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Sintesi
Italiano- Libertà di Verga
Storia- Origine fenomeno mafioso, rapporto tra mafia e fascismo
Scienza delle finanze- La questione meridionale, Cassa per il mezzogiorno
Diritto: Lotta alla mafia, Art. 41-bis e Art-416 bis
Estratto del documento

Tesina multidisciplinare

‘’ Dall’origine del fenomeno Mafioso a oggi ’’

Di

Martina Mezzasalma

CLASSE: V SEZ.: C Amm.

Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri Statale

L.Einaudi 1

A. S. 2012/2013

INDICE

Introduzione p. 3

Analisi della novella ‘’Libertà’’ di Giovanni Verga p. 4

Origine del fenomeno mafioso p. 5

Rapporto tra Mafia e Fascismo p. 6

Lotta alla Mafia p. 7

 L’Inchiesta ‘’mani pulite’’ p. 7

 Maxiprocesso contro la mafia p.8

Art. 41-bis p.10

Art. 416-bis p.11

La questione meridionale e la Cassa per il Mezzogiorno p.12

Bibliografia e Sitografia p.14

Introduzione 2

Il mio elaborato tratta della criminalità organizzata.

L’organizzazione che andrò ad analizzare è la mafia nata in Sicilia e successivamente

sviluppatesi in tutto il mondo.

Analizzando l’origine del fenomeno mafioso, ho voluto soffermarmi anche sulla

questione meridionale post unità d’Italia, poiché, uno dei motivi per cui la mafia si è

sviluppata proprio in Sicilia è stato a causa della sua arretratezza economica

rispetto al nord d’Italia.

Nel analizzare il fenomeno mafioso, invece, ho deciso di concentrarmi sull’attività di

lotta alla mafia portata avanti da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Due figure che

hanno perso la vita in nome della legalità.

Per questo motivo che ho deciso di intitolare questo trattato ‘’La legalità è cosa

nostra’’ per rendere omaggio al lavoro e al sacrifico di uomini come Falcone e

Borsellino.

Entrambi hanno perso la vita per non far vincere il silenzio. È proprio il silenzio,

l’omertà, la forza più grande delle organizzazioni criminali a stampo mafioso.

‘’Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo

fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una

volta sola .’’

Giovanni Falcone

Analisi novella ‘’Libertà’’ di Giovanni Verga 3

Un autore della letteratura italiana che tratta dell’ambiente siciliano è Giovanni Verga.

Verga, nelle sue opere, cerca di descrivere l’ambiente siciliano depresso e di darne un giudizio

restando però impersonale. L’autore, quindi, fa risaltare uno scenario che porta il lettore a

esprimersi sul contesto. Per fare ciò utilizza le tecniche dell’impersonalità, dell’ideologia della roba,

dell’ideale dell’ostrica e della lotta per la vita. Un esempio di novella in cui troviamo tutte queste

caratteristiche e che tratta delle vicissitudini siciliane è ‘’Libertà’’.

La novella si svolge nel pieno del risorgimento italiano. L’episodio è quello accaduto a Bronte, un

paese agricolo della provincia di Catania, dove nell’agosto del 1860 vi fu una sanguinosa rivolta

contadina contro la mancata attuazione del decreto con il quale Garibaldi, nel giugno dello stesso

anno, durante l’avanzata dei Mille in Sicilia, aveva promesso la distribuzione delle terre demaniali

alla popolazione. Da molto tempo, infatti, i contadini erano costretti a lavorare per i Galantuomini,

la parola lavorare è quasi un eufemismo, per lo più la povera gente era sfruttata. I contadini erano

costretti a lavorare la terra giorno e notte senza ricavarci un gran

profitto. La colpa? Il latifondismo. Nell’agosto del 1860 ai

contadini fu data una lieve speranza da Garibaldi che prometteva la

fine del latifondismo, e, il decreto, emanato in precedenza,

riguardante la divisione dei beni comunali del 2 giugno sembrò

incoraggiare queste speranze. Quando, però, i contadini videro che

tali proposte non venivano attuate, l’unica soluzione per loro non fu

altro che un attacco violento. Fu con un fazzoletto a tre colori, che i

contadini iniziarono a vendicare la loro libertà. Purtroppo questa

rivolta è stata mossa dall’ignoranza e da tanta rabbia. L’impulso ha

sovrastato la diplomazia e il risultato fu una rivolta sanguinosa. Gli

artefici di tanta violenza furono padri di famiglia, giovani e anche

qualche ragazzino. I contadini non avevano ben in mente cosa

volevano ottenere da questa rivolta. Operarono in modo

disorganizzato, senza un fronte comune. Inseguito agli inizi della rivolta, Garibaldi, mandò il suo

generale Nino Bixio a ristabilire l’ordine. Il generale incuteva paura. Bastarono un uomo potente e

qualche soldato a far ritirare molti di loro, a farli ritornare sui loro passi. Riconoscere di aver

sbagliato però non fu abbastanza per il generale, occorreva

in qualche modo vendicare le morti dei nobili e l’unica

soluzione era arrestare e fucilare i contadini. Non bastò

molto, dunque, affinché la furia dei contadini fu placata.

Purtroppo la morte sia dei contadini sia dei nobili, non ha

portato nessun straordinario cambiamento, anzi la

situazione divenne peggiore di prima, infatti, i nobili

esercitarono ancora di più la loro potenza sui poveri

contadini. L’unica cosa che cambiò fu l’accettazione di

questo sistema da parte dei contadini stessi. La maggior

parte dei contadini, infatti, era gente che non poteva

permettersi di andare a scuola, e che quindi non sapeva e non capiva che la libertà non era e non è

possedere terre ma vivere in una società in cui non esistono divari tra ricchi e poveri.

Origine del fenomeno Mafioso 4

Ciò che accadde nel 1861 realizzava il sogno secolare di poeti, politici e intellettuali. La questione

meridionale esplose in tutta la sua drammaticità fin dai primi anni dell’Italia unita. Innanzitutto era

forte la delusione delle classi contadine, che avevano sperato nella riforma agraria e che avevano

visto invece rinforzata la vecchia aristocrazia latifondista.

Uno dei primi effetti fu il fenomeno del brigantaggio meridionale. Si trattò di un grave problema

dell’ordine pubblico, ma anche di un segnale del disagio con cui le regioni del Sud vivevano

l’unificazione.

Le bande dei briganti erano composte principalmente da contadini. Si trattava di un movimento che

praticava il saccheggio e la violenza, ma che aveva ampio appoggio popolare. Lo stato non era

gradito, era percepito ostile, così come il servizio militare obbligatorio e i tentativi di impartire

almeno un livello d’istruzione elementare. Tutte queste nuove iniziative erano recepite al Sud come

tentativi di impoverire il settore primario e di rubare alle famiglie bisognose braccia che

lavorassero, e non che partissero per la leva o andassero a scuola.

Nonostante una commissione parlamentare avesse prodotto analisi convincenti sulle ragioni sociali

del brigantaggio, i provvedimenti governativi si limitarono a una dura repressione.

Mentre continuava il brigantaggio e il malessere sociale, nascevano i primi movimenti di coscienza

sociale e collettiva; nel 1862, dopo un congresso operaio a Palermo nacquero i Fasci dei lavoratori.

Il movimento fu un tentativo di riscatto delle classi meno abbienti e, inizialmente era formato dal

proletariato urbano, da braccianti agricoli, minatori, e operai. Essi protestavano sia contro la

proprietà terriera sia contro lo Stato che appoggiava la classe benestante. Il movimento chiedeva

delle riforme, soprattutto fiscali e una più radicale nell’ambito agricolo, che permettesse una

revisione dei patti agrari e la redistribuzione delle terre. In questo contesto, dunque, lo Stato era

percepito come il nemico.

Si diffuse così il sistema della mafia, una sorta di contropotere locale fondato sulle clientele e

collegato ad attività illegali. La Mafia

è nata nel triangolo tra Palermo,

Trapani e Agrigento, ma il termine

‘’mafia’’ è apparso per la prima volta

nel 1862-1863, quando a Palermo fu

rappresentata la commedia: “I

mafiosi di la Vicaria”, scritta da

Giuseppe Rizzotto.

Il fenomeno mafioso si

sviluppò nel sistema

economico della Sicilia

occidentale, basato sullo

sfruttamento del latifondo. Questo sistema era organizzato secondo una struttura a piramide.

La mafia divenne un organismo sostitutivo dell’ordine legale, infatti, intervenne

nell’amministrazione della giustizia e nella gestione dell’economia. Lo spirito

mafioso è basato su un rigido codice d’onore e sull’omertà; i conflitti, la contesa, i reati andavano

regolati all’interno della comunità, facendo ricorso alla mediazione, ma anche all’intimidazione e

alla violenza. I rapporti con l’autorità dello Stato venivano condannati e veniva punito soprattutto,

anche con la morte, colui che collaborava con la giustizia. 5

La mafia, così, divenne uno dei mezzi più efficaci per il mantenimento dell’ordine e dell’equilibrio

sociale, tanto che, le autorità istituzionali si dimostrarono indulgenti nei suoi confronti

legittimandola agli occhi della popolazione. Dunque, andò formandosi uno stesso legame tra potere

mafioso e uomini politici che divenne una costante del panorama politico siciliano.

Nel primo dopoguerra la Sicilia era controllata dalla mafia che, approfittando della confusione e del

vuoto di potere seguiti alla guerra, aveva allargato la propria influenza grazie anche all’affluenza di

disertori nelle file dei briganti. La mafia rappresentò, così, uno Stato nello Stato.

Rapporto tra Mafia e Fascismo

Inizialmente mafia e fascismo collaborarono (1922-1925). Dopo di che il fascismo si dette un volto

legalitario e di rispettabilità, e non accettava più quelle collaborazioni che avevano stampi illegali.

Dopo una visita nell’isola, nel maggio del 1924, Mussolini decise di sradicare la mafia della Sicilia

ripristinando l’autorità dello Stato.

L’uomo a cui venne dato l’incarico di sradicare il fenomeno

mafioso dall’isola fu Cesare Mori. Con l’esplicito appoggio di

Mussolini, otterrà significativi risultati e la sua azione continuerà

per tutto il biennio 1926-27. I metodi attuati durante quest’azione

furono particolarmente duri e Mori non esitò a usare donne e

bambini come ostaggi per costringere i malavitosi ad arrendersi.

Centinaia e centinaia furono gli uomini arrestati e condannati.

L’azione di Mori divenne quella di colpire i veri mafiosi, i quali

appartenevano a classi sociali alte e che svolgevano,

apparentemente, attività legali. Il personaggio principale su cui

Mori indirizzò le sue indagini fu il deputato fascista Alfredo

Cucco, leader del fascismo siciliano. Mori era convinto che Cucco

aveva ottenuto dalla mafia voti, appoggi, favori e persino denaro

con cui fondare il giornale Sicilia Nuova, simbolo dell’antimafia.

A seguito di tutte le prove raccolte da Mori, Cucco venne espulso dal PNF e il Fascio di Palermo

venne sciolto. Tali fatti ottennero l’effetto di impaurire l’alta mafia e il nobilitato siciliano che

intrapresero una campagna subdola, attraverso anche lettere anonime inviate al duce, a screditare il

Prefetto mettendo in cattiva luce i suoi collaboratori e i suoi modi troppo violenti. Cucco così

diventò un simbolo, o meglio un pretesto per condannare l’opera di Mori.

Mori, dunque, divenne per il regime fascista un personaggio scomodo e dopo essere stato nominato

senatore del regno, venne sollevato dal suo incarico (1929). In questo modo venne fatto fuori un

Prefetto che era ormai diventato scomodo e pericoloso, la cui opera veniva considerata conclusa,

visto che aveva procurato al regime una comoda facciata di perbenismo e di rispettabilità di cui a

Roma si era avvertito l’urgente bisogno. Con l’opera di Mori, dunque, sembrava che la mafia non

rappresentava più nessun problema. Invece la realtà era che la mafia non era affatto morta, si era

nuovamente istituzionalizzata. Se tanti briganti e piccoli delinquenti erano stati rinchiusi nelle

carceri o mandati al confino, gli esponenti dell’alta mafia, se non emigrarono in America, aderirono

in blocco al fascismo, sicuri di poter proseguire nei loro affari e nei loro traffici una volta che la

Sicilia era stata liberata dall’incubo Mori. 6

Lotta alla Mafia

Dopo la seconda guerra mondiale le famiglie appartenenti alla mafia siciliana iniziarono a farsi

guerra tra di loro, difatti queste faide furono chiamate “Prima guerra di mafia” e “Seconda guerra di

mafia”. Queste lotte furono fatte per conquistare il controllo del territorio siciliano e si lasciarono

alle spalle una scia di sangue che colpì non solo i membri delle cosche mafiose, ma anche

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