vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Approccio interdisciplinare al problema del determinismo e dell'indeterminismo, che implica questioni di carattere scientifico (meccanica quantistica), etico-filosofico (dibattito sul libero arbitrio), religioso e artistico-letterario.
Materie trattate: fisica, filosofia, letteratura
DETERMINISMO, INDETERMINISMO e LIBERTA’ UMANA
Si definisce determinismo quella concezione per cui in natura nulla avviene a caso ma tutto accade secondo
ragione e necessità. Il determinismo esclude qualsiasi forma di casualità nelle cose ed individua una
spiegazione di tipo fisico per tutti i fenomeni, riconducendola alla catena delle relazioni causa-effetto. Al
contrario chiamiamo indeterminismo quella concezione che ammette l’esistenza in natura di eventi non
determinati da cause precedenti, che pertanto risultano imprevedibili e frutto del caso.
L’uso abituale di questa terminologia è piuttosto recente; essa risale al 1927, anno in cui viene formulato il
famoso “principio di indeterminazione” ad opera di Werner Heisenberg (1901-1976). Nonostante queste
categorie vengano applicate principalmente all’ambito d’indagine scientifico, esse implicano anche problemi
di natura filosofica che, come tali, sono molto più antichi e investono campi ben più vasti
dell’interpretazione della meccanica quantistica o delle teorie fisiche in genere. Tali problemi pongono, in
particolare, interrogativi a riguardo della libertà decisionale dell’uomo o dell’azione divina. Questo genere di
questioni è stato uno dei temi centrali e più controversi della storia del pensiero, sia antico che moderno.
Pertanto, per una corretta comprensione del rapporto tra determinismo e indeterminismo, è necessario un
approccio interdisciplinare che ne formuli e ne metta a confronto i termini, sia dal punto di vista scientifico
che da quello più propriamente filosofico e teologico.
Dal determinismo meccanicista all’indeterminismo quantistico
I mutamenti verificatisi nel campo delle scienze a partire dal XVII secolo e la conseguente nascita della
scienza moderna influiscono in modo determinante sull’elaborazione di una visione del mondo di tipo
meccanicista. Essa concepisce la natura come una macchina perfetta il cui funzionamento si basa su pochi
fondamentali principi, primo fra tutti quello di causalità. Con sufficiente studio la scienza può determinare
esattamente il modo in cui opera questa grande macchina e, una volta capito, lo può controllare, poiché ogni
effetto corrisponde ad una determinata causa. Tale punto di vista è ben esemplificato dall’opera di Newton
(1642-1727) e dalle leggi matematiche da lui elaborate per descrivere i moti dei corpi nello spazio, che
divengono la base della fisica classica. Essa, tra le altre cose, prevede che lo scienziato sia un osservatore
distaccato dall’oggetto di studio, sul quale non ha nessuna influenza. Questa visione meccanicistica della
realtà, secondo cui i corpi interagiscono tra loro in base ad una legge di causalità necessaria e rigorosamente
determinabile sul piano matematico, verrà accettata per i successivi 200 anni.
Tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 si fa sempre più strada l’idea che la scienza fisica sia in grado di
prevedere lo stato futuro dell’universo a condizione di conoscerne lo stato presente: è il trionfo del
determinismo meccanicista, di cui Pierre-Simone de Laplace, nell’introduzione alla sua Teoria analitica
(1812), dà la formulazione più celebre: ogni stato è l’effetto del suo stato anteriore e la
delle probabilità
causa del suo stato futuro; più aumenta la nostra conoscenza delle cause, più esauriente è la previsione degli
effetti; un’intelligenza superiore che conoscesse in un dato istante posizioni, velocità e forze agenti relative a
tutti i corpi dell’universo potrebbe determinare con precisione assoluta il comportamento passato e futuro
della macchina del mondo. Per l’uomo questo tipo di conoscenza è impossibile: egli si deve accontentare di
conoscenze approssimate, di previsioni solo probabili. L’uso del calcolo probabilistico, però, non conduce
ancora a dubitare (come invece accadrà un secolo più tardi) dell’esistenza di un determinismo rigido in
natura.
Nel corso dell’800, sotto l’influsso del clima positivista e della sua concezione di un mondo ordinato
secondo leggi necessitanti, il meccanicismo si estende addirittura a campi e settori nuovi, quali la chimica, la
biologia e la fisiologia.
Eppure, proprio nel momento in cui sembra aver toccato il suo apogeo, il meccanicismo, in seguito ai nuovi
sviluppi della fisica della seconda metà del XIX secolo, viene investito da questioni del tutto nuove, che ne
mettono in crisi gli stessi presupposti: ad esempio, in termodinamica, con l’affermarsi dell’idea anti-
meccanicistica dell’entropia; oppure, nell’elettromagnetismo, con la teoria del campo elettromagnetico di
James Clerk Maxwell e il suo sforzo di unificare in un sistema di equazioni i fenomeni elettrici, magnetici,
luminosi. Tali sviluppi rendono sempre più problematica la collocazione nel modello meccanicista di
fenomeni nuovi e conducono gli scienziati a realizzare vari accomodamenti che permettano di non
abbandonare gli elementi essenziali del meccanicismo; tali ipotesi di soluzione verranno smentite dalla
scienza successiva. E’ il caso dell’etere ipotizzato da Maxwell, una sostanza immobile capace di sostenere la
propagazione di onde elettromagnetiche, che, secondo la concezione meccanicista, veniva considerata
impossibile nel vuoto. 1
Proprio l’ambiguità di alcuni concetti adottati acriticamente dalla scienza viene messa in evidenza dal fisico
e filosofo Ernst Mach (1838-1916), teorico dell’Empiriocriticismo, che pone in evidenza il carattere
metafisico della concezione meccanicistica della natura. Essa si avvale di concetti (primo fra tutti quello di
causa) per i quali si è dimenticato come si è giunti ad essi e che non risultano fondati empiricamente. La
pretesa che queste nozioni risultino perennemente valide equivale all’affermazione, del tutto ingiustificata,
che l’esperienza non potrà in alcun modo subire arricchimenti tali da suggerire nuove categorie, diverse da
quelle costituitesi in una fase antecedente della ricerca. Questa riconsiderazione critica del concetto di causa
anticipa la messa in discussione, per opera di scienziati e filosofi novecenteschi, di alcuni capisaldi teorici
del meccanicismo. Il fine di Mach, però, non è quello di negare valore alla scienza newtoniana, ma di
correggerne alcuni gravi difetti che ne frenano lo sviluppo e di denunciare le ipotesi metafisiche tacitamente
accolte dalla fisica classica. Il concetto di causa viene ricondotto a quello di funzione, cioè alla relazione
matematica che è possibile determinare tra diversi fatti.
L’opposizione di Mach al meccanicismo si inserisce in una più generale revisione del Positivismo che
caratterizza tutta la cultura filosofico-scientifica europea di fine 800, e a cui prende parte anche Emile
Boutroux (1845-1921), le cui argomentazioni, però, si spingono oltre ed arrivano a mettere in discussione la
stessa razionalità scientifica. Boutroux infatti, oltre a voler vanificare la pretesa positivistica di mostrare che
il reale è soggetto a leggi deterministiche, intende svuotare di ogni valore oggettivo le leggi scientifiche.
Secondo Boutroux la scienza moderna ha ammesso l’esistenza di un punto di coincidenza tra il mondo
sensibile e il mondo matematico ed ha considerato le cose come determinazioni particolari delle stesse
essenze matematiche. Noi, pertanto, “crediamo che tutto sia necessariamente determinato perché crediamo
che tutto sia, in fondo, matematico”. In realtà, la scienza si limita soltanto a supporre che l’essenza delle cose
sia esclusivamente matematica: l’ordinamento matematico dei fenomeni è solo un’ipotesi comoda per la
conoscenza. Il fondamento della legge scientifica è invece soltanto empirico; tale legge raggiunge una
determinazione maggiore del legame matematico, ma non stabilisce rapporti necessari: necessità e
determinazione, per Boutroux, sono dunque cose distinte. Il principio di causalità, su cui si fonda la visione
meccanicistica e deterministica del mondo, perde il suo valore.
I principi della meccanica newtoniana vengono messi a dura prova, nel 1905, dalla formulazione della teoria
della relatività ad opera di Albert Einstein, ma il loro definitivo declino si ha negli anni ’20 e ’30, quando la
teoria quantistica della materia distrugge completamente l’edificio della fisica classica – inadeguata a
spiegare il mondo microscopico – e, con essa, anche la concezione deterministica su cui poggiava, aprendo la
strada all’indeterminismo.
A mettere in discussione il modello meccanicistico è innanzitutto la teoria dei quanti di energia formulata da
Max Planck. Planck scopre che l’emissione e l’assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche non
avvengono in modo continuo (come era stato precedentemente postulato), ma secondo quanti di energia, che
hanno carattere discontinuo, sono proporzionali alla frequenza delle radiazioni e non possono essere inferiori
ad una certa costante (costante di Planck), della quale sono sempre multipli. Questa nuova scoperta mette in
questione la teoria ondulatoria della luce affermatasi alla fine dell’800 con Maxwell. La fisica si trova in una
situazione inedita e paradossale: due nozioni della materia tra loro incompatibili (ondulatoria e corpuscolare)
fanno da sfondo a due spiegazioni della stessa classe di fenomeni fisici. La realtà non si presenta più secondo
quella unitarietà, oggettività, ed univocità che pretendeva il Positivismo.
Il fisico Niels Bohr suggerisce di adottare il principio di complementarità, per il quale entrambi i modelli di
spiegazione (ondulatorio e corpuscolare) sono ritenuti validi, ciascuno per un determinato tipo di fenomeni.
Emerge comunque la necessità di adottare nuove categorie nella descrizione del mondo a livello
microscopico.
A scardinare il modello meccanicistico nella microfisica è però soprattutto il principio di indeterminazione di
Heisenberg (1927). Esso afferma che, a causa dell’interferenza prodotta dall’osservazione (in particolare
dall’energia luminosa impiegata) è impossibile calcolare, nello stesso tempo, la posizione di una particella e
la sua velocità; tutto ciò che si può fare è determinare la probabilità che la particella si trovi in un punto
anziché in un altro, oppure abbia una velocità invece che un’altra; sul comportamento della particella si
possono cioè fare solo previsioni probabili e calcoli statistici. L’indeterminismo, per Heisenberg, non è
dovuto all’impossibilità pratica di accedere a tutte le informazioni necessarie per la conoscenza
deterministica del moto delle particelle, ma si configura piuttosto come una legge fondamentale ed
universale della natura: l’indeterminazione quantistica corrisponde ad una indeterminazione di natura. Con la
nuova fisica delle particelle muta dunque l’idea stessa di realtà: al posto delle certezze di un tempo, ora regna
l’indeterminatezza, la casualità. I movimenti apparentemente casuali delle particelle subatomiche non si
2
possono più spiegare nei termini della vecchia meccanica. In seguito a questi sviluppi non pochi filosofi
ritengono definitivamente sepolto il modello della determinazione causale
Molti fisici, invece, (primo fra tutti Einstein, secondo cui “Dio non gioca a dadi con il mondo”) rifiutano
l’idea che l’indeterminazione sia una caratteristica intrinseca della realtà. Il loro ragionamento consiste
nell’affermare che anche a livello microscopico la realtà fisica continua ad essere deterministica, solo che
non possiamo conoscere con precisione i valori delle variabili di stato e quindi siamo costretti a una
descrizione probabilistica. Nel momento in cui noi conoscessimo questi fattori potremmo fornire una
descrizione dell’universo completamente deterministica: questa corrente di pensiero viene denominata
indeterminismo soggettivo o statistico.
A criticare l’interpretazione data da Heisenberg alla meccanica quantistica sono anche Max Planck ed Erwin
Schrödinger, che hanno difficoltà ad accettare una teoria che prospetta un universo senza leggi affidabili.