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Questa tesina di maturità tratta del denaro.
"Pone in opulentissima me domo, pone <ubi>aurum argentumque inpromiscuo usu sit: non suspiciam me ob ista quae, etiam si apud me, extra me tamensunt. In Sublicium pontem me transfer et interegentes abice: non ideo tamen me despiciam quod in illorum numeroconsedero qui manum ad stipem porrigunt. Quid enim ad rem an frustumpanis desit cui non deest mori posse? Quid ergo est? domum illamsplendidam malo quam pontem."
Seneca, De vita beata, 25, 1
"Mettimi in una casa ricchissima, mettimi dove oro e argento siano d’uso comune: non insuperbirò per queste cose, che se anche stanno in casa mia, sono al di fuori di me. Trasferiscimi sul ponte Sublicio e gettami fra i bisognosi: non per questo tuttavia mi disprezzerò, perché siederò fra coloro che porgono la mano all’elemosina. Che importa infatti per la sostanza se manca un tozzo di pane a chi non manca la possibilità di morire? Che dunque? Preferisco quella splendida casa al ponte." Questa riflessione di Seneca è per ricordarci che il denaro non è un male in sé. E' l'uomo che, divinizzando il denaro, lo rende un male. Ci siamo dimenticati che il denaro è un mezzo, non un fine; e quando si scambia il mezzo per il fine, sono sempre guai. Lasciamo sempre il denaro fuori di noi, non lasciamolo mai entrare dentro. Dentro abbiamo cose più preziose, che hanno bisogno di tutto lo spazio a disposizione. La tesina inoltre prende in esame anche altri argomenti tra loro interconnessi.
Italiano: Verga.
Filosofia: Marx.
Storia: La crisi del 1929.
Storia dell'arte: Van Gogh.
Fisica: Elettroscopio.
Latino: Seneca.
Scienze: Evoluzione stellare.
Inglese: Victorian Era.
I T A L I A N O
Quando il denaro penetra le menti
IL VERISMO
E
GIOVANNI VERGA
IL VERISMO
Il verismo è una corrente letteraria nata all'incirca fra il 1875 e il 1895 ad opera di un gruppo
di scrittori - per lo più narratori e commediografi - che non costituirono una vera e propria "scuola"
ma era comunque fondato su precisi principi.
Il Verismo nasce sotto influenza del clima positivista, quell'assoluta fiducia nella scienza,
nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si sviluppa e prospera dal
1830 fino alla fine del XIX secolo. Inoltre, il Verismo si ispira in maniera evidente al Naturalismo,
un movimento letterario diffuso in Francia a metà ottocento. Per gli scrittori naturalisti (come Émile
Zola, Guy de Maupassant) la letteratura deve fotografare oggettivamente la realtà sociale e umana,
rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più umili, in ogni aspetto anche
sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli scienziati analizzando gli aspetti concreti della
vita. Si sviluppa a Milano, la città dalla vita culturale più feconda, in cui si raccolgono
intellettuali di regioni diverse; le opere veriste però rappresentano soprattutto le realtà sociali
dell'Italia centrale, meridionale e insulare. Così la Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga,
autore italiano di massima esponenza che teorizzò la "poesia del vero", intraprendendo la strada
“Vita “Novelle
del verismo con la raccolta di novelle dei campi” e rusticane” e, infine, col primo
“Ciclo
romanzo del dei Vinti,” I Malavoglia, nel 1881.
Giovanni Verga , massimo esponente del verismo, nasce a Catania
nel 1840.
La sua prima formazione romantico-risorgimentale si svolge a Catania, dove abbandonando gli
studi giuridici, si dedica alla letteratura e scrive la sua prima opera di carattere romantico
patriottico "I carbonari della montagna", in cui parla del Risorgimento con entusiasmo.
Trasferitosi a Firenze nel 1865 compone i suoi romanzi "Una peccatrice" e "Storia di una
Capinera" che risentono del periodo romantico passionale che Verga vive.
Successivamente a Milano frequenta l'ambiente degli Scapigliati, rappresentando in modo
fortemente critico il mondo aristocratico-borghese in "Eva", 1873, "Tigre Reale", 1873,
"Eros",1875, romanzi d'amore pieni di sensualità.
In seguito alla scoperta del naturalismo francese, lo scrittore matura la sua svolta decisiva
verso il verismo che sarà segnato dai racconti e dai romanzi di ambiente siciliano: "Vita nei
campi", 1880; "I Malavoglia", 1881; "Novelle rusticane", 1883; "Mastro don Gesualdo", 1889
romanzi che sottolineano la gravità della questione sociale dopo l'unità d'Italia soprattutto nel
meridione oppresso dall'ignoranza, la miseria e il brigantaggio.
Lo scrittore crede nel progresso ma si interessa ai vinti e ai deboli; la sua è una visione della
vita tragicamente pessimistica che si pone in antitesi con l'ottimismo imperante nei suoi tempi.
Rappresenta un mondo di primitivi in lotta con il destino avverso cui inesorabilmente soccombono
quando si staccano dalla religione, dalla famiglia e dal lavoro.
Il linguaggio verghiano è arditamente innovatore: dando spazio al linguaggio dialettale
riesce a raggiungere effetti di grandiosa coralità.
Alla produzione narrativa si accompagna quella teatrale, connotata sempre da una intensa
drammaticità: "Cavalleria rusticana", 1884; "La lupa", 1884; "In portineria", 1885; "Dal tuo al
mio", 1903.
Giovani Verga muore nella sua città natale nel 1922. Quando il denaro diventa ‘roba’
Novelle Rusticane
Novelle Rusticane è una raccolta di 12 novelle pubblicate a Torino dall’editore Casanova nel
1883, due anni dopo i Malavoglia, e ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana.
A differenza di Vita dei campi c’è la scomparsa di eroi per lasciare spazio agli eroi titanici (riscatto
che l’uomo ha in sé), come per esempio Mazzarò ne La Roba. I temi cambiano ed uno è prevalente:
ovvero la terra, e la lotta per il suo possesso. Questo corrode i sentimenti e diventa l’unica
la Roba,
religione, infatti le uniche leggi conosciute e rispettate sono quella dell’accumulo, l’economia e il
successo economico. Spariscono gli individui d’eccezione come Rosso Malpelo, la Lupa, che
davano i titoli alle novelle e nei titoli entrano entità astratte come Libertà, Malaria, Roba.
In queste novelle appare più accentuato il conflitto tra Italia del Nord e del Sud, così come
appare più importante la lotta tra le classi sociali. Lo stile delle Novelle Rusticane è più realistico e
drammatico rispetto a quello simbolico di Vita Dei Campi; anche la tipologia dei personaggi
cambia, infatti in Vita dei campi questi sono isolati (Rosso Malpelo) ed esclusi socialmente perché
considerati diversi, mentre nelle Novelle Rusticane si parla di gruppi sociali collettivi anche isolati,
ma con problemi più economici e materiali che ideali e sociali.
Inoltre non si narrerà più di braccianti e pescatori, ma di contadini e piccoli proprietari.
Ciò però non comporta ad un miglioramento di vita, cambiano le circostanze e le situazioni,
ma rimane inalterata la logica di sfruttamento che governa il mondo.
L A R O B A
La novella “La parla
Roba” di Mazzarò, un uomo che passò dalla condizione di povero
contadino, sfruttato e maltrattato, a quella di un ricchissimo proprietario terriero. Con le sue forza
fisiche e la sua intelligenza, infatti, riuscì ad ingannare il suo padrone, a possedere tanta “roba” e
diventare padrone di terre immense. La “roba” divenne per Mazzarò la ragione della sua vita,
un’ossessione, non trovò tempo per gli affetti o per godersi la sua ricchezza, ma solo per pensare a
come guadagnare di più e avere più “roba”. Col passare degli anni Mazzarò però invecchiava e in
paese tutti si chiedevano a chi avrebbe lasciato la sua “roba”.
Il solo pensiero di dover lasciare tutta la sua fatica a qualcuno che non aveva mai faticato quanto
lui lo faceva impazzire, e così avvenne che iniziò a sparare alle sue bestie gridando che la sua
“roba” sarebbe dovuta andarsene con lui.
Il personaggio principale è Mazzarò, ricco ma anche intelligente, era un omiciattolo che di
grasso aveva solo la pancia, era molto avaro e non voleva spendere i suoi soldi. Il linguaggio usato è
abbastanza complesso, soprattutto nella prima parte dove prevale la sequenza descrittiva. La figura
di Mazzarò ha qualcosa di epico ed eroico nell’estrema dedizione al suo scopo, nel suo tendere
sempre più in alto, ma nello stesso tempo viene fuori tutta la disumana negatività delle sue azioni.
Questo personaggio preannuncia il protagonista del romanzo Mastro don Gesualdo, che come
Mazzarò è un eroe dell’accumulo capitalistico.
MACROSEQUENZE
1) Nella campagna smisurata tutto quanto si vede è «roba» di Mazzarò. Su pascoli, fattorie, uliveti
domina una sola figura, quella di Mazzarò, che si identifica con i suoi possedimenti, conquistati
grazie alla sua intelligenza e tenacia.
2) Mazzarò, lavorando sodo, è subentrato all’inetto barone ed è diventato un grande proprietario
terriero, ma non per questo è tenero con mezzadri e debitori. Se qualcuno gli domanda un soldo,
risponde di non averne. Ed è vero, perché considera il denaro carta sudicia e lo investe subito per
acquistare nuove terre.
3) Sopraggiunta la vecchiaia , colto da una folle gelosia, comincia a distruggere rabbiosamente a
colpi di bastone la sua «roba» , perché non può portarla con sé.
ILNARRATORE
Verga fa parte della corrente letteraria del Verismo e la novella ne rispecchia tutte le
caratteristiche. Verga appare interno al mondo che descrive, si trova in sintonia col protagonista e
col suo modo di pensare, e addirittura traspare una celebrazione di questo uomo che dal nulla è
diventato ricchissimo.
TEMA PRINCIPALE
Diversi temi sono trattati nel testo. Vi è una sorta di ammirazione verso l’accumulo capitalistico,
verso chi riesce ad accumulare infinite ricchezze, dalle proporzioni sconfinate. Per rendere questa
immensità Verga utilizza la figura dell’iperbole; per esempio, i mietitori assomigliano a enormi
milizie, Mazzarò possiede tanti aratri quanto le innumerevoli file di corvi, per la vendemmia
giungono a lavorare interi villaggi. L’autore esalta le capacità del protagonista, la sua astuzia e la
sua intelligenza, e soprattutto i sacrifici in onore della “roba”, che lo rendono quasi un santo martire
dell’accumulazione di beni.
La vicinanza dell’autore alla logica della “roba”, esaltata attraverso una visuale epica, mitica,
produce un rovesciamento dei valori. Ciò che umanamente appare bislacco, abnorme, disgustoso,
l’avidità crudele di Mazzarò, evidente dalla narrazione oggettiva degli avvenimenti, appare
normale, e addirittura degna di merito. Tutto ciò è in contrasto con la scala di valori sottintesa in
tutta la narrazione, con la conseguente critica della “religione della roba”, non espressa in modo
esplicito con commenti di Verga, ma attraverso i fatti oggettivi.
La conclusione della novella presenta un rovesciamento delle prospettive. Nella sua continua
brama di ammassare roba in modo infinito, l’uomo non solo deve fare i conti con la società, le leggi
economiche, ma anche con la natura medesima, con il percorso naturale della vita. Dunque Mazzarò
va incontro al totale fallimento delle sue prospettive.
L A T I N O
LUCIO ANNEO SENECA
Seneca è una delle figure più di prestigio della letteratura latina. Egli fu
un insigne esponente della prosa filosofica romana e l'unico poeta tragico
latino di cui ci siano pervenuti i testi in modo non frammentario. Nei suoi scritti
ritroviamo i temi della filosofia morale antica, filtrati attraverso il suo pensiero
e il suo stile ricercato oltre che mediante il suo energico impegno politico. Le
sue tragedie influenzarono il teatro tragico rinascimentale e il dramma
elisabettiano.
Lucio Anneo Seneca, Seneca “il giovane” (figlio di Seneca “il vecchio”
ma anche “il retore”), nacque a Cordoba, una delle più importanti colonie
romane (e capitale della Spagna Beltica). La data di nascita è dubbia ma
circoscritta a pochi anni prima della data tradizionale della nascita di
Cristo ( 1, 3 o 4 a.C.). Seneca è dunque spagnolo, figlio, diremmo oggi, di
immigrati italiani. Cordoba era comunque una città viva intellettualmente,
provincia solo geograficamente.
Poco sappiamo anche della sua famiglia (questo porta a pensare che
gli Annei non avessero ricoperto cariche pubbliche) se non che era di rango
equestre e che il padre scrisse alcuni libri tra cui uno di storia, oggi perduti
e si trasferì a Roma quando Seneca figlio era ancora molto giovane.
Debole di costituzione (frequenti svenimenti ed attacchi d’asma) Seneca
aspirava probabilmente ad una vita di studi e meditazione, tuttavia, spinto
dal padre, intraprese la carriera politica.
L’interesse principale di Seneca fu la filosofia; una diversa strada presero
i suoi studi incentrati sulla retorica e guidati da un grammaticus che,
scrisse in seguito Seneca, gli fece perdere molto tempo.
Per tentare di lenire i problemi di salute, si recò in Egitto (ma anche per
prudenza politica visto che Tiberio aveva sciolto la setta de sesti). In
questo modo introduciamo un altro elemento fondamentale della biografia
di Seneca che influenzerà sia la sua carriera politica che le sue opere: i
difficili rapporti con il potere politico, con gli imperatori in particolar
modo.
Oltre a Tiberio anche Caligola gli fu molto ostile. Tentò anche di farlo
uccidere. Il contrasto con Caligola era causato dalla fama raggiunta da
Seneca (divenuto questore e senatore) come oratore e per la sua linea
politica attenta alle libertà civili. Fu un amante dell’imperatore a
dissuaderlo dal proposito omicida. Ma anche Claudio, su consiglio di
Messalina, non gli rese la vita facile. Lo accusò di adulterio con Giulia
Lavilla, sorella di Caligola e lo esiliò in Corsica, dove rimase fino al 49,
quando, per intercessione di Agrippina, nuova moglie di Claudio, venne
l’incarico di precettore