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Sintesi
Italiano - Oriana Fallaci, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Montale
Dante - La figura purificatrice di Beatrice e della Madonna
Storia - Eva Braun e Claretta Petacci: le donne dei dittatori, tra fedeltà e lussuria; analogie tra le due dittature
Inglese – la donna sottomessa, “paralizzata”: Eveline (Dubliners)
Diritto – La donna come figura politica; le 21 donne dell’Assemblea Costituente; differenze tra Statuto Albertino e Costituzione Italiana
Economia Pubblica – La tutela della donna e del cittadino: lo Stato Sociale
Economia aziendale – la donna come figura imprenditoriale; la legge sull'imprenditoria femminile
Matematica – Marie-Sophie Germain
Informatica – La donna a capo di servizi social
Estratto del documento

Lettera a un bambino mai nato è un libro scritto da Oriana Fallaci nel 1975. Il libro tratta temi quali

l'aborto, la famiglia e l'amore.

Il libro fu scritto per l'allora direttore dell'Europeo Tommaso Giglio, che commissionò alla Fallaci

un'inchiesta sull'aborto. Le diede tempo quattro mesi dandole carta bianca sui contenuti. Anziché

con l'inchiesta, dopo sei mesi la giornalista tornò con un fascio di fogli contenenti il libro.

Il libro è un monologo drammatico fatto da una donna che vive la maternità non come un dovere

ma come un atto responsabile. È una donna contemporanea e misteriosa, priva di nome, volto e

notizie sulla sua età. Le domande fondamentali che la donna si pone sin dal concepimento

riguardano la legittimità e l'accettazione della nascita da parte del bambino in un mondo ostile,

violento e disonesto. Al bambino verrà concesso il diritto di scegliere se nascere o no e attraverso

un processo istituito con la presenza di sette giurati eccellenti, tra i quali i genitori, il medico, la

dottoressa, il datore di lavoro, si arriva alla sentenza che prevede la condanna della donna.

Vincenzo Cardarelli Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18

giugno 1959), pseudonimo di Nazareno Cardarelli, nacque a Corneto

Tarquinia, dove suo padre, Antonio Romagnoli, d'origine marchigiana,

gestiva il buffet della stazione ferroviaria e qui trascorse la sua infanzia

e la sua adolescenza. Figlio illegittimo, ebbe un'infanzia travagliata,

privata sin dall'inizio della presenza materna (Giovanna Caldarelli

abbandonò la famiglia quando Vincenzo era un bambino piccolo).

Compì studi irregolari, prevalentemente da autodidatta. A diciassette

anni fuggì di casa e approdò a Roma dove, per vivere, fece i più

svariati mestieri, fra i quali il correttore di bozze per l’“Avanti!”.

Sull'Avanti!, del quale divenne redattore, ebbe inizio, nel 1909, la sua carriera giornalistica.

Collaborò a Il Marzocco, La Voce, la rivista Lirica, Il Resto del Carlino e, dopo gli anni della 1° Prima

guerra, rientrò a Roma e insieme ad un gruppo di intellettuali fondò la rivista La Ronda attraverso

la quale espresse il suo programma di restaurazione classica.

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Fu direttore della Fiera letteraria, insieme al drammaturgo forlivese Diego Fabbri. Nel 1918 prende

a collaborare a Il Tempo, dove stringe amicizia con Giovanni Papini, che lo presenta all'editore

Vallecchi per il nuovo volume Viaggi nel tempo.

Nell'aprile dello stesso anno nasce La Ronda, rivista improntata al culto del passato e dei classici.

Cardarelli abbandona Il Tempo per occuparsi personalmente della redazione della rivista, che

incarnò il movimento letterario da essa detto rondismo. Nel febbraio del 1920 esce Viaggi nel

tempo. Nel 1925 inizia a collaborare al quotidiano Il Tevere, inizialmente come critico teatrale, in

seguito occupandosi di letteratura. Tra settembre e dicembre pubblica sul medesimo giornale

diverse prose liriche (confluite in seguito nel Sole a picco). Dall'agosto del 1926 scrive di frequente

sul Corriere padano di Ferrara. Nel 1928 si reca in Russia, inviato dal Il Tevere: le corrispondenze

russe troveranno spazio nel quotidiano dal novembre sino all'aprile del 1929. Nel 1930 di ritorno

dalla Russia, scrive su Il Bargello di Firenze.

Nel 1931 escono tre volumi: la ristampa, con alcune variazioni, di “Prologhi. Viaggi. Favole”; i due

testi critici “Parole all'orecchio” e “Parliamo dell'Italia”. Nel gennaio 1934 esce la prima edizione di

sole poesie, “Giorni in piena”. Nel 1939 esce “Il cielo sulla città”. Nel 1942 si dedica alla

sistemazione delle Poesie, in vista di pubblicazione, che avviene nello stesso anno, dando inizio

alla collezione poetica “Lo Specchio”. Il 21 aprile riceve il Premio Poesia 1942; XX, dell'Accademia

d'Italia. La sua fama resta legata alle numerose poesie e prose autobiografiche di costume e di

viaggio, raccolte in Prologhi (1916), Viaggi nel tempo (1920), Favole e memorie (1925), Il sole a

picco (1929), Il cielo sulle città (1939), Lettere non spedite (1946), Villa Tarantola (1948).

Fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita

vagabonda, solitaria e di scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi

e Pascal, che lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza

troppe esaltazioni spirituali. La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di

qualunque tipo, siano paesaggi, animali, persone e stati d'animo, che vengono espressi con un uso

di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.

Vincenzo Cardarelli è morto a Roma il 18 giugno 1959 nell'Ospedale Policlinico, solo e povero;

riposa nel cimitero di Tarquinia di fronte alla Civiltà etrusca secondo la sua volontà espressa nel

proprio testamento. La Civiltà etrusca, frequentemente evocata nelle sue poesie e nelle sue prose

aveva ai suoi occhi il valore di un simbolo morale, oltre che tema autobiografico, in quanto era

stata il faro che lo aveva guidato durante il suo periplo tra le difficoltà della vita.

Poetica

L’esperienza poetica di Cardarelli si pone a cavallo tra l’avanguardia degli anni Dieci e la

restaurazione degli anni Venti. Ad ogni modo l’esperienza avanguardistica si rivede nell’opera

cardarelliana anche successivamente al distacco da essa e al rigetto di ogni trasgressione

espressiva. La collaborazione alla rivista “La Voce” è il punto di maggiore tangenza al clima

avanguardistico, dato che le opere di quegli anni ne rivelano influssi: espressionismo linguistico,

frammentismo, temi come lo sradicamento, il viaggio, l’adolescenza, la perdita di identità.

Parallelamente l'arte cardarelliana risulta segnata da una ricerca costante di compostezza, di tono

colloquiale e di atteggiamento ragionativo e distaccato. Nella poesia di Cardarelli sono

individuabili due tendenze opposte che entrano solitamente in tenzone: una pulsione trasgressiva

e una volontà di autocontrollo. In genere prevale la seconda, che porta l'accentuazione della

compostezza formale senza far venire meno l'elemento di derivazione avanguardistica. Il ritorno

all'ordine che si attesta a partire dagli anni Venti, come per altri scrittori, è la logica conseguenza di

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un'insicurezza psicologica frutto della crisi della funzione sociale dell'intellettuale. In tal senso è da

leggersi il passaggio dall'avanguardismo vociano al clima restaurativo della Ronda, ma anche al

recupero della funzione tradizionale dell'intellettuale. Tale transizione è accettata con entusiasmo

da Cardarelli, che vi legge la possibilità di un rilancio dell'identità del letterato e dell'intellettuale.

Distacco – Da Poesie(1942)

Una bella ed amara poesia dedicata ad una compagna di vita da cui il poeta si è separato: torna qui

il tema del distacco, frequente e caro nell'opera di Cardarelli, così come quel silenzio trasmette il

senso di una malinconia autunnale che accomuna l'io ed i luoghi esterni, che diventano specchio di

un rimpianto e di un senso di solitudine e di abbandono. Come il cuore del poeta è solo dopo la

fine di una more importante, così la terra tutta si fa, per esteso, cimitero di ricordi, luogo deserto e

desolante, senza più neppure l'attesa o la speranza di colmare un vuoto troppo grande. Il tempo

scorre irreversibilmente, fa accadere ciò che prima era impensabile, senza un ritorno indietro della

"navigazione", mentre la vita stessa sembra non promettere più "alcun bene".

Eugenio Montale – Le tre donne di Montale

Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 Settembre

1981) è il sesto figlio di Giuseppina Ricci e di Domenico, che è titolare,

con i cugini, di una piccola ditta commerciale. Frequenta le scuole

tecniche, ottenendo nel 1915 il diploma di ragioniere. Prende intanto

lezioni di canto, che interromperà alcuni anni più tardi, rinunciando a

una carriera per la quale era dotato, ma continuando a nutrire una

profonda passione per la musica. Dopo aver partecipato alla Prima

guerra mondiale con il grado di sottotenente, stringe rapporti di

amicizia con i poeti liguri Angelo Barile, Adriano Grande e Camillo

Sbarbaro, di cui recensisce Trucioli nel 1920. Tra il 1922 e il 1923

frequenta, nella villa di Monterosso (La Spezia) dove trascorreva le

vacanze, la giovane Anna degli Uberti, che canterà nelle poesie con il nome di Annetta-Arletta. Nel

1922 Eugenio Montale esordisce anche come poeta su “Primo tempo”, la rivista fondata da

Giacomo Debenedetti. Sul primo numero della rivista da lui fondata, “Il Baretti” (gennaio 1925),

pubblica il saggio Stile e tradizione, importante non solo come testo programmatico, ma anche per

capire i fondamenti della sua poesia. L’attenzione per le esperienze più vive della letteratura

contemporanea si rivela nell’Omaggio a Italo Svevo (1925), un articolo apparso sull’“Esame” che

segnala per la prima volta in Italia l’importanza dello scrittore triestino, sino ad allora da noi

praticamente ignorato. Il giovane Montale aveva conosciuto i libri di Svevo. Il 1925 registra, nella

biografia di Montale, altri importanti avvenimenti: presso le edizioni di Piero Gobetti esce la prima

raccolta di versi, Ossi di seppia. Nel maggio dello stesso anno Montale firma il manifesto degli

intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. È l’espressione di un netto dissenso, civile e

politico, nei confronti della dittatura, che vedrà Montale condurre un’esistenza schiva e appartata

durante il Fascismo. Ai primi del 1927 si trasferisce a Firenze, per lavorare come redattore nella

casa editrice Bemporad; nel 1929 assume la direzione del Gabinetto letterario Vieusseux (verrà

dispensato dall’incarico nel 1938, perché non iscritto al partito fascista).

Nel 1933 avviene l’incontro con Irma Brandeis, una giovane studiosa americana (la «Clizia» di

alcune note poesie), che penserà poi di raggiungere negli Stati Uniti, senza tuttavia realizzare il

progetto. Nel 1939 appare la sua seconda raccolta poetica, Le occasioni, presso Einaudi.

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Avvia intanto, anche per sopperire alle esigenze economiche, un’intensa attività di traduttore, e

non solo di poesia. Dal 1939 vive con Drusilla Tanzi, che diventerà sua moglie solo nel 1962 e verrà

poi cantata in poesia con il nomignolo di «Mosca». Nel 1943 escono a Lugano, per interessamento

di Gianfranco Contini (uno dei suoi critici più attenti e acuti), le poesie di Finisterre, che

confluiranno poi nella terza r

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