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Sintesi
Finanze: il sistema tributario italiano (evoluzioni e riforme)

Diritto: dalla prima alla seconda Repubblica italiana

Inglese: the situation of England after the first war world

Economia aziendale: l'evoluzione del sistema distributivo in Italia

Geografia economica: i cambiamenti climatici
Estratto del documento

Voce del verbo

cambiare:

mutamenti nella

storia

Tesina di

Federica Giacomini

Istituto Tecnico Economico Statale R. Valturio

Anno Scolastico 2010/2011 Indice

Prefazione

 Finanze:

 il sistema tributario italiano, le evoluzioni e le riforme............................. Pag. 3-4-

5

Diritto:

 dalla prima alla seconda repubblica italiana................................................ Pag. 5-6

Inglese:

 the situation of England after the First War World..................................... Pag. 6-7

Economia aziendale:

 evoluzione del sistema distributivo in Italia.......................... Pag.

7-8-9

Geografia economica:

 i cambiamenti climatici........................................................ Pag.

9-10 Prefazione

“ Tutto cambia. C’è poco da fare.

Nel bene o nel male le cose mutano e non c’è nulla, davvero nulla che si

possa fare per evitarlo.

Cambiano le situazioni, cambiano le persone, cambia il tempo e anche lo

spazio. Credo cambi anche l’affetto e l’amore che si prova per una

persona. Non può rimanere immutato e costante. Ci saranno sempre

degli istanti in cui l’affetto è più forte o meno dell’istante passato o di

quello che arriverà.

E anche se a me i cambiamenti, soprattutto quelli imposti da altri, poco

piacciono, anche se fatico ad adeguarmi al mutare delle cose in modo

repentino, sono consapevole del mutamento.

Non so perché mi faccia tanto paura o perché io lo detesti, non so perché

mi crea scompiglio, ma sono consapevole che è un fattore che è

immutabile.

Il cambiamento è immutabile.

Il cambiamento probabilmente è l’unica cosa che non cambierà mai. “

Be the change you wish see in the world... - Ghandi -

Finanze

Il sistema tributario italiano, le evoluzioni e le riforme

I l sistema tributario di un paese è strettamente legato a tutto il sistema politico-economico del

paese stesso, quindi la sua evoluzione è da studiare in relazione alle vicende storiche del paese.

Il sistema tributario del 1846. Dopo l’unità d’Italia, sorse il problema di distribuire

uniformemente il carico tributario in tutto il territorio. Per quanto riguarda le imposte dirette vi

erano due tributi paralleli: l’imposta fondiaria basata sull’estensione del terreno da tassare e

l’imposta di ricchezza mobile basata sui redditi di capitale, redditi d’impresa, di lavoro autonomo e

di lavoro dipendente. Successivamente l’imposta fondiaria si divise in rendita dei fabbricati e

rendita dei terreni. In tal modo, pur distinguendo l’imposta da pagare per i terreni coltivati da quella

dei terreni edificati, restava sempre l’incongruenza della stessa imposizione fiscale, sia per il terreno

fertile che dava molti frutti, che per quello incolto o che produceva pochi frutti: nacque così la

nuova imposta sul reddito agrario.

Le imposte indirette erano numerose e colpivano tutti i trasferimenti di beni e servizi e tutti i

consumi (compresi quelli primari).

L’esigenza di un’immediata riforma fu sentita da tutti i politici ed economisti del tempo. Il progetto

Meda (dal nome dell’allora ministro delle finanze) prevedeva una imposta progressiva da calcolare

sulla totalità dei redditi e delle ricchezze di ogni soggetto. Tale riforma ricominciò a realizzare nel

1923 con la Riforma De Stefani, secondo cui, pur mantenendo la quasi totalità delle imposte

esistente, se ne aggiunse una nuova, l’imposta complementare che doveva imprimere il carattere di

progressività al sistema perché calcolata sul reddito complessivo delle persone fisiche. Tale

imposta, fu sostituita nel 1940 dall’ Imposta Generale sull’Entrate (IGE) che colpiva tutte le

cessioni dei beni e servizi, ma era calcolata sul valore pieno del bene stesso per cui, dopo numerosi

passaggi dal produttore al consumatore finale, il bene veniva tassato numerose volte creando

notevoli incrementi di prezzi con conseguenti distorsioni del sistema economico del paese. Nel

1945 (immediato dopoguerra)la situazione in cui versava l’Italia era notevolmente disagiata.

L’economia era in piena crisi ed il sistema di imposizione fiscale era basato in gran parte su

numerose imposte indirette e non sul sistema della progressività, per cui gli scambi commerciali

venivano ulteriormente frenati. Nacque la nuova imposta sulle società, proporzionale al patrimonio

netto e furono rese progressive anche le vecchie imposte sul reddito e d’impresa, di lavoro

autonomo e di lavoro dipendente. Il metodo d’accertamento e di riscossione era totalmente

inadeguato, tanto che le imposte accertate (dal fisco o volontariamente dal contribuente) venivano

iscritte a ruolo e vi restavano fino a nuovo accertamento. Nel 1951 la riforma Vanoni introdusse

l’obbligo della dichiarazione annuale, unica e analitica avente per oggetto tutti i redditi posseduti

dal contribuente. Tale dichiarazione, obbligatoria per tutti, eliminava il ricorso al sistema indiziario

che era strumento per perpetrare abusi e sperequazioni a danno di talune persone e a vantaggio di

altre. Furono ridotte alcune aliquote e furono affinati gli strumenti di imposizione e controllo ma

non vi fu una vera riforma del sistema tributario.

Il boom economico successivo agli anni ’60, la partecipazione dell’Italia alla CEE, e l’art. 53 della

Costituzione (che imponeva il pagamento delle imposte secondo la capacità contributiva di ogni

cittadino), resero necessaria una grande riforma che prese vita nel 1971.

La riforma si propose di introdurre un sistema organico, impostato secondo un progetto unitario,

conforme ai principi costituzionali di progressività e di adeguamento alla capacità contributiva, in

linea con i sistemi tributari dei Paesi industrializzati e coerente con le direttive comunitarie. Il

sistema delle imposte dirette fu fondato su due imposte personali sul reddito globale: l'imposta sul

reddito delle persone fisiche ( Irpef ) e l'imposta sul reddito delle persone giuridiche ( Irpeg ). Fu

poi prevista una discriminazione qualitativa della ricchezza mediante l'introduzione di un'imposta

sui redditi patrimoniali e d'impresa ( Ilor ) e di un'imposta sugli incrementi di valore degli immobili

( Invim ), mentre l'imposizione generale sugli scambi fu realizzata mediante l'istituzione di

un'imposta sul valore aggiunto ( Iva ).

Fu ridotto il numero delle imposte indirette sui consumi e sui trasferimenti precedentemente vigenti,

furono revisionate quelle rimaste in vigore e si instaurò un sistema di rigido centralismo fiscale con

la soppressione di quasi tutti i tributi autonomi locali.

La riforma del 1971 avrebbe dovuto dare vita a un sistema di prelievo equo, chiaro, semplice ed

efficiente. Ma questi obiettivi furono raggiunti solo parzialmente.

L'imposizione presentava lacune e scarsa certezza, rendendo possibili fenomeni diffusi di evasione

ed elusione. Nel tentativo di porre rimedio alle più evidenti carenze del sistema, negli anni Settanta

e Ottanta vi fu una lunga serie di parziali modifiche che si sovrapposero in modo disordinato e

frammentato rendendo la normativa fiscale estremamente farraginosa ed incerta.

Intanto, nei venti anni successivi alla riforma, il

quadro economico e istituzionale del nostro Paese

subiva profondi cambiamenti: mutava la realtà

economica perchè l'Italia faceva ormai parte del

gruppo dei Paesi più industrializzati, mutava anche

il quadro istituzionale, perchè a un sistema

amministrativo fortemente centralizzato si andava

sostituendo un nuovo assetto fondato sul

decentramento e sul rafforzamento delle autonomie

regionali e locali.

Il sistema tributario nato dalla riforma degli anni

Sessanta era ormai inadeguato rispetto alle

esigenze della crescita, della competitività, del

funzionamento dei mercati e del decentramento politico e amministrativo. A metà degli anni

Novanta le carenze del sistema fiscale emergevano ormai con chiarezza e divenne urgente l'esigenza

di un'organica revisione del sistema tributario. Così, nel 1997 fu attuta una revisione del sistema

fiscale per renderlo più adeguato alle nuove esigenze; le innovazioni più importanti furono: - il

rafforzamento dell'autonomia impositiva delle Regioni mediante l'istituzione dell'Irap e di altri

tributi autonomi regionali, con la contemporanea abolizione dell'Ilor e di altri tributi, - il riordino

del sistema dei tributi locali rappresentati principalmente dall'Ici, - la dichiarazione unica per le

imposte sui redditi, l'Iva e l'Irap, con versamenti unitari e con la compensazione fra le somme a

debito e le eccedenze a credito.

Ma nell'anno 2003 si volle ristrutturare l'ordinamento tributario. Questa riforma si riferiva ai

tributi erariali, per quanto riguarda i tributi degli enti territoriali era prevista soltanto la graduale

soppressione dell'Irap. Il sistema delineato dalla legge delega era costituito da cinque imposte:

 l'imposta sul reddito ( Ire ), destinata a sostituire l'Irpef e applicabile, oltre che alle persone

fisiche, anche agli enti non commerciali;

 l'imposta sul reddito delle società ( Ires ), che è entrata in vigore il 1° gennaio 2004 con la

contestuale abolizione dell'Irpeg;

 l'imposta sul valore aggiunto ( Iva ), l'unico tributo di cui la legge delega non ha disposto

l'abolizione;

 l'imposta sui servizi, destinata a sostituire con un'unica forma di prelievo tutte le attuali

imposte indirette sui trasferimenti e gli affari;

 l'accisa, destinata a realizzare l'accorpamento delle attuali imposte di fabbricazione e di

consumo.

La riforma prevista dalla legge n. 80/2003 ha avuto piena attuazione soltanto nella parte riguardante

l'Ires e il trattamento fiscale dei redditi di capitale e di impresa.

Diritto

Dalla prima alla seconda repubblica italiana

L a storia italiana dal dopoguerra è stata caratterizzata da continui cambiamenti che hanno

riguardato sia i partiti di governo sia i modelli di governo. Si possono individuare

fondamentalmente due periodi: dal 1948 al 1992 e dal 1992 fino ad oggi.

Nel primo periodo, le principali caratteristiche del sistema di governo italiano sono state le

seguenti:

 l'instabilità. I governi in Italia hanno avuto per lo più una

vita molto breve. Nelle prime 11 legislature ( 1948-1992 )

ci sono stati 45 governi in 44 anni: la durata media dei

governi è stata quindi inferiore all'anno

 la continuità. Benchè i governi siano cambiati spesso,

essi sono stati formati dagli stessi uomini e dagli stessi

partiti. Il maggiore partito italiano ( la Democrazia

Cristiana ) è stato sempre e ininterrottamente al governo,

alleandosi di volta in volta e alternativamente con altri

quattro partiti. Il secondo partito italiano ( il Partito

Comunista ) non è mai entrato in nessun governo. Non si

è, in altre parole, mai realizzata l'alternanza al governo tra

maggioranza e opposizione come è invece avvenuto nello stesso periodo negli altri paesi

europei.

Nel secondo periodo la situazione è cambiata. Nuovi partiti e nuovi esponenti politici sono entrati in

scena e si è verificata per quattro volte l'alternanza al governo: nel 1994 la coalizione di destra ( il

Polo delle libertà ) ha vinto le elezioni ed è andata al governo; nel 1996 lo stesso è accaduto alla

coalizione di sinistra ( l'Ulivo ); nel 2001 la coalizione di destra ( la Casa delle libertà ) è ritornata al

governo; nel 2006 la maggioranza è andata alla coalizione di centro-sinistra ( l'Unione ), mentre il

centro-destra è tornato al governo nel 2008. a

Nell'ultimo periodo anche la stabilità del governo è complessivamente migliorata. Per tutta la 14

legislatura ( 2002-2006 ) è rimasto in carica un solo presidente del consiglio ( Silvio Berlusconi )

che ha presieduto due governi ed oggi è al terzo anno di governo.

Possiamo anche dire che nel primo periodo ha prevalso il modello di governo contrattato tra i pariti,

mentre nel secondo periodo il modello di governo eletto.

Governo contrattato. Nei paesi in cui esistono numerosi partiti e in cui nessuno di essi è in grado di

conquistare da solo la maggioranza dei seggi in parlamento per formare un governo è necessario un

accordo tra più partiti, che insieme dispongano almeno della maggioranza dei seggi in parlamento.

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