sventure l’equilibrio familiare si rompe e tutto va alla deriva.
Della famiglia, abbastanza numerosa, Mena è la figlia maggiore di Bastianazzo ed è da sem-
pre innamorata e ricambiata dal compare Alfio Mosca; ma in seguito ad un’annata pessima
per la pesca e al fallimento della nuova attività commerciale del nonno, la famiglia decide
di combinare un matrimonio di convenienza con Brasi Cipolla, il figlio del benestante della
città. Mena è intelligente e volenterosa, sempre pronta a contribuire nei momenti di diffi-
coltà, così nella speranza di arrecare il minor danno possibile alla famiglia, rinuncia al so-
gno di sposare compare Alfio e reprime le lacrime e le proteste, nello stesso modo in cui fa
l’innamorato che decide di lasciare il paese nella speranza di migliorare la propria condizio-
ne economica. L’addio tra i due è ricco di sentimento, sapientemente nascosto sotto la con-
sapevolezza di star facendo il giusto per necessità:
“Sono venuta a salutarvi” disse lei, e ci aveva il pianto nella gola. “Perché ci andate alla Bicocca
se ci è la malaria?” Allora Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore, come quando era andato
a dirle addio. “O bella! Perché ci vado? E voi perché vi maritate con Brasi Cipolla? Si fa quel che si può,
comare Mena. Se avessi potuto fare quel che volevo io, lo sapevate cosa avrei fatto! […] Ma ormai questi
discorsi sono inutili, e bisogna fare quel che si può.”
Alfio tornerà ad Aci Trezza solo 8 anni dopo la sua partenza, profondamente cambia-
10 Claudia Carnuccio
to perché, in seguito a numerosi sacrifici, è finalmente riuscito a migliorare la propria con-
dizione; ne è la prova il mulo grosso e lucente che sostituiva l’asino di una volta. Al suo ri-
torno Alfio troverà Mena ancora nubile perché il matrimonio con Brasi Cipolla era andato a
monte e per ripagare il forte debito, i Toscano dovettero vendere la Casa del Nespolo. La
giovane donna, all’epoca ventiseienne, si occupava tristemente di badare ai suoi piccoli ni-
poti e a tessere e filare come una volta. Per Alfio si ripresenta l’occasione di sposare Mena,
ma nulla è più come prima a causa dei pettegolezzi che circolano in paese sulla sorella Lia,
e che costituiscono un altro ostacolo al loro amore. La mentalità retriva del paese costringe
Mena a rinunciare a quella proposta di matrimonio che da tanto tempo attendeva, in
quanto lei sente che il disonore della sorella minore Lia, divenuta prostituta di città, ricade
anche sulla famiglia. I condizionamenti dovuti ai pregiudizi e alle convenzioni sociali si pre-
sentano anche in Alfio, quando tristemente approva i timori di Mena e a malincuore si ras-
segna.
“Avete ragione, comare Mena!” rispose compare Mosca; “A questo non ci avevo mai pensato. Ma-
ledetta la sorte che ha fatto nascere tanti guai!”
Di donne che sono costrette a rassegnarsi, accettando loro malgrado la condizione di
povertà e sottomissione a cui sono condannate per la mentalità dei tempi, troviamo il per-
sonaggio di Diodata che all’interno del romanzo in cui è inserita, “Mastro Don Gesualdo” di
Giovanni Verga, rappresenta una magnifica nota lirica. Così come venne concepito, “Mastro
Don Gesualdo” fa parte del cosiddetto “ciclo dei vinti”, di cui rappresenta il secondo capito-
lo e ha come protagonista un certo Gesualdo Motta, un uomo tenace e ricco d’energia, che
riesce a migliorare la propria condizione economica e sociale perseguendo ciò che nel lin-
guaggio della critica prende il nome di “religione della roba”. Benchè esteriormente possa
sembrare un personaggio ammirevole, poiché da solo, con la sua intelligenza e intrapren-
denza, Gesualdo è riuscito ad accumulare una fortuna e a plasmare da sé il proprio destino,
in realtà egli appare uno sconfitto, un “vinto” a livello morale. Dalla sua lotta sfrenata per il
possesso della “roba” Gesualdo non ha fatto altro che generare odio, amarezza e dolore in
tutti coloro che lo circondano, a partire dalla moglie, Bianca Trao, un’aristocratica che lo di-
sprezza per le sue umili origini e lo respinge con orrore nello stesso modo in cui agisce sua
figlia Isabella. Solo una donna, Diodata, non scanserà mai il povero protagonista, nonostan-
te le offese che ha dovuto sopportare, sia per amore di quell’uomo che tante volte soleva
chiamarla “Bestia”, che non aveva nessun riguardo per i suoi sentimenti e si limitava a con-
siderarla solo una piccola goccia nel mare dei suoi averi, sia per amore dei figli che ebbe
con lui, non riconosciuti come tali, perché secondo le parole dello stesso Gesualdo:
“Ciascuno viene al mondo colla sua stella..”. 11
La Donna
Diodata, Mena e Nedda, è una donna povera della realtà contadina del Sud Italia che
Verga ci vuole mostrare e fungono da esempio perfetto per farci rendere conto del ruolo
marginale che la figura femminile rivestiva nelle classi più bassi della società e in che modo
ella poteva venire sfruttata, umiliata e offesa.
1.2 “Madame Bovary” di Gustave Flaubert, la vita tra il
sogno e la realtà.
Dalla lettura dell’opera si delinea l’immagine di Emma Rouault.
Tra gli scrittori che si impegnano a tracciare un’immagine rappresentativa della con-
dizione reale della donna nel corso dei secoli, troviamo il francese Gustave Flaubert, autore
del celebre romanzo “Madame Bovary”.
L’opera, terminata nell’ottobre del 1855, ripor-
tava nel sottotitolo la frase: “Costumi di pro-
vincia”, poiché lo scopo dell’autore era in pri-
mo luogo quello di mostrare il disfacimento
della società borghese, scenario della storia
individuale di Emma Bovary, protagonista prin-
cipale. Flaubert accetta di far pubblicare il ro-
manzo in sei episodi sulla rivista “Revue de Pa-
ris”, consapevole che a non molti sarebbe inte-
ressata la storia di una ragazza provinciale; ma
ciò che non si aspettava di certo era una rea-
zione ostile da parte degli abbonati al giornale
che insorgono contro lo scandalo e
l’immoralità del romanzo e lo accusano di ca-
lunniare la Francia e di svilirla agli occhi degli
stranieri. Lo scrittore dovette così affrontare
un processo che, conclusosi positivamente, Il romanzo è stato riadattato molte volte per
non fece rimanere altro che l'amarezza e il di- il grande schermo. Qui una delle locandine.
sgusto di una fama acquisita per vie diverse dal
puro riconoscimento artistico. Nonostante ciò il romanzo riscuote moltissimi favori tra il
pubblico femminile che vede in Emma la rivendicazione della libertà della donna: in un
12 Claudia Carnuccio
mondo che prescrive la sottomissione, lei tenta di sottrarsi alla schiavitù del ruolo.
Emma Rouault è la figlia di un contadino abbastanza agiato della campagna francese.
Fu allevata in convento dove ottenne un’ottima educazione, oltre a coltivare segretamente
una grande passione per la letteratura cavalleresca che la avrebbe accompagnata per tutta
la vita. Ritornata nella fattoria con il padre, conosce per una casualità un medico di base di
nome Charles Bovary, che sposerà subito per sfuggire alla noiosa vita di campagna. Termi-
nata la magia del matrimonio, tutto le appare deludente e si dispera per la monotonia del
quotidiano e perfino di suo marito che, seppur amandola, non riesce a comprendere le sue
aspirazioni. Accade che un giorno Emma viene invitata ad un ballo al castello de La Vau-
byessard e da quel momento acquista la certezza che esiste un'altra vita, fatta di lusso, di
nobiltà, di quelle passioni esaltanti che a lungo aveva letto nei romanzi giovanili. Inizia così
a sognare. Charles nel frattempo vede sua moglie sempre più spaesata e, ritenendo fosse
affetta da qualche patologia nervosa, si decide a trasferirsi a Yonville. La cittadina non ap-
pare diversa dalle altre in cui aveva vissuto la giovane ed è popolata da personaggi curiosi
che rappresentano per diversi caratteri la società borghese. Tra di essi troviamo il farmaci-
sta Monsieur Homais, un uomo egocentrico e pieno di sé, che crede fermamente nella cor-
rente positivistica e nel progresso. La sua stupidità e non curanza lo portano a lasciare
sparsi per il suo negozio anche i più potenti veleni (è proprio nella farmacia Homais che