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Sintesi

Introduzione tesina sulle disuguaglianze sociali



La tesina di maturità per le scuole superiori descrive il tema delle disuguaglianze sociali, con collegamenti alle varie materie scolastiche: in storia la Seconda Rivoluzione industriale, in filosofia Karl Marx, in scienze sociali stratificazione e disuguaglianza sociale, in italiano il verismo e Giovanni Verga, in diritto il suffragio universale e l'articolo 48, in inglese the Victorian Age and Charles Dickens.



Collegamenti


Tesina sulle disuguaglianze sociali



Storia: La Seconda Rivoluzione Industriale

Filosofia: Karl Marx

Scienze Sociali: Stratificazione e Disuguaglianza Sociale

Italiano: Il Verismo e Giovanni Verga

Diritto: Il Suffragio Universale e l’Art.48

Inglese: The Victorian Age and Charles Dickens
Estratto del documento

Storia: La Seconda Rivoluzione Industriale

Lo sviluppo dell’industria, iniziato nella II metà del

Settecento (Prima rivoluzione industriale), continuò per tutto

l’Ottocento e proseguì, poi nel Novecento. Tuttavia, nella

seconda metà del XIX secolo l’industrializzazione prese

caratteristiche diverse e più complesse rispetto a quelle del

secolo precedente. Gli storici chiamano questa nuova fase

seconda industrializzazione o seconda rivoluzione industriale.

La seconda industrializzazione si caratterizzò e si differenziò

dalla prima per vari aspetti. Innanzitutto, l’industria si

diffondeva in quasi tutto il continente europeo e anche in

paesi periferici come la Russia e il Giappone; le scoperte, le

invenzioni resero più agevole l’industrializzazione a paesi

come l’Italia o il Giappone, sprovvisti di risorse minerarie,

ma ricchi di cultura tecnica, di capacità professionali, di

desiderio di emergere. In particolare, in questo periodo

l’energia elettrica sostituì il vapore come

forza motrice; di conseguenza si affermò

l’industria produttrice di energia elettrica.

Nacque il motore a scoppio, si perfezionò,

con nuovi tipi di altiforni, la produzione

dell’acciaio. Sorsero le aziende

elettromeccaniche e chimiche. La seconda rivoluzione

industriale si caratterizza per la tendenza alla crescita

delle dimensioni delle aziende e della loro incidenza sul

mercato. L’affermazione e la concentrazione di queste grandi

imprese provocarono l’introduzione di nuove forme quali il

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cartello, il trust, holding. Un altro aspetto che caratterizza la

seconda industrializzazione è il progressivo prevalere del

capitalismo finanziario rispetto a quello industriale, con

l’intrecciarsi d’interessi tra le banche e le industrie. I decenni

della seconda rivoluzione industriale furono segnati da un

intenso sviluppo delle comunicazioni. La seconda rivoluzione

industriale trasforma anche la società di fine Ottocento, ci si

avvia verso la società di massa, nasce una nuova classe sociale,

gli operai di fabbrica che si oppongono alla borghesia, che

rimane la classe dominante anche in questo periodo. Dal

1873 l’economia mondiale entrò in un periodo di

difficoltà che contemporanei e alcuni storici hanno chiamato

“La grande depressione”. Riguardò sia il settore agricolo sia

quello industriale ed ebbe all’origine un eccesso di offerta

(sovrapproduzione) rispetto alla domanda, con conseguente

ribasso dei prezzi. L’eccesso di offerta e di capitali disponibili

rispetto alla domanda determinarono una flessione dei

margini di profitto e con questa un rallentamento

dell’economia. Nuovi settori, nuovi beni, nuove risorse

energetiche trasformarono l’economia industriale,

trainandola progressivamente fuori dalla crisi. Ma nello

stesso periodo una trasformazione di grande portata investì

le strutture stesse del capitalismo. Si tratta del passaggio dal

capitalismo concorrenziale al capitalismo monopolistico, o

oligopolistico; da una situazione in cui il mercato è popolato

da una molteplicità d’imprese piccole-medie, di dimensioni

analoghe, in concorrenza fra loro, a una in cui il mercato è

dominato da pochi grandi gruppi industriali. Nella crisi, i

produttori più deboli, meno dotati di risorse finanziarie e

imprenditoriali, dovettero chiudere o venire assorbiti dai più

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forti. Nello stesso tempo, la concorrenza internazionale si

faceva sempre più forte, spingendo le imprese più forti ad

accorparsi o accordarsi per controllare il mercato. Infine, i

nuovi settori che si aprivano erano tutti ad alta intensità di

capitale, richiedevano cioè enormi investimenti per essere

avviati. Tutti questi fattori determinarono una forte

concentrazione industriale e finanziaria: sempre più il

mercato fu dominato da “giganti” industriali in grado di

esercitare anche un forte condizionamento sul potere

politico. Per venire incontro ai desideri di una larga massa

di consumatori nel mondo, c’era bisogno di prodotti

standardizzati, con caratteristiche sempre identiche,

facilmente riconoscibili ovunque. Dopo il 1896, i prezzi, che

erano stati sempre calanti dal 1873, crebbero costantemente,

crebbe anche il livello medio dei salari e il reddito pro-capite

dei paesi industrializzati. La crescita dei redditi determinò a

sua volta l’allargamento del mercato: le industrie produttrici

di beni di consumo e di servizi si trovarono per la prima

volta a dover soddisfare una domanda che sempre più

assumeva dimensioni di massa. Beni la cui produzione era

stata fin allora assicurata solo dal piccolo artigianato o

dall’industria domestica cominciarono a essere prodotti in

serie e venduti attraverso una rete commerciale sempre più

estesa e ramificata: cominciò allora la produzione di massa.

Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive in

grandi e medi agglomerati urbani, gli uomini

sono quindi a più stretto contato gli uni

con gli altri ed entrano in rapporto fra loro

con maggiore facilità e frequenza grazie

anche alla disponibilità di mezzi di trasporto,

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di comunicazione e d’informazione. Il sistema delle relazioni

sociali non passa più attraverso le piccole comunità locali ma

fa capo alle grandi istituzioni nazionali: agli apparati statali ai

partiti e in genere alle organizzazioni di massa.

L’industrializzazione portò con sé profondi mutamenti

anche nella composizione e nell’organizzazione della società.

Al binomio proprietari-contadini, che caratterizzava la

società agricola feudale e l’Antico Regime, si sostituì il

binomio borghesia-proletariato. Furono queste ultime le due

classi sociali che assunsero

progressivamente il ruolo di

protagoniste del mondo industriale.

Con l’industrializzazione si formò una

società molto più complessa e dinamica

della precedente. Più complessa perché

stratificata in un maggior numero di

articolazioni sociali: l’aristocrazia, i

contadini, la borghesia, la classe operaia, ciascuna di queste

classi comprendeva a sua volta diverse figure sociali. Più

dinamica perché divenne possibile agli individui modificare

la posizione sociale attraverso il lavoro, la professione,

l’iniziativa. Se la stabilità e la tradizione erano state il

cemento della società dell’Antico regime, l’intraprendenza e

il successo divennero i tratti distintivi della nuova società

industriale. La realtà era molto più dura e complessa:

cadevano le barriere giuridiche, in quanto tutti, senza

discriminazioni di classe, erano a uguale titolo cittadini,

ma rimanevano o si innalzavano barriere economiche e

culturali, tutt’altro che agevoli da superare. Tuttavia la

mobilità sociale, cioè la possibilità di modificare la propria

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condizione all’interno della gerarchia sociale, aumentò sino a

diventare una delle caratteristiche principali delle società

sviluppate. Dopo la Grande depressione, molti contadini e

artigiani avevano cambiato lavoro occupandosi nelle

acciaierie, nelle miniere, nelle costruzioni edili. Alla fine

dell’Ottocento, circa i due terzi della popolazione che

lavorava nelle grandi città erano impiegati nelle industrie.

L’essere proletari (guadagnarsi, cioè, un salario lavorando

con le proprie mani) divenne delle condizioni sociali comuni

a milioni di uomini, che condividevano abitudini, stili di vita,

progetti per il futuro. Era proletario, chi non disponendo di

altro che della propria capacità di lavorare, trovava

occupazione come salariato o bracciante nelle campagne

(proletariato agricolo) o come operaio nelle fabbriche

(proletariato industriale). Nella fabbrica questa diversa

provenienza dava luogo a una gerarchia e a forti disparità di

condizioni e la classe operaia visse, nel periodo

dell’industrializzazione, una comune condizione di miseria e

di sfruttamento. All’interno delle classe dirigenti, si diffuse la

convinzione che fossero necessari provvedimenti per

migliorare le condizioni dei lavoratori; queste classi

portarono avanti la questione sociale e operaia come un

pericolo che minacciava la vita collettiva. La questione

sociale fu però anche il risultato della nascita e della

diffusione di movimenti di protesta che vedevano come

protagonisti gli operai stessi, infatti all’interno della classe

operaia nacquero forme di ribellione nei confronti del nuovo

sistema produttivo e delle sue regole. Il fatto più

preoccupante per le classi dirigenti era che gli operai

maturarono ben presto la consapevolezza di doversi

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organizzare per difendere i propri diritti: l’organizzazione

contraddistinse il conflitto operaio.

Con l’industrializzazione si determinò una situazione nuova:

gruppi di lavoratori sempre più consistenti furono riuniti

all’interno delle fabbriche,

ciò diede loro la percezione

di vivere una condizione

comune e anche la

consapevolezza di poter

accrescere, organizzandosi, la

propria forza. Le condizioni

egualitarie che univano tra

loro gli operai si rivelarono

favorevoli al diffondersi delle

teorie socialiste elaborate da Karl Marx.

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Filosofia: Karl Marx

Le condizioni egualitarie che univano tra loro gli operai si

rivelarono favorevoli al diffondersi delle teorie socialiste elaborate

da Karl Marx. Il marxismo auspicava una società senza classi da

raggiungersi attraverso la “dittatura” del proletariato.

“La storia di ogni società fino ad ora esistita è storia di lotte di

classi”. Con questa tesi si apre il Manifesto del partito comunista.

Pubblicato nel 1848, in esso analizzò per la prima volta la

situazione del proletariato come classe autonoma, condizione e

risultato dello sviluppo economico capitalistico, che sarebbe dovuto

essere rovesciato attraverso la lotta di classe. Per Marx ogni classe è

definita da comuni interessi e condizioni economiche, dalla

posizione occupata nei rapporti di produzione e nella distribuzione

del reddito. Nell’umanità si sono avvicendate epoche storiche e

sistemi sociali: prima la comunità primitiva, poi la società

schiavistica e feudale e infine quella capitalistica. Quest’ultima si è

realizzata con lo sviluppo della borghesia e con il passaggio

dell’artigianato alla manifattura e all’industria. L’età contemporanea

vede la lotta tra la borghesia e il proletariato: i due “campi nemici”

determinati dal capitalismo. Il capitalismo viene descritto come un

modello di società fondato sull’esigenza di un rivoluzionamento

continuo dei processi materiali di produzione e su un incessante

dinamismo. La borghesia, al suo sorgere, aveva avuto un ruolo

rivoluzionario in quanto aveva abbattuto il sistema feudale; poi però

il suo sistema economico, il capitalismo, fondato sulla proprietà

privata e sul profitto, aveva significato condizioni di oppressione,

sfruttamento e miseria per le masse dei lavoratori. Era diventato un

ostacolo al progresso dell’umanità, per rimuoverlo era necessario

abolire la proprietà privata, istaurare il comunismo. Era questo il

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compito, secondo Marx, del proletariato, una classe sociale giovane,

chiamati “seppellitori”, nata con la rivoluzione industriale. Marx

affermava che così come si era uguali in fabbrica lo di doveva essere

nella società. Per combattere le disuguaglianze sociali, occorreva

superare il sistema capitalistico e creare una società socialista con

un’economia tesa a soddisfare i bisogni di tutti gli uomini. Per

Marx, infatti, il superamento della società capitalista sarebbe stato il

prodotto inevitabile del processo storico, indipendentemente dalla

volontà degli uomini. Era insita nel funzionamento del sistema

economico capitalistico, secondo Marx, la prospettiva

dell’emancipazione della classe operaia dallo sfruttamento cui era

sottoposta dalla borghesia capitalistica. La filosofia economica di

Marx è una “critica dell’economia politica”, una messa in

discussione della teoria classica, che riteneva eterne, naturali e

immodificabili le leggi di funzionamento della società capitalistica

che per lui sono solo un prodotto storico. Inoltre, l’operaio si aliena

nel lavoro: l’insieme delle capacità umane nel lavoro salariato, non

costituisce il fine delle sue attività vitali, ma unicamente il mezzo

con cui il lavoratore può sopravvivere stentatamente.

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