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Introduzione Comunicazione senza confini tesina
Nella mia tesina ho voluto affrontare il tema della comunicazione. All’apertura del III millennio la nostra società si trova in una situazione completamente rivoluzionata rispetto a quella in cui si trovava un secolo fa o anche solo rispetto a quella di 20/30 anni fa.
Tra i fattori che hanno maggiormente influenzato questa grande evoluzione della nostra società vi è certamente una maggiore circolazione delle idee: questa diffusione è stata sicuramente aiutata dallo sviluppo e dalla capillare affermazione di nuovi mezzi di comunicazione di massa come la televisione o internet1.
In particolare quest’ultimo, nato sul finire degli anni Sessanta negli Stati Uniti come rete di connessione tra le maggiori università, ha assunto le forme che noi conosciamo solo agli inizi degli anni Novanta (nel 1991 per la precisione) grazie al lavoro dei ricercatori del CERN di Ginevra: a partire dall’inizio del XXI secolo ha avuto un’esplosione con un aumento esponenziale del numero degli utenti attivi: al giorno d’oggi rappresenta il maggiore sistema di comunicazione di massa e secondo una ricerca condotta dal portale “We Are Social” ha raggiunto 2,5 miliardi di persone nel mondo con una diffusione del 35%.
La diffusione di questo nuovo mezzo di comunicazione, oltre a giocare un ruolo fondamentale nella circolazione delle notizie (basti pensare all’esempio della Primavera Araba che ha coinvolto paesi quali Tunisia, Egitto e Libia e dei quali siamo venuti a conoscenza solo grazie a social network come Facebook, Twitter e Youtube che ci hanno fornito cronache e immagine degli eventi) è molto utile anche per la diffusione di nuove idee e per la creazione di una cultura di massa.
Lo scopo di questa tesina di maturità pluridisciplinare è quello di portare avanti uno studio sul ruolo che hanno ricoperto nella storia e ricoprono tutt’ora l’utilizzo di linguaggio universale di comunicazione e i sistemi di comunicazione di massa per una più ampia circolazione di idee e teorie e gli effetti che questi hanno esercitato sulla popolazione.
All’interno di questo mio lavoro si potrà quindi vedere il ruolo che svolsero la matematica e l’arte come linguaggi di comunicazione di massa, come un controllo della comunicazione può portare all’ascesa dei totalitarismi (come avvenuto nella prima metà del XX secolo con l’ascesa delle figure di Mussolini, Hitler e Stalin e come esasperato dallo scrittore inglese George Orwell all’interno del suo maggiore romanzo “1984”) oltre che un’analisi delle teorie sulla comunicazione portate avanti dal sociologo canadese Herbert Marshall McLuhan.
Collegamenti
Comunicazione senza confini tesina
Latino - Apuleio.
Matematica - Geometrie non euclidee.
Storia dell'Arte - La Pop Art.
Italiano - Le Neoavanguardie.
Storia - La comunicazione nei totalitarismi.
Inglese - 1984 e il ruolo della comunicazione.
Filosofia - McLuhan e le teorie sulla comunicazione.
Letteratura latina
Uno dei primi esempi di contesto globalizzato in cui le idee circolavano in modo molto rapido che
possiamo trovare nella storia è quello dell’Impero Romano.
L’Impero Romano era infatti una vastissima entità territoriale (Nel II secolo arrivò a raggiungere
l’estensione massima di circa 6 milioni di chilometri quadrati) che si estendeva dall’ arcipelago
Britannico alla Palestina, dall’Africa Settentrionale alla Tracia, l’attuale Romania, e che arrivò a
contare, secondo alcune stime approssimative, anche una popolazione di 80/100 milioni di
abitanti.
Attraverso l’espansionismo romano, nelle provincie venivano introdotti tutti gli elementi che
contraddistinguevano la civitas romana: dalla lingua alla moneta, dall’urbanistica alla legge fino
ad arrivare alla religione, con annesso il culto dell’imperatore.
Tuttavia non è corretto dire che i romani imposero alle provincie conquistate la loro religione: i
popoli dominati erano infatti liberi di continuare a professare le loro antiche pratiche religiose,
purchè non mancassero di offrire sacrifici anche all’imperatore e alle divinità dello stato
considerate “ufficiali”.
Attraverso numerosi contatti che l’Impero ebbe con le sue provincie più periferiche, avvenuti
anche grazie al vastissimo sistema stradale romano, alla sicurezza delle rotte navali mediterranee
e al movimento da una zona all’ altra dell’ Impero di centinaia di migliaia di soldati, il mondo
romano subì una profonda trasformazione fino a diventare una realtà profondamente
cosmopolita soprattutto per l’influenza dilagante di esperienze religiose orientali che crearono
un clima di sincretismo religioso in cui si mescolarono le divinità ufficiali con i più disparati culti, i
quali ebbero grande successo nell’Impero.
Uno dei fattori principali del successo dei culti orientali è legato all’incapacità dimostrata dal
culto dell’impero di soddisfare e tranquillizzare le ansie spirituali dei romani nella loro
espressione più intima: la religione ufficiale. Con il tempo, si era infatti cristallizzata su un rigido
formalismo rituale dove le preghiere diventavano formule, il rapporto con la divinità assumeva
le sembianze di un contratto dove si presupponeva che alla “prestazione” di un sacrificio
dovesse corrispondere meccanicamente il favore della divinità e il culto aveva un carattere
principalmente pubblico; i culti misterici orientali, invece, coinvolgevano in prima persona il
singolo individuo.
Questi culti misterici, infatti, non erano accessibili a tutti, erano coperti da un rigoroso segreto e
venivano rivelati gradualmente ai singoli fedeli, i mystai, dopo un rito di iniziazione portato avanti
tramite dei sacerdoti, i mystagogoi.
Questi culti misterici stabilivano un rapporto preciso con l’aldilà e offrivano una speranza di
riscatto attraverso un messaggio rassicurante e consolatorio: proprio per questo sono chiamati
anche culti salvifici.
I culti misterici che ebbero una maggiore diffusione a Roma furono quelli di Cibele, proveniente
dall’Asia minore, quello di Iside e Osiride (dall’ Egitto) e quello persiano di Mitra; a questi va
inoltre aggiunto un nuovo culto proveniente dalla Palestina, nato dalla predicazione di Gesù e
che per molto tempo non era stato considerato che una delle varie sette ebraiche con forti 5
tendenze mistiche: il Cristianesimo, il quale cominciava ad emergere sempre di più a livello socio-
culturale, anche se in maniera meno decisa rispetto a quanto accadrà negli anni successivi, in
particolare tra il III e il IV secolo.
Nella storia della letteratura latina, l’autore che meglio rispecchia questa situazione di
sincretismo è Apuleio.
Delle vicende biografiche di questo autore, che può essere considerato come il personaggio più
poliedrico e affascinante dell'età degli Antonini, conosciamo molto poco: presumibilmente il suo
nome era Lucio, mentre sappiamo con certezza che nacque a Madura, in Africa, intorno al 125
a.C. e che compì degli studi in vari ambiti (dal latino al greco, dalla retorica alla musica, dalla
filosofia alla geometria) sia a Cartagine che ad Atene.
Attraverso i viaggi che portò avanti durante la sua giovinezza, venne a contatto e si fece iniziare
a tutti i culti, più o meno segreti, che abbondavano nel bacino del Mediterraneo: dai più noti
misteri di Eleusi, di Mitra e di Iside ad altri meno noti come il culto di Esculapio e il culto di Cabiri
a Samotracia.
La sua speranza, nel clima di ansia spirituale che permeava nei territori dell’Impero, era quella di
trovare il “Segreto delle cose” e per fare ciò si avventurò fino ai limiti del sacrilego.
Questa sua ansia di conoscenza, che è possibile considerare curiositas, gli procurerà anche alcuni
problemi giudiziari: mentre era sulla strada di ritorno per l’Africa, Apuleio incontrò una ricca
donna, Pudentilla, che, rimasta vedova, lo convinse a prenderla come sposa. I parenti di lei,
indispettiti dalla notizia del matrimonio, accusarono Apuleio di aver sedotto e plagiato la donna
attraverso dei poteri magici al fine di sottrargli i suoi averi e lo tradussero davanti al governatore
della provincia per un processo.
Apuleio uscì assolto da questo processo e l’arringa che produrrà per difendersi dalle accuse a lui
rivolte ci verrà tramandata con il titolo di “Apologia”.
L’opera di Apuleio che meglio evidenzia l’atteggiamento di sincretismo che pervadeva l’Impero
romano del secondo secolo è quella che è giunta a noi con un doppio titolo: “Asinus Aureus”,
come indicato da Agostino nel suo “De Civitate Dei”, o con il titolo alternativo di “Le
Metamorfosi”.
Quest’opera dovrebbe trattarsi, secondo alcune interpretazioni, dell’adattamento di un’opera di
Luciano di Samostata, il quale è possibile che abbia a sua volta rielaborato un’opera di Lucio di
Patre
Si tratta di uno dei due esempi che abbiamo, all’interno della letteratura latina, di romanzo,
insieme al “Satyricon” di Petrono, e l’unico romanzo in lingua latina giunto completo fino ai giorni
nostri.
Pur non avendo una datazione certa dell’opera, si dovrebbe trattare di uno scritto posteriore al
processo subito da Apuleio in quanto, se l’opera fosse arrivata nelle mani della accusa, sarebbe
stata una prova formidabile e quantomeno sarebbe stata citata all’interno dell’orazione di difesa.
L’opera è la storia di un uomo, chiamato Lucio, il quale, durante un viaggio di affari giunge ad
Ipata presso la casa del ricco Milone, dove viene messo in guarda contro la moglie di 6
quest’ultimo, Panfila, una famosissima maga. Dopo questo avvertimento Lucio, elettrizzato dalla
possibilità di sperimentare la magia, seduce un’ancella di Panfila e riesce ad assistere alla
trasformazione di quest’ultima in uccello attraverso un unguento. Dopo aver assistito al
miracoloso evento, Lucio chiede all’ancella di spalmarlo con lo stesso unguento, ma lei sbaglia e
trasforma Lucio in un asino il quale comunque conserva l’intelletto umano. L’ancella riferisce che
per riprendere le sue sembianze umane egli dovrà mangiare delle rose e subito potrà ritornare
normale.
La parte centrale dell’opera è formata da tutte le peripezie che l’asino aureo, in riferimento alla
sua intelligenza o al colore del suo manto, deve affrontare per giungere presso un cespuglio di
rose ed assumere di nuovo le sembianze umane; in particolare, viene venduto molte volte,
venendo utilizzato per molteplici scopi, dalla macina agli spettacoli circensi, fino ad essere
acquistato da un vecchio pederasta dedito al culto di Cibele.
La svolta finale della storia avviene però tra la fine del libro X e l’inizio del libro XI: l’asino riesce
infatti a sfuggire ad uno degli spettacoli a cui lui era costretto e, caduto nel sonno esausto, gli
appare in sogno la dea Iside che gli svela come porre fine ai suoi tormenti. Il giorno seguente si
sarebbe svolta infatti la festa dedicata alla dea e Lucio si sarebbe dovuto avvicinare al sacerdote
e avrebbe dovuto mangiare i petali delle rose che compongono la sacra ghirlanda e per
riprendere all’istante le sue sembianze umane.
"(…) Io sono la genitrice dell’universo, la sovrana di tutti gli elementi, l’origine prima dei secoli, la
regina delle ombre, la prima dei celesti; io riassumo nel mio volto l’aspetto di tutte le divinità
maschili e femminili: sono io che governo col cenno del capo le vette luminose della volta celeste, i
salutiferi venti del mare, i desolati silenzi dell’Averno. Indivisibile è la mia divina essenza, ma nel
mondo io son venerata ovunque sotto molteplici forme, con riti diversi, sotto differenti nomi.
Perciò i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano madre degli Dèi, adorata in Pessinunte; gli
Attici autoctoni, Minervia Cecropia; i Ciprioti bagnati dal mare, Venere di Pafo; i Cretesi abili arcieri,
Diana Dictinna; i Siciliani trilingui, Proserpina Stigia; gli abitanti dell’antica Eleusi, Cerere Attea;
alcuni, Giunone; altri, Bellona; gli uni, Ecate; gli altri, Rammusia. Ma le due stirpi degli etiopi, gli uni
illuminati dai raggi nascenti del sole all’alba, gli altri da quelli morenti al tramonto, e gli Egiziani cui
l’antico sapere conferisce potenza, mi onorano con riti che appartengono a me sola, e mi
chiamano, col mio vero nome, Iside Regina. (…)”
Questa presentazione che la dea Iside fornisce di se stessa nel momento in cui appare in sogno
al protagonista Lucio è uno dei passi dell’opera dove meglio viene posta in evidenza la
problematica del sincretismo religioso che coinvolgeva l’ambiente romano in quel periodo: viene
infatti evidenziato da Apuleio come l’attuale culto della dea Iside derivi dall’unione di varie
correnti religiose che convergevano in una sola figura.
Il culto originario di Iside nasce in Egitto dove tre secoli prima della nascita di Cristo, sotto la
dominazione dei greci, assume molti aspetti della religione di questi ultimi e passa dall’essere
una religione comunitaria ad essere un culto legato alla salvezza del singolo che prometteva
all’individuo l’immortalità. 7
Con l’inglobamento dell’Egitto da parte dell’Impero Romano avvenuto sotto Augusto, il culto
isiaco prende piede a Roma e nell’impero dove si diffonde molto rapidamente grazie alla sua
azione missionaria: si arrivò addirittura a pensare che, nella seconda metà del II secolo, sarebbe
dovuto diventare il culto più diffuso a Roma.
In questo periodo, per tutti gli adepti di Iside, gli dei del pantheon greco-romano confluirono
nella dea, erano considerati delle sue manifestazioni; per questo la dea veniva anche chiamata
“Iside dai mille nomi”.
Una volta sveglio, Lucio segue le indicazioni della dea e riesce a ritornare umano. A questo punto
la sua vita prenderà una svolta: Lucio diventerà prima un adepto di Iside, poi di Osiride:
quest’ultima parte del romanzo si svolge in un clima di forte suggestione mistica ed iniziatica.
Infatti in quest’ultima parte del testo non vi sono più delle semplici allusioni ai misteri isiaci, ma
all’interno di esso vi sono addirittura descritte nei minimi dettagli, nei limiti della segretezza, le
cerimonie di iniziazione alla dea.
Secondo coloro i quali insistono sull’interpretazione delle “Metamorfosi” come un libro di
misteri, l’ultimo libro getterebbe luce sulle vicende narrate in precedenza: secondo questa
visione l’opera si tratterebbe infatti dell’allegoria dell’espiazione compiuta dal narratore
(Apuleio) per giungere alla verità redentrice del culto isiaco, del quale il romanzo di Apuleio è una
delle poche fonti a nostra disposizione.
Secondo un’altra interpretazione, invece, il decimo libro sarebbe un’appendice slegata ed
artificiosa rispetto all’elemento comico e ludico che pervade i primi dieci libri del romanzo.
Coloro che sostengono questa visione dell’opera apuleiana farebbero leva sul presupposto cui
invita l’autore nell’apertura del libro: << Lector intende: laetaberis>>, che tradotto letteralmente
sarebbe <<Lettore, presta attenzione: ti divertirai>>.