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Introduzione Civiltà greca tragica - Tesina
La seguente tesina di maturità descrive la civiltà greca tragica che ha avuto sin dalle origini un rapporto complesso con la conoscenza. L’uomo vede, soffre e conosce. La vista è sorgente di sapere ma allo stesso tempo fonte di orrore e violazione, è strumento di autorità e potere, e insieme senso ingannevole e superficiale. D’altra parte il dolore è annullamento e alienazione ma anche forgiatore di identità: è attraverso la sofferenza dell’azione che l’eroe greco sa di esistere e comprende di essere umano. Un approccio razionale e scientifico verso il sapere è sempre affiancato da una tensione violenta e irrazionale verso il dolore: l’occhio e la lacrima diventano i simboli del processo gnoseologico. Intendo mostrare, analizzando in particolare la tragedia di Edipo, come questi due elementi antitetici trovino unione nella cecità, espressione massima della tragicità dell’esistenza greca. Lo sguardo velato dalle lacrime è per l’individuo una meta, una condizione in cui ciò che agisce è la memoria e l’introspezione, l’isolamento: una nuova dimensione estetica e gnoseologica fatta di buio e silenzio. La tesina permette dei collegamenti anche con le altre materie scolastiche.
Collegamenti
Civiltà greca tragica - Tesina
Greco -
La gnoseologia tragica greca: tra Apollo e Dioniso, occhi e lacrime per la cecità. Il mito di Edipo come archetipo della visione
.Filosofia -
Le riflessioni e pensiero di F. Nietzsche (La nascita della tragedia dallo spirito della musica); G. Bataille e l'accesso all'osceno; J. Deridda e il ruolo delle lacrime nella cecità
.Storia dell'arte -
I quadri e fotografie sul tema dell'occhio e della cecità (da Michelangelo a Magritte)
.2
Abstract
La civiltà greca tragica ha avuto sin dalle origini un rapporto complesso con la conoscenza. L’uomo
vede, soffre e conosce. La vista è sorgente di sapere ma allo stesso tempo fonte di orrore e violazione,
è strumento di autorità e potere, e insieme senso ingannevole e superficiale. D’altra parte il dolore è
annullamento e alienazione ma anche forgiatore di identità: è attraverso la sofferenza dell’azione che
l’eroe greco sa di esistere e comprende di essere umano. Un approccio razionale e scientifico verso il
sapere è sempre affiancato da una tensione violenta e irrazionale verso il dolore: l’occhio e la lacrima
diventano i simboli del processo gnoseologico.
Intendo mostrare, analizzando in particolare la tragedia di Edipo, come questi due elementi antitetici
trovino unione nella cecità, espressione massima della tragicità dell’esistenza greca. Lo sguardo velato
dalle lacrime è per l’individuo una meta, una condizione in cui ciò che agisce è la memoria e
l’introspezione, l’isolamento: una nuova dimensione estetica e gnoseologica fatta di buio e silenzio.
Tragic Grecian culture has had a complicated relation with knowledge since its origins. The human
being sees, suffers and therefore learns. Sight is a source of knowledge but it is a cause of horror and
transgression at the same time, it is an instrument of authority and power but also a misleading and
superficial sense. On the other hand, pain means annihilation and alienation but it is a way to mould
one’s identity as well: through sorrow caused by action, the ancient Greek hero understands that he
lives and that he is human. A rational scientific approach to knowledge is always linked with violence,
irrationality and pain: this is why eyes and tears become a symbol of the gnoseological process.
By analysing Oedipus’ tragedy in particular, I mean to show how these two antithetical elements can
be united by blindness, which is the highest expression of the tragedy of human existence. Eyes veiled
by tears are therefore an aim, a condition in which memory, introspection and isolation are essential: a
new gnoseological and aesthetic dimension made of darkness and silence. 3
Indice
I. L’irrazionale non visivo-dionisiaco e il razionale visivo-apollineo come caratteri antitetici e
complementari della Grecia tragica:
l’Apollo dell’ ἰδεῖν
• il Dioniso del µύειν
•
II. Vista sensibile e vista intellegibile, visioni discordi e inconciliabili. Il primato della cecità
III. I ciechi antichi tra storia e mito
IV. Edipo, l’archetipo della visione tragica. Da eroe intellettuale a eroe sofferente:
l’eroe intellettuale
• l’eroe sofferente
•
V. κοὐδὲν ὄψεως δεινότερον. La violenza della visione nella Grecia tragica
VI. Occhi piangenti. Il velo di lacrime come simbolo della conoscenza tragica 4
L’IRRAZIONALE NON VISIVO-DIONISIACO E IL RAZIONALE VISIVO-APOLLINEO
1
COME CARATTERI ANITITETICI E COMPLEMENTARI DELLA GRECIA TRAGICA
Alle basi della civiltà greca e della conoscenza antica c’è, in controluce, un duello tra Dioniso, il dio
della maschera e del sogno, e il suo "altro”, il fratellastro Apollo, il dio della luce e dello sguardo.
Sebbene l’importanza che i Greci riconoscono allo sguardo giochi un ruolo fondamentale nel loro
approccio al mondo, è innegabile una tensione verso la profondità (τὸ βαθός) della realtà, oltre i veli
che celano l’invisibile.
La tragicità greca dell’esistenza consiste proprio nel contrasto tra un “approccio leggero” alla
conoscenza, uno sfiorare le cose con la vista superficiale, e una immersione violenta e sublime nelle
stesse.
Cogliere l’invisibile significa perdere la leggerezza e la sicurezza legate alla vista e uscire da una
struttura per entrare in un nuovo mondo. Tale azione diventa trasgressione e colpa. Valicare i confini
della vista è un gesto oltraggioso, e spesso punito, ma essenziale per conoscere.
La fiducia nello sguardo e nel sensibile non è sufficiente: gli occhi aperti sono fallaci, chiusi invece
raggiungono il sapere.
Nietzsche parla di un conflitto costruttivo tra Apollo e Dioniso, una guerra degli occhi e una scena
sublime tra nemici; l’esistenza dell’uomo greco, e quindi la sua conoscenza, hanno origine da
un’unione di questi due elementi: l’ottimismo razionale e oculare apollineo, la fame narcisistica
dell’occhio per l’immagine, e la naturale disposizione al sentimento irrazionale e ab-oculare
2
dionisiaco: l’occhio di Apollo, la lacrima di Dioniso.
Questa condizione pretende che si crei un legame doppio tra due realtà incommensurabili e opposte,
quella del visibile e quella dell’invisibile, quella del razionale e quella dell’irrazionale. Per un popolo
che mette in relazione il conoscere al vedere il rapporto con la verità diventa tragico: il processo di
apprendimento è svelamento sofferto di ciò che è nascosto agli occhi, è riconoscimento
dell’incompletezza e impotenza della propria vista, è conflitto di opposti complementari.
1 Con l’ espressione “Grecia tragica” si vuole mettere in risalto la duplicità della coscienza greca, che trova la sua massima
espressione nella tragedia. Una lacerazione tra tensioni opposte, in continuo conflitto, ha originato il sublime di questa
civiltà: passato-presente, uomini-dei, autodeterminazione-destino, φύσις-νόµος, vita-morte, individualità-società, pianto-
riso, sogno-realtà, ragione-irrazionalità, luce-buio, vista-cecità.
J. W. Goethe stesso definisce così il concetto di tragico: “Ogni tragicità è fondata su un conflitto inconciliabile. Se
interviene o diventa possibile una conciliazione, il tragico scompare”. (W. Goethe, Colloqui con Eckermann, 6 giugno
1824)
2 A proposito del rapporto armonico e contrastante tra Apollo e Dioniso, creatore del sublime tragico, è di fondamentale
importanza il saggio giovanile di F. Nietzsche, La Nascita della Tragedia dallo Spirito della Musica. 5
M. C. Escher, Vincolo d’unione, 1956, collezione privata 6
ἰδεῖν
L’ APOLLO DELL’ 3
Vedere per i Greci è sapere, essi sono il “popolo dell’occhio”. Una fame per la realtà visibile li
caratterizza, sono grandi osservatori, esteti, artisti, affidano al senso della vista la loro conoscenza, la
4
loro sicurezza, il loro ottimismo. Sono gli uomini fuori dalla caverna di Platone , quelli che non
rinunciano alla vista neanche se questa è un divieto, sono Atteone di Diana, Tiresia di Atena, Orfeo
che si volta, Narciso che si specchia. Sono il popolo dell’ἰδεῖν, che è conoscere dopo aver visto, sono
il Tucidide della storia come autopsia, sono gli architetti che privilegiano la parte frontale, visibile,
degli edifici e non ornano gli altri lati.
Non è allora un caso che il concetto di bello e buono sia un aspetto determinante nel pensiero di una
5
cultura che E. Dodds sapientemente definisce shame culture: una civiltà di uomini che giudicano
dalle apparenze e odiano essere visti nella vergogna, che agiscono per la visibilità, per la fama.
Affascinati e turbati dalla visione propria e dell’altro, è attraverso l’occhio che essi entrano in contatto
con la natura e con la società.
Se da una parte quindi la vista dà potenza e sicurezza ai Greci, dall’altra lo sguardo altrui risulta
violento e incute timore, sorveglia, uccide. Si pensi solo al mito di Perseo e all’importanza
dell’elemento visivo nella vicenda. L’eroe incontra prima le Graie, sorelle-guardiane delle Gorgoni,
con un solo occhio in comune, sempre aperto, simbolo della vigilanza e del potere; poi sconfigge,
senza guardarla in volto, usando uno specchio, Medusa, essere δεινός il cui sguardo calamitico
pietrifica.
In conclusione, quello che si può notare è un rapporto fortissimo con la sfera della vista e degli occhi,
fonti del pensiero, dell’esistenza, della conoscenza, della bellezza, della fama, ma allo stesso tempo
nuclei d’origine dell’orrore, della vergogna, della trasgressione, del dolore.
3
R. Peregalli, La corazza ricamata. I Greci e l’invisibile, cit., p. 7.
4 Il mito della Caverna, contenuto nel VII libro della Repubblica di Platone (514 b – 520 a), è un‘allegoria efficace e
profonda della condizione umana e della tragicità della sua conoscenza. Il passaggio dal buio alla luce è una meta sofferta
e difficile da raggiungere. Questa metafora della gnoseologia greca nell’età platonica rivela perfettamente il “desiderio
della luce” e la brama di un “vedere scientifico” propria degli uomini greci di Apollo.
5 E. R. Dodds, I Greci e l’irrazionale. 7
R. Magritte, Il falso specchio, 1928, New York, Museum of Modern Art 8
µύειν
IL DIONISO DEL
Nonostante l’occhio assuma una posizione di primaria importanza nella civiltà greca, esiste
un’ulteriore sfera conoscitiva e d’azione che mette in evidenza i limiti dello sguardo e la doppiezza di
un popolo quanto mai complesso e affascinante: è l’invisibile irrazionale.
I Greci sono anche indovini, aedi ciechi, poeti invasati delle Muse, sono il popolo del vino e dei riti
dionisiaci, la civiltà del πάθος e del pessimismo tragico, un popolo che compie sogni premonitori,
pellegrini che intraprendono interminabili viaggi verso gli “oracoli delle montagne”, in cerca
dell’approvazione del divino.
Un’espressione interessante del concetto di conoscenza irrazionale greca sono i Misteri. Feste notturne
legate al divino, in stretto collegamento con Dioniso, il dio irrazionale dell’illusione, diventano il
luogo degli specchi, delle maschere, dei veli, il luogo dell’ostacolo, della deviazione,
dell’annullamento della vista sensibile razionale. Si svolgono due volte all’anno in primavera e in
autunno, con luna calante, e creano un’atmosfera onirica portatrice di emozioni e sentimenti violenti,
generatrice di una più profonda sensibilità, percezione.
L’etimologia della parola rimanda al verbo µύειν il cui significato è “chiudere gli occhi”: i Μυστήρια
hanno inizio per il µύστης nel momento in cui egli chiude gli occhi per essere assorbito nella propria
oscurità, è un ingresso nel buio, è cecità. Ha inizio un viaggio che conduce l’iniziato nelle tenebre e lo
fa accedere ad una realtà altra. Egli è velato, il velo gli chiude lo sguardo, il buio è sovrano. Il velo
risulta la membrana attraverso cui l’essenza nascosta delle cose si manifesta visibile.
Elemento imprescindibile della sfera conoscitivo-estetica dell’invisibile è la cecità, condizione
determinante e affascinante della civiltà greca, che rivela nella sua natura di privazione e vantaggio
una nuova modalità di conoscenza, più irrazionale e interiore, più profonda e ab-oculare. 9
J. H. Füssli, Il silenzio, 1799-1800, Zurigo, Kunsthaus 10
VISTA SENSIBILE E VISTA INTELLEGIBILE, VISIONI DISCORDI E INCONCILIABILI
IL PRIMATO DELLA CECITÀ
Gli uomini non possono detenere il vedere se non in forma parziale, imperfetta: la vista sensibile non
può essere contemporanea e accordata con la vista intellegibile; la capacità di vedere con gli occhi è
antitetica e discorde alla profonda conoscenza non-sensibile. Nel binomio antitetico luce-buio è
concentrato tutta il dramma umano che è un ondeggiare continuo tra oscurità e illuminazione.
Fra le modalità di vedere rappresentate reciprocamente dallo sguardo e dall’interiorità è presente un
rapporto di mutua esclusione, in assenza di uno esiste l’altro, ma non convivono mai insieme
nell’uomo. Sarebbe troppo grande, e sovra-umana, la potenza di una doppia visione. Gli uomini non
possono sostenere contemporaneamente la vista del visibile e quella dell’invisibile.
La cecità allora non è mai assoluta perdita o privazione ma anzi è il simbolo del possesso di un dono
ad altri proibito. I ciechi vedono un’altra dimensione del tempo che è quella futura, quella storica della
memoria del passato e mai quella del presente. La cecità vede l’invisibile agli occhi.
Essere ciechi non è altro che una nuova modalità di vedere non sensibile ma intellegibile. Poiché