Sintesi
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Il termine “diversità” può essere collegato a molteplici interpretazioni e riferito a molti ambiti e aspetti.
La diversità è una componente intrinseca alla natura dell'uomo, Ognuno è portatore di una propria diversità poiché possiede delle caratteristiche che lo rendono differente dagli altri, unico, irripetibile, speciale e con una propria sfera emotiva e un determinato cammino di crescita. La diversità è un dato ineluttabile della vita, inteso come valore e ricchezza, per lo scambio e la crescita umana, ma anche come difficoltà perché “l'altro” diverso da noi, chiunque esso sia, mette in gioco e in discussione il nostro modo di vedere, di pensare, di agire, creando inevitabilmente un confronto con la nostra vita. E perciò spesso la diversità appare come un pericolo, una minaccia, una barriera che si oppone tra i simili e “gli altri”.
Ho scelto di approfondire il tema della “diversità” cercando di capire e comprendere tutte le sue sfumature, tutte le particolarità. Addentrandomi sempre di più nell’argomento, mi sono resa conto che questa tematica pone diverse problematiche. Nonostante tutto, voglio trasmettere con questa tesina quello che ho studiato, ricercato e approfondito nel tentativo di conoscere, rispettare, accettare, e valorizzare le “diversità”. Diversità perciò come concetto negativo e positivo assieme, a seconda del senso e del valore che ognuno di noi, nelle varie situazioni, da al termine; diversità come necessità inevitabile della nostra vita, come valore e ricchezza per lo scambio e la crescita umana ma anche come difficoltà cui andiamo incontro nel momento in cui per primi ci si sente diversi o esclusi.
La diversità è “differenza”, quindi, le nostre individuali differenze, le quali sono tutto ciò che caratterizzano la nostra unicità e sono ciò che ci permettono di distinguerci e di essere distinti dagli altri, sono necessarie per la formazione dell’identità personale. La nostra specificità è formata da tutte le caratteristiche che la compongono (fisiche, psicologiche, caratteriali, di scelte, di gusti, di preferenze,…). E’ proprio la combinazione di un grande numero di specificità che caratterizza ciascuno di noi e ne fa un essere unico e irripetibile. Ciascuno di noi è diverso da un suo simile, in quanto portatore di differenze personali.
Ho scelto quindi, di trattare questo tema, sottolineando che il termine “diversità” non sempre riconduce a qualcosa di negativo: ho inteso con esso tutto ciò che non è riconducibile a una definizione scontata, che anzi, spesso, significa speciale. Speciale perché ci sono tante persone o cose al mondo che aspettano di poter emergere o di essere scoperte perché, come ha scritto Dryden: "Nella follia c’è un piacere che solo i pazzi conoscono".
LA DIVERSITÀ NEL MONDO
Un buon punto di partenza per approcciare il tema sulla diversità potrebbe essere quello di chiederci che cos'è la diversità, qual è il suo significato, la sua funzione e il suo valore. Per farlo, basta guardarsi intorno, e vedere qual è lo spazio che la diversità occupa nella nostra vita. Vediamo subito che è uno spazio esorbitante, e che noi viviamo immersi nella diversità. Al punto che finiamo per non notarla più.
[…] Consideriamo ad esempio le automobili, e accorgiamoci di quante marche esistono attualmente, di quanti modelli, e per ogni modello quante possibilità di motorizzazioni e di allestimenti diversi. Ma lo stesso discorso vale anche per gli orologi, i mobili, le scarpe, o se vogliamo i vestiti, con tutto l’infinito campo della moda, oppure il numero di film prodotti ogni anno, o il numero di libri e giornali pubblicati. E una visita a uno qualsiasi dei moderni centri commerciali basterebbe a fugare ogni eventuale dubbio in merito.
[…] Ma oltre a questa enorme diversificazione indotta in buona parte dai meccanismi della società dei consumi, e quindi in un certo senso artificiale, vi è poi tutta l’enorme sfera della variabilità fisica e biologica, con i milioni di specie animali e vegetali esistenti, con le migliaia di profumi individuati, con le infinite tonalità cromatiche distinte dai computer, e le innumerevoli variazioni e tonalità sonore presenti nella musica.
[…] Vi è infine la diversità nella sfera culturale, con le centinaia di lingue e dialetti parlati sul nostro pianeta, con le diverse e svariatissime tradizioni di costumi, o artistiche, filosofiche, religiose, ecc…
Insomma, con tutti gli elementi delle varie culture e civiltà che sono attualmente presenti sul pianeta, e anche con quelle che si sono susseguite nel tempo, perché la diversità ha una sua dimensione temporale, oltre che spaziale. Che cos’è infatti la storia se non il susseguirsi di una serie di avvenimenti? E gli avvenimenti non sono forse l’introduzione di un fattore di cambiamento, cioè di diversità, all’interno di un continuum temporale?
[…]Se guardiamo infatti a come la vita si è sviluppata sul nostro pianeta, vediamo che lo ha fatto attraverso un processo di continua e progressiva differenziazione. Ai suoi albori esistevano soltanto distese sconfinate di terre deserte e di oceani vuoti. In questi oceani hanno cominciato a formarsi accidentalmente la prime molecole organiche, le prime proteine, le prime cellule. Poi hanno cominciato a svilupparsi gli organismi unicellulari, i procarioti, che hanno popolato gli oceani e nel corso di miliardi di anni arricchito di ossigeno l’atmosfera così da permettere il passaggio delle forme vitali dall’acqua alla terraferma, e quindi il progressivo sviluppo su quest’ultima di tutte le infinite specie vegetali e animali che ora la abitano, uomo compreso.
E così ora la terra pullula di vita, e pullula di varietà. E’ quindi evidente che, anche se non possiamo identificare tout court la vita con la varietà, possiamo però senz’altro dire che lo sviluppo della vita coincide con lo sviluppo della differenziazione, in maniera direttamente proporzionale.
[…]Questo vale per la vita del pianeta come per la vita del feto, che in nove mesi si sviluppa evolvendosi dall’unicità della cellula uovo all’infinita varietà di cellule che compongono il corpo umano. Non c’è evoluzione senza differenziazione, senza aumento della varietà, o della diversità.
[…]E questo ci riporta a un altro elemento fondamentale che è frutto della diversità, e che merita di essere sottolineato: la bellezza. Una componente della bellezza della Gioconda di Leonardo sta proprio nel fatto di essere unica, vale a dire diversa. Diversa da ogni altro ritratto di donna mai fatto. E questo è vero in fondo per ogni opera d’arte, il fatto cioè di essere irripetibile. Se anche si vuole provare a riprodurla, non si avrà infatti che una misera copia, cioè qualcosa di formalmente perfetto, ma morto, privo di vita.
A questo punto potremmo però chiederci se tutta questa diversità rappresenti un valore o un disvalore. Che cosa stia a significare. Se serve a qualcosa, o ci sia per caso.
Per toglierci ogni dubbio in merito, basta fare un piccolo sforzo di immaginazione, e provare a immaginare per un attimo come sarebbe la vita sulla terra se la diversità non ci fosse. Tutti saremmo ad esempio vestiti sempre con gli stessi abiti dello stesso colore, stesse scarpe e taglio dei capelli, viaggeremmo tutti con lo stesso mezzo, diciamo un’auto, naturalmente dello stesso modello, colore e numero di targa, con gli stessi identici accessori e lo stesso preciso chilometraggio! Avremmo tutti gli stessi occhiali, lo stesso colore degli occhi e dei capelli, lo stesso sguardo, le stesse otturazioni, ecc. Ma soprattutto avremmo tutti lo stesso Q.I., e non solo, la penseremmo anche nello stesso modo, avremmo gli stessi ideali, idee, aspirazioni, gusti, sentimenti e fantasie, ecc.. Chiediamoci come mai un’ipotesi del genere ci fa subito correre un brivido lungo la schiena. Forse perché capiamo, come hanno raccontato tanti scrittori di fantascienza, che in questo modo avremmo un mondo di clonati in un mondo robotizzato.
Vittorio Viglienghi,
formatore dell'istituto internazionale di Psicosintesi educativa


LA DIVERSITÀ NELL’UOMO
La diversità è dunque una ricchezza necessaria. La bellezza del mondo viene dalla sua varietà e anche per l’uomo non è diverso.
Le diversità sono tante:
• diversità fisiche;
• diversità psicologiche, cognitive, affettive, modi diversi di pensare, di comportarsi, ideologie diverse …;
• diversità sociali, legate alla nascita, alle possibilità, all’istruzione, ecc.;
• diversità di cultura: di religione, di lingua, di razza, di etnia, di tradizioni, di costumi, di origine…;
• diversità dovute a disabilità fisiche, mentali, sensoriali o multiple
• diversità fra le generazioni;
• diversità di genere e orientamento sessuale.
La lista potrebbe essere ben più lunga, ma non voglio qui allargare troppo il campo. Compreso il valore delle differenze ho individuato qualche caso per capire meglio da dove viene la diversità, quando viene vista come una ricchezza e quando, invece, una sua interpretazione distorta la trasforma in discriminazione.
















I BAMBINI SUPERDOTATI
Un caso particolare di diversità (spesso trascurato) è quello di bambini che hanno le capacità di realizzare un certo numero di attività o di prestazioni che la maggior parte dei coetanei non riesce a compiere. Il primo atteggiamento sviluppato in campo educativo verso i bambini dotati era quello di creare per essi un'educazione "speciale", in grado di esaltare al massimo le loro capacità cognitive: il risultato era spesso quello di uno sviluppo unilaterale, di un disadattamento precoce nelle altre sfere di vita. Oggi si ritiene che l'importanza sociale di uno sviluppo adeguato dei talenti e delle risorse individuali non debba mai prescindere da un rigoroso rispetto dei diritti del singolo ad una crescita armoniosa e felice. Questi bambini hanno il diritto, esattamente come tutti gli altri, di crescere in modo coerente con le proprie caratteristiche, senza che la loro presenza diventi penalizzante o squilibrante per gli altri o per le istituzioni educative. Spesso però si delinea la figura patetica del “primo della classe”, ossia di un ragazzo gratificato negli studi, ma privo di spontaneità nell’agire comune e soprattutto nelle situazioni di gioco, divertimento e nelle attività sportive. Il riconoscimento intellettuale c’è, ma è pagato a caro prezzo, con un’impressione frustrata di isolamento, destinata a incidere negativamente, più tardi, anche nella vita amorosa.

IL GENIO D’AMERICA SUICIDA A 14 ANNI
Brandenn Bremmer, era un ragazzo di 14 anni con un quoziente d'intelligenza di 178 punti. A due anni leggeva, a tre suonava il pianoforte, a dieci aveva finito il liceo, e aveva appena inciso il suo secondo cd. Si sarebbe dovuto laureare l’anno in cui si è tolto la vita sparandosi con la pistola del padre.
Il suo tormento è sempre stato quello: l'incapacità di appartenere nello stesso tempo a due mondi diversi: quello degli adolescenti e quello degli adulti. Mancanza di normalità, isolamento.
Pur di non sentirsi “diversi dal resto del mondo”, si è disposti a rinunciare alla propria identità. Si diventa ciechi davanti alla ricchezza della diversità e si accetta di omologarsi. È in questo passaggio che la diversità – elemento positivo – rischia di diventare differenza – elemento discriminatorio .
Il ragazzo viveva due vite diverse, genio osannato da una parte dai media e l’ adolescente che vorrebbe essere dall’altra.
La pressione a cui è sottoposto un bambino prodigio è immensa e il ragazzo tende sempre più a sentirsi diverso dal resto del mondo. Sentirsi diversi, anche se in modo positivo credo sia molto difficile da accettare.

Quando le diversità personali vengono smussate, represse possono degenerare in diversità discriminanti. Le differenze in questa fase non sono più viste come un arricchimento ma una barriera. Il “diverso” viene isolato. Nascono stereotipi e pregiudizi Il pregiudizio, inteso come giudizio superficiale non avvallato da fatti, ma da opinioni, è il motore che a volte muove le azioni e i comportamenti di tutti noi, condiziona le nostre relazioni sociali, ostacolando le opportunità di contatto, incontro, esplorazione e scoperta che sono i fondamenti del rapporto con l'altro da sé.
Vengono, spesso, considerati “diversi” e quindi esclusi ed emarginati dalla società gli immigrati, gli omosessuali, i matti, i portatori di handicap, i barboni, i superdotati, i perdenti in genere, e addirittura siamo arrivati al paradosso che si considera diverso in quanto “sfigato” chi non imbroglia, chi non si sballa, chi non veste alla moda, chi non entra nella taglia 40, chi non frequenta il giro giusto.
ERO COME LUI, ORA SONO FELICE CON UNA MODELLA
Fabrizio Zanello è un ragazzo superdotato con un quoziente intellettivo di 178 punti, proprio come quello di Brandenn Bremmer. La loro infanzia, però, è stata molto diversa. “I miei genitori non mi hanno mai chiesto di diventare una celebrità, e io non ho mai pensato che con il mio talento avrei cambiato il mondo”. Per crescere in modo equilibrato, anche i bimbi prodigio hanno bisogno di una guida forte, devono essere costantemente seguiti dagli adulti. A vent'anni di distanza, Fabrizio ricorda con affetto la sua prima maestra, convinta sostenitrice del metodo Montessori: “Imparare giocando. Io che andavo così bene con i numeri, per gli altri bambini ero più o meno come quello che giocava meglio a pallone. Insomma, mi divertivo un mondo e avevo un sacco di amichetti”. Nemmeno al liceo, giura, si è dovuto difendere dalle offese riservate ai secchioni. Anche se partecipava alle finali nazionali delle Olimpiadi di matematica e pubblicava saggi per importanti riviste scientifiche. Inoltre aggiunge: “avere un forte talento, come il mio per la matematica, non è una condizione assolutamente necessaria per vivere bene. Ma averlo e non sfruttarlo al meglio è un delitto. Insomma, bisogna imparare a conviverci”. Ora Fabrizio, dichiara di essere felice, lavora come ricercatore all' Istituto reale di tecnologia di Stoccolma e ha una fidanzata modella.

I bambini superdotati sono ipersensibili, e la loro affettività ha un ruolo importante. Se i genitori e la scuola cercano di favorire e stimolare solo lo sviluppo intellettuale si rischia di trascurare alcuni bisogni fondamentali. Il caso di Fabrizio, dimostra che quando la “diversità” viene compresa, accolta, accettata, valorizzata, e viene predisposto un ambiente sicuro, il ragazzo è in grado di inserirsi, integrarsi, di essere incluso, partecipando in modo attivo e paritario in qualsiasi contesto scolastico, lavorativo, familiare e nella società.
CHE COS’È L’INTELLIGENZA
L’intelligenza umana, non si caratterizza come un fattore coerente e delineato, piuttosto essa si manifesta ed esprime attraverso un insieme numeroso di abilità, comportamenti, pensieri ed emozioni.
La storia ha contato molti tentativi di definire il concetto di intelligenza in modo univoco, standard; tuttavia essi non hanno avuto successo. Il motivo dell’ insuccesso risiede principalmente nel fatto che l’intelligenza non è qualcosa che si possiede o non si possiede, bensì un mosaico di elementi che trovano espressione in tutti i nostri comportamenti e pensieri.
In psicologia, il termine intelligenza è riferito alla capacità di acquisire conoscenze da utilizzare in situazioni nuove, adeguando (o modificando, quando necessario) le strategie individuali alle caratteristiche dei problemi, agli obiettivi perseguiti e ai risultati ottenuti.
L'intelligenza può essere definita come la capacità di apprendimento e di comprensione, che si differenzia da ciò che viene comunemente chiamato intelletto in quanto comprende anche la capacità di affrontare situazioni concrete in modo efficace e di rielaborare le esperienze e gli stimoli esterni.
L'intelligenza viene quindi descritta non come una particolare abilità, ma come una capacità generale dell'individuo di cogliere ed affrontare il mondo; una capacità globale che consente all'individuo di comprendere la realtà e di interagire con essa.
IL Q.I.
Il quoziente intellettivo o QI è un punteggio ottenuto tramite uno dei molti test standardizzati con lo scopo di misurare l'intelligenza. Tali test sono utilizzati per valutare lo sviluppo intellettuale dell'individuo.
Alfred Binet, psicologo francese e inventore del primo test d’intelligenza moderno si focalizzò sullo studio dell’intelligenza per affrontare un problema pratico. Le autorità educative francesi, infatti, lo incaricarono di sviluppare uno strumento in grado di misurare i benefici dell’educazione scolastica, al fine di discriminare i bambini che avevano buone possibilità di affrontare gli studi con i programmi in vigore, da quelli che invece non erano in grado di farlo e che avrebbero dovuto frequentare le classi speciali. La scala Binet-Simon, prevedeva compiti appartenenti ad ambiti diversi (memoria, comprensione di parole, frasi e immagini). Infatti, secondo Binet l’intelligenza non era un costrutto unitario, ma multiplo, cioè costituito da varie abilità. Binet introdusse il concetto di età mentale. Infatti, aveva osservato che vi è un normale incremento delle capacità mentali associato all’età.
I TEST D’INTELLIGENZA
I test di intelligenza sono degli strumenti, costituiti da domande e compiti, usati per misurare le capacità mentali.
Il test di Binet è stato modificato e migliorato con il passare degli anni e attualmente esistono vari tipi di QI, elaborati da ricercatori diversi, con valori di riferimento diversi. Alcuni corrispondono all’età mentale dell’individuo, altri al suo stato sociale. Per il calcolo del QI si viene sottoposti ad una serie di domande di linguaggio, di logica e di memoria, a scelta multipla, cronometrando il tempo. L’indice viene ottenuto dividendo l’età mentale, ottenuta attraverso il test, con l’età reale del soggetto in esame. Il risultato di questo rapporto viene poi moltiplicato per 100 e depurato da eventuali decimali.
QI = (età mentale : età cronologica) x 100
Il QI è compreso tra 0 e 200. In Italia, la media si attua attorno a 100. Il limite inferiore della “normalità” si situa a 80 mentre i superdotati hanno un QI superiore a 140. Tenendo in considerazione che il test è statico e uguale per tutti, gli psicologi e gli esperti stimano che l’affidabilità del test sia intorno al 70% e inoltre questi test non tengono in considerazione immaginazione e creatività.
FATTORI INNATI O FATTORI SOCIO- CULTURALI?
Da decenni, gli studiosi cercano di comprendere se l’intelligenza sia influenzata da fattori genetici o da fattori socio-culturali.
Studi recenti dimostrano che fattori biologici e ambientali influenzano lo sviluppo cognitivo. È dimostrato che la presenza di patologie psichiatriche, come la depressione, influisca sulla performance al test d'intelligenza: più è severa la patologia più la performance al test è deficitaria. Il che non significa che chi soffre di depressione è meno intelligente di un soggetto non affetto, ma ci suggerisce che, durante l'episodio depressivo, le performance ai test d'intelligenza sono altamente inficiate. Si è ipotizzata, anche, l’ ereditarietà di alcune capacità che incidono sulle componenti dell’intelletto. Si evidenzia inoltre una fortissima incidenza dei fattori ambientali sullo sviluppo delle capacità cognitive. Alcuni studi, infatti, mostrano che, soggetti appartenenti a gruppi sociali socialmente svantaggiati o a particolari gruppi etnici o subculture mostrano risultati, in termini di QI, molto inferiori a quelli di appartenenti a gruppi socialmente privilegiati. Quindi, i fattori socio-demografici, i fattori affettivi, l’educazione, il contesto familiare, le condizioni socio-economiche, possono incidere notevolmente sulle capacità cognitive.
La psicologia risolve la dialettica tra componenti innate e ambientali nello sviluppo dell'intelligenza evidenziando come la componente genetica sembra rappresentare una disponibilità, mentre la componente educativa rappresenta un fattore di innesco per tradurre un potenziale in una funzionalità effettiva.
LE INTELLIGENZE MULTIPLE
Lo psicologo Howard Gardner, con la pubblicazione del suo libro Formae mentis, introdusse al mondo scientifico ed accademico la teoria delle intelligenze multiple, secondo la quale non esiste una facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre. Con la sua opera Gardner non mise in discussione soltanto la vecchia teoria di intelligenza, bensì anche i test standardizzati che sulla stessa si fondavano.
Scrivendo questo libro, mi proposi di minare la nozione comune di intelligenza come capacità o potenziale generale che ogni essere umano possiederebbe in misura più o meno grande. Nello stesso tempo intendevo mettere in discussione l’assunto che l’intelligenza, comunque venga definita, possa essere misurata da strumenti verbali standardizzati, come test con carta e matita e fondati su risposte brevi e batterie di domande.
Gardner ha identificato nove tipologie differenziate di "intelligenza", ognuna deputata a differenti settori dell'attività umana:
Intelligenza logica-matematica: sono tutte quelle abilità implicate nel confronto e nella valutazione d’oggetti concreti o astratti e nell’individuare relazioni e principi;
Intelligenza linguistica: è l’abilità che si esprime nell’uso del linguaggio e delle parole, nella padronanza dei termini linguistici e della capacità di adattarli nella natura del compito;
Intelligenza spaziale: è la capacità di percepire e rappresentare gli oggetti visivi manipolandoli idealmente, anche in loro assenza;
Intelligenza musicale: è l’abilità che si rivela nella composizione e nell’analisi di brani musicali e nella capacità di discriminare con precisione l’altezza dei suoni, i timbri e i ritmi;
Intelligenza cinestetica: è l’abilità che si rivela nel controllo e nel coordinamento dei movimenti del corpo e della manipolazione degli oggetti per fini funzionali o espressivi;
Intelligenza interpersonale: è l’abilità di comprendere le proprie emozioni, le motivazioni e gli stati d’animo degli altri;
Intelligenza intrapersonale: è l’abilità di comprendere le emozioni e di incanalarle in forme socialmente accettabili;
Intelligenza naturalistica: è la capacità di riconoscere e classificare gli oggetti naturali;
Intelligenza esistenziale: è la capacità di riflettere sulle questioni fondamentali concernenti l’esistenza e l’attitudine al ragionamento astratto per categorie concettuali universali.


Ancora oggi, la scuola mantiene in piedi un modello anacronistico di pedagogia, incentrato sullo sviluppo e la valorizzazione esclusiva dell’intelligenza logico-matematica e linguistica, con il risultato di avere due effetti negativi, uno sul piano educativo, consistente nell’esaltare e motivare gli alunni più dotati sul piano logico-matematico e linguistico, demotivando però la parte restante degli studenti, l’altro sul piano sociale, poiché mantiene le distanze con la realtà circostante.
LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA
La profezia che si autoavvera è uno dei fenomeni più noti della psicologia sociale: è quell’insieme di meccanismi mentali che fanno in modo che le aspettative si avverino. Ciò può avvenire sia attraverso la selezione di informazioni che confermino le idee, sia perché l’atteggiamento incide sulla situazione.
Un famoso esperimento sulla profezia che si autoavvera è quello di Robert Rosenthal, anche noto come “effetto Pigmalione” il cui assunto di base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato. L'équipe guidata dal ricercatore americano Robert Rosenthal ideò un esperimento nell'ambito della psicologia sociale, sottoponendo un gruppo di alunni di una scuola elementare californiana ad un test di intelligenza. Successivamente selezionò, in modo casuale e senza rispettare l'esito e la graduatoria del test, un numero ristretto di bambini e informò gli insegnanti che si trattava di alunni molto intelligenti. Rosenthal, dopo un anno, ripassò nella scuola, e verificò che i suoi selezionati, seppur scelti casualmente, avevano confermato in pieno le previsioni migliorando notevolmente il proprio rendimento scolastico fino a divenire i migliori della classe. Questo effetto, in questo caso benefico, si avverò grazie all'influenza positiva degli insegnanti che riuscirono a stimolare negli alunni segnalati da Rosenthal una viva passione e un forte interesse per gli studi. "L'effetto Pigmalione" può manifestarsi non solamente nell'ambito scolastico, ma anche in altri contesti, come in quello lavorativo nel rapporto fra capi e dipendenti oppure in quello familiare nelle relazioni fra genitori e figli e in tutti quei contesti dove si sviluppino rapporti sociali. Quindi le aspettative possono condizionare la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti.

LO SVILUPPO UMANO
Lo psicologo e psicoanalista tedesco Erik Erikson sostiene che vi siano otto fasi del ciclo vitale delle persone. Ogni fase comporta una particolare “qualità dell’ Io”, a cui corrispondono dei problemi specifici che l’individuo affronta per sviluppare la propria identità personale. L’identità personale è la consapevolezza della propria continuità nel tempo e fa da sintesi delle diverse parti della personalità.
Secondo Erikson, le tappe della vita sono momenti di costruzione del senso d’identità: lo scopo dell’uomo è definire se stesso.
La teoria di Erikson del ciclo di vita considera l’intero ciclo di vita come età evolutiva, poiché tutta al vita è scandita da problemi e conflitti fra opposte esigenze che costituiscono delle crisi o punti di svolta e a ciascuno di essi le persone debbono affrontare uno specifico compito evolutivo. Se riescono ottengono un arricchimento personale e una solida base per i successivi compiti evolutivi e danno un contributo positivo all’umana convivenza, se falliscono ottengono sofferenza e difficoltà nell’affrontare i successivi compiti evolutivi.
Quindi, come afferma Erikson “lo sviluppo della personalità coincide con la vita”.
Sono le diverse esperienze di vita a formare la nostra identità e la somma di identità diverse arricchisce l’umanità intera.
La psicologia dell’arco di vita proposta dello psicologo Paul B. Baltes, consiste in una prospettiva ancora più complessa e interdisciplinare che legge lo sviluppo di una persona nell’arco della vita come il risultato del sovrapporsi di tre dimensioni: la storia individuale (eventi biologici e ambientali della vita dell’individuo); il ciclo di vita (che comprende le tappe fondamentali dell’esistenza); il contesto storico (gli eventi storici rilevanti che influenzano la vita delle generazioni).
“IL FU MATTIA PASCAL” DI PIRANDELLO
Nel romanzo “ Il fu Mattia Pascal” , Luigi Pirandello affronta il tema della perdita di identità.
Mattia Pascal, un piccolo borghese imprigionato nella “trappola” di una famiglia insopportabile e di una misera condizione sociale, che per un caso fortuito si trova improvvisamente libero e padrone di sé: diviene economicamente autosufficiente grazie ad una cospicua vincita a Montecarlo e apprende di essere ufficialmente morto, in quanto la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un annegato. Creduto da tutti morto, decide di assumere un’altra identità, quella di Adriano Meis ma alla fine si accorge che non può espletare nessuna funzione e nessun ruolo sociale a causa del fatto che la sua è solo un’identità fittizia. Decide pertanto di rientrare nella sua vecchia identità, tornando in famiglia, ma scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto una figlia da un altro. Non gli resta dunque che adattarsi alla sua condizione sospesa di “forestiere della vita”, che contempla gli altri dall’esterno, consapevole di non essere più nessuno.
Pirandello, nella sua opera letteraria, vuole sottolineare attraverso la vicenda di un singolo individuo una condizione che riguarda tutti. Non si può tentare di sfuggire alla nostra identità, contro la propria sorte e nemmeno crearsela con le proprie mani come fa Mattia Pascal diventando Adriano Meis. Siamo tutti delle marionette con una maschera, pronti ad adattarci alle varietà di situazioni che ci coinvolgono. La persona che noi rappresentiamo, non è solo una maschera che ci inchioda in un'esistenza che sentiamo inautentica, ingabbiandola, a volte, in un inferno senza vie d'uscita. È paradossalmente proprio questa maschera che indossiamo nella vita sociale, l'unica che ci permette di manifestare, pur con le dovute e dolorose limitazioni, la nostra personalità e di dare una forma alla nostra esistenza. Le convenzioni sociali, storicamente determinate, sono le coordinate che delimitano la nostra esperienza vitale, pur creando un tragico dissidio tra uomo e società, tra essere e apparire.
L’ IDENTITÀ DI GRUPPO
Non esiste però solo l’identità personale, c’è anche l’identità di gruppo. Ben sappiamo che l’appartenenza ad un ambiente protetto è una condizione essenziale per ogni individuo, nella famiglia nei primi anni di vita, poi in nuovi gruppi che si partecipa a creare.
La psicologia del ciclo e dell’arco di vita indicano fra i bisogni essenziali dell’adolescente l’appartenenza a un gruppo, passaggio fondamentale dall’infanzia alla vita sociale. Il gruppo dei pari diventa un elemento di appartenenza in cui ci si riconosce e si rafforza la propria identità. Il gruppo dei pari è “punto di riferimento assoluto”, la “risoluzione dei problemi”. La funzione del gruppo è quella di permettere una nuova organizzazione del sé attraverso la coesione e la forza del gruppo e l’opposizione nei confronti delle regole imposte dagli adulti. Ma “la pressione del gruppo dei pari, dei mass media, la rappresentazione indotta del sociale possono portare al disimpegno morale e al conformismo”. Fare parte di un gruppo rafforza la propria autostima, ci si sente più forti perché non soli, il gruppo conferisce un’identità e senso di appartenenza ai suoi membri. Accanto ai vantaggi dell’appartenere ad un gruppo, si possono intravedere degli aspetti negativi: protetti dal gruppo ci si sente forti e si possono commettere azioni sconsiderate, dettate da sensazioni di onnipotenza, o si possono assumere comportamenti contrari ai propri principi per la paura di contraddire il gruppo e rimanere soli.
LA TEORIA DEI BISOGNI DI MASLOW
Appartenere a un gruppo serve a sentirsi protetti, a vincere le paure. Quando si è soli si è in pericolo. Il bisogno di sentirci sicuri è uno dei punti fondamentali per un essere umano, e già Abraham Maslow, aveva elaborato una teoria dei bisogni, negli anni settanta, in cui poneva alla base delle necessità umane il senso di sicurezza e protezione. In psicologia il bisogno è la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della persona.
La scala dei bisogni di Maslow è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più necessari per la sopravvivenza dell’individuo, ai più complessi di carattere sociale. L'individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. Questa scala è internazionalmente conosciuta come "La piramide di Maslow":
1. Bisogni fisiologici (respiro, alimentazione, sesso, sonno, omeostasi...)
2. Bisogni di, sicurezza e protezione (fisica, di occupazione, morale, familiare, di salute, di proprietà..)
3. Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione,amicizia, intimità sessuale)
4. Bisogni di stima (autostima, autocontrollo, realizzazione, rispetto reciproco…)
5. Bisogni di autorealizzazione (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale, moralità, spontaneità, accettazione assenza di pregiudizi..).
Secondo Maslow, i desideri di una persona passano dal desiderio di ordine inferiore, come la sensazione di sicurezza, ai desideri di ordine superiore, come il sentirsi amati o il senso di appartenenza.
Ciò che è diverso, colui che esce dalla norma, rappresenta un’incognita, è sconosciuto e, quindi, potenzialmente pericoloso. Il nostro bisogno di sicurezza ci spinge a diffidare e ci porta anche a temere ciò che non conosciamo e comprendiamo. Per parlare di “diverso” dovremmo almeno partire da ciò che invece non lo è, ciò che viene generalmente definito “normale”: innanzi tutto dovremmo renderci conto che essere normali vuol dire semplicemente stare nella norma, ovvero aderire al comportamento più comune, non certo, per questo, naturale, “giusto” o lecito. Se ad esempio vivessimo in una società in cui vige la pena di morte, tale condanna sarebbe “normale”, e diverso sarebbe considerato chi invece ne vorrebbe l’abolizione. Spesso invece finiamo per fraintendere ciò che è normale come qualcosa di corretto, giusto, “naturale”, relazionandoci con le persone e le situazioni che si discostano da questa normalità in modo diffidente e a volte anche aggressivo.
IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLE ABILITÀ DIFFERENTI
Il Festival Internazionale delle Abilità Differenti è una manifestazione che dal 1999 viene organizzata dalla Cooperativa Sociale Nazareno. Lo scopo principale del Festival è puntare i riflettori sulla valorizzazione della persona, partendo dall’assunto che, ciascuno al di là del limite, possa sempre puntare all’eccellenza. L’arte costituisce nel contempo il mezzo e il fine, il perseguimento e il raggiungimento di questa eccellenza. L’anno scorso hanno scritto: “Siamo tutti differenti ed abbiamo bisogno di queste interferenze che rompano la consuetudine e riaccendano nel cuore la speranza”.
Ancora una volta la speranza si è riaccesa e questo è accaduto negli incontri inaspettati con alcune persone. Attraverso l’arte si può tendere a qualcosa di grande, al pieno raggiungimento della propria realizzazione. La valorizzazione delle risorse umane, tende ad indirizzare positivamente le competenze, la professionalità, le risorse culturali, il senso di appartenenza, il ruolo e le responsabilità di ogni singolo nella società. Infatti, è importante cogliere le risorse, i punti di forza, le potenzialità, le capacità, le competenze, anche quelle più nascoste che appartengono a ciascun individuo, cercando di “tirarle fuori”, farle emergere, invece di soffermarsi sempre sui limiti. Valorizzazione equivale a coinvolgimento delle risorse umane tese verso una comune condivisione e responsabilità, il soggetto agisce solo quando si trova coinvolto in un progetto coerente ed effettivamente esistente. Inoltre, valorizzare le risorse umane significa gestire gli aspetti normativi ed etici riguardanti comportamenti e relazioni che suscitano senso di appartenenza, questi ultimi, nascono dall’elaborazione comune di norme, valori etici e sociali posti alla base della convivenza fra persone.


Le scienze psicologiche e sociali, hanno messo in evidenza che l’individuo detiene in sé dei bisogni fondamentali:
1) Il soggetto desidera un percorso di crescita che lo conduca a migliorar progressivamente da un punto di vista professionale, personale e sociale.
2) Il soggetto lavora meglio quando si percepisce come persona competente e che possiede realmente le competenze richieste (chi possiede un alto tasso di autostima, ha un buon successo nelle attività che porta avanti), inoltre, valorizzare una persona è importante perché le vengono forniti gli strumenti utili per svolgere bene il suo lavoro e per rafforzare l’autostima.
3) Il soggetto desidera operare in modo autonomo e non ama farsi guidare: ci si sente più gratificati quando vi è una libera esposizione del proprio lavoro che se così condotto, non risulta né vincolante, né dipendente da altri soggetti.
4) Il soggetto desidera assumere compiti e responsabilità quando l’organizzazione nasce da una decisione negoziata o partecipata. Il disinteresse a volte, può essere visto come meccanismo di difesa che si innesta nel momento in cui un superiore, ad esempio, detta ai subordinati delle norme ben precise in modo arrogante e autoritario.
5) Il soggetto è motivato al lavoro quando percepisce di contribuire effettivamente alla risoluzione di problemi concreti.
6) Il soggetto ha più probabilità di ottenere successo se ha una percezione positiva di sé e del lavoro che sta svolgendo e si prefigura un futuro positivo (avere aspettative ottimistiche).
I BES
I principi che sono alla base del nostro modello di integrazione hanno contribuito a fare del sistema di istruzione italiano un luogo di conoscenza, sviluppo e socializzazione per tutti, sottolineandone gli aspetti inclusivi piuttosto che quelli selettivi.
Il 27 dicembre 2012 è stata emanata dal Ministro l’unita Direttiva recante Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, che delinea e precisa la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà.
Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta. L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni. Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene sempre più evidente.
L’area dello svantaggio scolastico, che ricomprende problematiche diverse, viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali. Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale.
In questa nuova e più ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico- educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita (di cui moltissimi alunni con BES, privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didattico strumentale.
CONCLUSIONE
Con questa tesina, ho voluto soffermarmi e approfondire il concetto “diversità” nel mondo, ma soprattutto nell’essere umano, sottolineando tale termine come l’insieme delle nostre individuali differenze, le quali sono tutto ciò che caratterizzano la nostra unicità, sono ciò che ci permettono di distinguerci e di essere distinti dagli altri, e sono necessarie per la formazione dell’identità personale. Nell’affrontare questo argomento così vasto e ricco di significati ho compreso che la diversità assume un valore positivo quando è considerata come condizione indispensabile per la dialettica feconda tra una tesi e un’antitesi capaci di produrre una sintesi superiore; quando allude alla varietà, all’originalità, alla distinzione, all’eccellenza, all’unicità; quando postula tolleranza, inclusività, accoglienza, polifonia. Assume invece un valore negativo quando rinvia allo snobismo, alla stravaganza, all’inferiorità, alla pecora nera, all’indisciplinato, diversità ricambiate con l’esclusione, il rifiuto, l’intolleranza, il razzismo, la punizione, l’isolamento. In base alla storia vissuta da ogni singolo individuo, al ciclo di vita e al contesto storico culturale, le medesime diversità vengono apprezzate, coltivate, gratificate, oppure temute, evitate, emarginate e punite. Se si riuscisse a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore", una "risorsa", un "diritto", l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. E l'educazione diventerebbe scoperta e affermazione della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione delle differenze. La nostra ricchezza collettiva, è data dalla nostra diversità. L'altro, come individuo o come gruppo, è prezioso nella misura in cui è dissimile. Oggi più che mai la scuola dovrebbe educare gli studenti a considerare il diverso non come un "pericolo" per la propria sicurezza, ma come "risorsa" per la crescita. Sarebbe necessario porre come elementi centrali della relazione educativa l'ascolto, il dialogo, la ricerca comune e l'utilizzo di metodologie attive e di tecniche d'animazione in grado di sviluppare le capacità critiche di porsi delle domande, di imparare a mettersi nei panni altrui, di attivare delle reti di discussione, di uscire dagli schemi, di essere creativi e divergenti. Durante l’approfondimento di questo argomento mi sono sentita una piccola goccia in un grande oceano, quale la “diversità”. Quello che ho imparato e compreso in questo percorso è che al di là di ogni cosa, vi è la valorizzazione della persona, che favorisce la crescita, lo sviluppo dell’identità e della personalità in un ambiente sicuro e positivo. Partendo dalla scuola, ogni insegnante dovrebbe porsi nell’ottica di un’ insegnamento differenziato, non perché esistono bambini facili o difficili, ma perché sono diversi.
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