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Sintesi Dado non è tratto - Tesina
La seguente tesina maturità liceo scientifico dal titolo Il dado non è tratto riflette sulla tematica dell'uomo che interroga sul proprio destino. Da sempre l’umanità si è interrogata su quanto l’uomo possa interagire con la propria vita, sul proprio destino e quanto ciò che gli accade dipenda da lui stesso. Nel corso della storia le risposte sono state molteplici e a volte contrastanti: dall’ “accetta il logos” degli stoici, al libero arbitrio cattolico, per arrivare al futuro già scritto di Calvino e alle teorie deterministe degli ultimi secoli per approdare infine alla genetica.
Nonostante sia una scienza giovane, complessa e con ancora numerosi interrogativi, la genetica è già entrata a far parte della nostra cultura. Nel corso dei secoli siamo spesso rimasti imprigionati nelle costrizioni da noi stessi create: le caste, lo stato sociale, la religione, la cultura. A partire dal 1800, l’uomo è riuscito ad emanciparsi, giungendo ad affermare il proprio Io. Si è trattato di una libertà illusoria, effimera perché un ulteriore ostacolo rischia di vincolare la nostra libertà: non è un Dio, non è la società che ci limita, siamo noi che, convinti di nascere con un’impronta indelebile dettata dal nostro DNA nascondiamo i nostri insuccessi dietro alla frase: “non sono portato (non è nel mio DNA)” e a volte svalutiamo gli altrui successi ritenendoli frutto di talenti innati.
Wolfgang Amadeus Mozart è considerato (quasi) unanimemente un genio musicale, ma forse non tutti sanno che il padre, Leopold, era uno dei migliori insegnanti di musica del tempo e aveva iniziato a far esercitare il giovane Wolfgang intensamente dalla tenera età di tre anni. Si ritiene abbia sostenuto circa 3500 ore di pratica prima dei sei anni e oltre 10000 entro i dieci anni. Egli stesso disse: “nessuno quanto me ha dedicato così tanto tempo e pensato tanto alla composizione musicale”. Come possiamo stabilire che Mozart fosse dotato di un talento naturale e non che ogni bambino sottoposto ad un simile esercizio avrebbe conseguito risultati equiparabili? Lo psicologo ungherese Laszlo era fermamente convinto di questo: per ottenere risultati non è indispensabile una particolare predisposizione, ma è sufficiente un costante e mirato esercizio. Nel 1967 azzardò che se un giorno fosse divenuto padre, i suoi figli sarebbero diventati campioni di scacchi. Alcuni anni dopo ebbe modo di mettere in pratica quanto preannunciato e impose, dall’età di tre anni, un rigido regime di allenamento alle sue tre figlie che prima dei quattordici anni divennero tutte campionesse di scacchi.
E’ comodo attribuire le nostre sconfitte ad una mancata predisposizione, ma è altrettanto triste ritenere che i nostri risultati siano frutto del corredo genetico e non del nostro impegno. Se ne rese conto il protagonista del romanzo “Cronosisma” di Kurt Vonnegut che aveva dimostrato che le persone molto intelligenti avevano in testa delle piccole radioriceventi e che le loro idee provenivano da altrove. Grazie a questa intuizione vinse il Nobel ma, poco prima di ritirare il premio, si suicidò poiché si accorse di non aver alcun merito, “aveva scoperto di non aver scoperto nulla.” Homo faber fortunae suae questo invece è il mio punto di partenza nella tesina.
Sono convinta che noi singolarmente abbiamo un potere sconfinato ed è per questo che rifiuto un mondo governato dal rigido determinismo dove la vita si riduca ad un mero rapporto causa-effetto perché l’ambiente in cui viviamo, le nostre abitudini, le nostre convinzioni e pensieri influenzano la nostra esistenza. Il DNA è il nostro bagaglio di partenza, la nostra valigia che contiene alcune cose che potrebbero servire per il nostro viaggio; ma la destinazione la scegliamo noi! Potremmo rimanere vicini o intraprendere un viaggio lunghissimo e in base alla destinazione dovremmo arricchire ed integrare il nostro bagaglio o, se necessario, in parte sostituirlo. Alcuni di noi preferiranno avere una valigia grande con tante cose dentro anche se alcune rimarranno inutilizzate; ma c’è anche chi in un piccolo bagaglio a mano riuscirà ad inserire l’indispensabile. La cosa importante è che il contenuto della nostra valigia venga adattato al tipo di viaggio che siamo intenzionati a fare e non decidere la nostra destinazione in base al contenuto di base nel nostro bagaglio di partenza. Scegliere dunque deve essere l’imperativo della nostra vita. “Il dado non è tratto” significa appunto che nulla è già deciso, è tutto nelle nostre mani proprio perché “siamo molto più del nostro DNA”
Collegamenti
Dado non è tratto - Tesina
Scienze - Genetica.
Fisica - Meccanica quantistica.
Italiano - La figura dell'inetto.
Filosofia - Kant.
impegno. Se ne rese conto il protagonista del romanzo “Cronosisma” di Kurt Vonnegut
che aveva dimostrato che le persone molto intelligenti avevano in testa delle piccole
radioriceventi e che le loro idee provenivano da altrove. Grazie a questa intuizione vinse il
Nobel ma, poco prima di ritirare il premio, si suicidò poiché si accorse di non aver alcun
“aveva scoperto di non aver scoperto nulla.”
merito,
Homo faber fortunae suae questo invece è il mio punto di partenza.
Sono convinta che noi singolarmente abbiamo un potere sconfinato ed è per questo che
rifiuto un mondo governato dal rigido determinismo dove la vita si riduca ad un mero
in cui viviamo, le nostre abitudini, le nostre
rapporto causa-effetto perché l’ambiente
convinzioni e pensieri influenzano la nostra esistenza.
Il DNA è il nostro bagaglio di partenza, la nostra valigia che contiene alcune cose che
potrebbero servire per il nostro viaggio; ma la destinazione la scegliamo noi! Potremmo
rimanere vicini o intraprendere un viaggio lunghissimo e in base alla destinazione
dovremmo arricchire ed integrare il nostro bagaglio o, se necessario, in parte sostituirlo.
Alcuni di noi preferiranno avere una valigia grande con tante cose dentro anche se alcune
c’è anche chi in
rimarranno inutilizzate; ma un piccolo bagaglio a mano riuscirà ad
l’indispensabile.
inserire La cosa importante è che il contenuto della nostra valigia venga
adattato al tipo di viaggio che siamo intenzionati a fare e non decidere la nostra
destinazione in base al contenuto di base nel nostro bagaglio di partenza.
Scegliere dunque deve essere l’imperativo della nostra vita.
“Il dado è tratto” significa appunto che nulla è già deciso, è tutto nelle nostre mani
non
proprio perché “siamo molto più del nostro DNA”. 4
1
“Abbiamo trovato il segreto della vita”
- Francis Crick
Sono trascorsi ormai sessantun anni dalla scoperta della struttura del DNA, da quel
fatidico 28 febbraio 1953, in cui Francis Crick entrò nell’Eagle Pub di Cambridge
esclamando: “Abbiamo trovato il segreto della vita”. Questi studi valsero il Nobel a Crick
e al suo compagno James Watson. Una rivoluzione nel campo della scienza; tutti ne erano
consapevoli!
Già nel 1928 le ricerche sulla genetica (ancora non possiamo definirle ricerche sul DNA)
i primi frutti: il biologo inglese Griffith scopre il “principio
avevano prodotto
trasformante” che permette di trasformare in ceppi patogeni un ceppo innocuo di
il fattore all’interno dei cromosomi
streptococco, ma non riesce a capire quale sia che
permette la trasformazione: proteine o DNA?
Bisogna attendere il 1944, quando Avery, MacLeod e MacCarty dimostrano con un
il “principio trasformante" è
esperimento che il DNA.
grazie all’uso di un sottile fascio
Il contributo di Rosalind Franklin fu determinante: di
raggi x riesce a produrre minuscole porzioni di DNA e ad ipotizzare una forma elicoidale,
con la molecola di fosfato posta esternamente.
Pochi anni dopo Chargaff scopre il rapporto in cui le quattro basi azotate si dispongono
all’interno del DNA: adenina e timina sono sempre in quantità equivalenti allo stesso
modo di citosina e guanina.
“solo”
Mancava scoprire la struttura esatta, fondamentale per tutti gli studi successivi: è il
grande contributo di Watson e Crick che avvalendosi delle ricerche dei loro predecessori
realizzano il primo modello del DNA.
In pochi decenni le ricerche sono progredite con una notevole velocità dimostrando come
grazie a processi definiti “trascrizione” e
avviene il passaggio da DNA a proteine,
“traduzione”, ma nel 1972 con la genetista Susumu Ohno un nuovo concetto entra a far
il “DNA ovvero la parte
parte del panorama della biologia moderna: spazzatura”, di DNA
che risultava non codificante, che non portava alla produzione di alcuna proteina.
1 –
Francis Crick - c/o Eagle Pub Cambridge 28 feb 1953 5
Quando fu completato il
sequenziamento del dna umano, nel
2003, i ricercatori si trovarono di fronte
a risultati sconcertanti: almeno la metà
dei 3,2 miliardi di coppie di basi delle
quali era composta la molecola della
vita erano ripetizioni casuali,
apparentemente non funzionali
e superflue; inoltre i geni erano
spezzettati, cioè le sequenze con le
informazioni per costruire le proteine (esoni) erano interrotte da parti (introni) non utili per
questo scopo.
Oggi quindi è nota la funzione del solo 1,5% del nostro DNA, mentre il restante 98,5%
di “junk, non-coding,
cade sotto la definizione DNA”.
La natura ci ha però insegnato che la selezione è volta all’eliminazione di tutto ciò che non
è funzionale alla vita: abbiamo perso la coda, di cui ci rimane solo un vago ricordo
(coccige), i mammiferi acquatici hanno perso il manto e le zampe, alcuni animali notturni
hanno sviluppato l’udito a scapito della vista.
spiegare allora l’esistenza di una tale quantità di materiale genetico inutile?
Come 2
“Dove men si sa, più si sospetta”
- Niccolò Machiavelli
Numerosi fronti si stanno muovendo contemporaneamente per indagare questo 98%
ignoto partendo da convinzioni diverse e utilizzando tecniche differenti.
Un’equipe russa ha provato ad analizzare il DNA nella sua interezza con esiti interessanti:
secondo questi ricercatori è possibile interagire con il DNA grazie a particolari frequenze
laser che, come un qualsiasi linguaggio, comunicano con il nostro genoma, modificandolo,
correggendolo o più in generale influenzandolo.
2 – Dell’Ingratitudine
Niccolò Machiavelli - 1507 6
Parallelamente, nel 2003, è nato il progetto ENCODE (ENCyclopedia Of Dna Elements):
un consorzio di ricerca con l’obiettivo di realizzare un’enciclopedia degli elementi che
compongono il DNA umano.
Inizialmente partiti con lo scopo di analizzare il DNA codificante, i ricercatori si sono
convinti che il restante 98,5% (DNA spazzatura) doveva avere un suo ruolo.
Anche lo spazio tra i geni, considerato fino a poco tempo fa inutile, è invece strettamente
collegato all’espressione genetica. In pratica, anche se molte di queste parti che
compongono la “materia oscura” del genoma non sono associate alla sintesi delle proteine,
comunque capaci di regolare l’espressione di
primo compito di ogni gene, esse sarebbero
geni distanti tra loro e coordinare altre funzioni collegate anche all’emergere di patologie.
Queste aree che dividono i geni gli uni dagli altri nasconderebbero infatti i segreti
dell’espressione genica, ossia gli interruttori che accendono o spengono un gene, attivando
o disattivando la sintesi proteica.
Tutte queste ricerche sembrano avere in comune la convinzione che l’espressione genica
sia in parte influenzabile dalle nostre scelte di vita.
Il passaggio chiave è comprendere che questi “interruttori” non vengono accesi e spenti
dall’ambiente dall’alimentazione,
casualmente, ma dipendono in cui viviamo, dal modo in
cui ci approcciamo alla vita. 3
“Un non senso scientifico”
- Catherine Vidal, neurologa
Oramai dovrebbe essere chiaro che è assurdo colpevolizzare i singoli geni giustificando il
comportamento di alcuni soggetti. Sul web spopolano le
ricerche che annunciano la scoperta di ogni qualsivoglia tipo di
gene: dal gene dell’obesità al gene dell’intelligenza, senza
tralasciare il gene dell’alcolismo e della violenza.
Nel 2007 un tribunale di Trieste ha concesso la riduzione della
pena di un anno ad un omicida invocando la “vulnerabilità
genetica”. Per la prima volta in Italia il patrimonio genetico è
stato riconosciuto come circostanza attenuante dalla Corte
d’Assise d’Appello. Quest’uomo è stato riconosciuto portatore di un patrimonio genetico
3 Chaterine Vidal - 2007 7
che “secondo numerose ricerche internazionali, aumenta in modo significativo il rischio di
sviluppare un comportamento aggressivo impulsivo”, scrive il giudice nelle sue
conclusioni.
È un non senso scientifico, esclama Catherine Vidal, neurologa e direttrice della ricerca
all’istituto Pasteur, rifiutando qualunque consenso nella comunità scientifica all’esistenza
di geni della criminalità o dell’aggressività. Secondo lei, esistono effettivamente studi che
mostrano correlazioni tra alcuni geni e alcuni comportamenti, ma senza tuttavia provare
una vera relazione di causa effetto. In ogni modo, questi studi sono realizzati su grande
scala, su basi statistiche. Non possono in nessun caso predire un comportamento violento
in un individuo particolare che compare davanti ad un tribunale, avverte. È preoccupata
per una “deriva pericolosa” che tende ad appellarsi alla scienza in campi in cui questa non
ha alcuna vocazione ad esserlo.
Sembra un triste ritorno a Lombroso, criminologo ottocentesco, convinto sostenitore del
concetto di “criminale per nascita”. Fortemente influenzato dalla fisiognomica e dalla
frenologia affermava che l’origine del comportamento criminale fosse da ricercare nelle
caratteristiche anatomiche del soggetto. Secondo Lombroso il crimine non è il frutto di
una libera scelta, ma è piuttosto la manifestazione di una patologia organica e in quanto
.
tale deve essere trattato come una malattia
4
“Morire giovani il più tardi possibile”
- Ashley Montagu
escluso la centralità del patrimonio genetico all’interno della nostra vita, non ci
Avendo
resta che concentrarci su quali sono gli elementi che ci consentono di prendere in mano le
redini della nostra esistenza affinché sia il più possibile lunga, ma soprattutto degna di
essere vissuta; volendo riprendere una citazione di Thoreau tratta dalla sua opera Walden:
[…] and not when I came to die, discover that I had not lived. I did not wish to live what
was not life (e non, in punto di morte, scoprire che non avevo vissuto. Non volevo vivere
quella che non era una vita).
4 –
Ashley Montagu conversazione con Johnny Carson - 1962 8
In tutto il cosiddetto mondo industrializzato la gente vive più a lungo, ma si ammala prima
e il numero di anni trascorsi da malati cronici sta aumentando. In altre parole abbiamo
ampliato la durata della vita, ma non quella della salute.
Agli inizi degli anni ’70 un medico di fama mondiale, Alexander Leaf fece alcune ricerche
sulle popolazioni più sane e longeve del mondo, focalizzando la propria attenzione in
particolare su quattro: gli abitanti della Valle di Vilcabamba in Equador, quelli della
regione di Unza in Pakistan, gli abitanti della regione di Abkhazia sulle montagne del
Caucaso e gli abitanti delle isole Okinawa in Giappone.
Molti sono gli elementi che accomunano questi popoli: la vita di questa gente, che supera
facilmente i cent’anni è straordinariamente sana, la malattia non è considerata come un
evento normale o naturale nemmeno in età avanzata.
Cancro, diabete, obesità, malattie cardiache, colesterolo, osteoporosi, ipertensione, artrite e
demenza senile sono quasi sconosciute.
La loro dieta abituale è a basso contenuto calorico (circa 1900kcal contro 2600kcal di noi
occidentali) nonostante il loro stile di vita si basi sul movimento e un lavoro fisicamente
impegnativo. Frutta, verdura, legumi e cereali integrali sono alla base della loro
alimentazione. Consumano poche proteine (quasi esclusivamente vegetali), non hanno
zucchero, sale e cibo trattato in qualche modo e l’80% di quello che mangiano è crudo.
considerazione e l’invecchiamento viene festeggiato come
Gli anziani godono di grande
evento naturale della vita, diversamente dal mondo occidentale, dove la vecchiaia implica
il non essere riusciti a rimanere giovani. I loro rapporti umani sono eccellenti: nessuno
soffre di depressione poiché hanno la certezza che non saranno mai soli.
Appare evidente che siamo di fronte a popoli che dimostrano, con la loro vita semplice,
che l’uomo può vivere tranquillamente oltre i cento anni mantenendo la salute fino agli
ultimi istanti di vita.
Sarebbe un errore pensare che questi popoli vivano così grazie a fattori genetici, perché
entrando a contatto con l’uomo occidentale la loro vita si accorcia e appaiono le malattie
moderne.
Sicuramente l’ambiente e l’alimentazione sono fattori determinanti, ma anche lo stile di