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Storia: l'imperialismo
Inglese: George Orwell (Animal Farm)
Latino: Petronio (la figura di Trimalchione)
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Tesina multidisciplinare: Avidità e sete di ricchezza dell’uomo
Edoardo Zuliani – Classe V E – Liceo Scientifico “Keplero” di Roma – Anno scolastico 2010-2011
Anno scolastico 2010 – 2011
Liceo scientifico “Keplero” Roma
24/06/2011 Pagina di
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Tesina multidisciplinare: Avidità e sete di ricchezza dell’uomo
Edoardo Zuliani – Classe V E – Liceo Scientifico “Keplero” di Roma – Anno scolastico 2010-2011
I
NTRODUZIONE
Gandhi sosteneva che:”Nel mondo c'e' quanto basta per le necessita' dell'uomo, ma
non per la sua avidità”! L' uomo, infatti, non si accontenta di ciò che possiede ma,
mira sempre ad avere di più. Il dibattito sull’avidità dell’uomo appassionò i filosofi
dell’antica Grecia come Socrate il quale, mirando a dipingere i contorni di uno stato
ideale costituito di soli uomini buoni, asseriva che il vero uomo di governo, il quale
"per sua natura non mira al proprio utile, ma a quello del suddito", deve essere privo
di vizi vergognosi come la brama di onori e appunto l'avidità di denaro. Quest' ultima
infatti domina quando "si è governati da qualcuno peggiore" e trasforma i cittadini al
potere, in mercenari e ladri. Il concetto di avidità lo ritroviamo successivamente, a
metà dell' ottocento, nel massimo esponente del Verismo italiano, Giovanni Verga.
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Tesina multidisciplinare: Avidità e sete di ricchezza dell’uomo
Edoardo Zuliani – Classe V E – Liceo Scientifico “Keplero” di Roma – Anno scolastico 2010-2011
Q “ ” V
UANDO LA ROBA IN ERGA DIVENTA RAGION DI VIVERE
Giovanni Verga è considerato il maggior esponente della corrente
letteraria del Verismo. Verga aderisce alla teoria del Darwinismo
sociale, per cui la vita è una lotta di individui che competono tra
loro per eliminarsi a vicenda. Egli vede anche il limite dello
individualismo borghese che, riducendo la vita all' aspetto
economico, non riesce a trovare valori forti. Verga, in un primo
ITALIANO momento cerca ancora una possibilità di valori alternativi nella
società arcaico-rurale della Sicilia, ma poi approda ad un
conseguente pessimismo materialistico che constata ovunque il
trionfo dell' interesse e della “roba”. Il desiderio di essa comporta
nell' uomo una alienazione che, come accade in Mastro-don
Gesualdo, lo estranea anche dalla famiglia, rendendolo solo avido
di ricchezza. Il tema della roba è presente in una delle dodici
Novelle rusticane intitolata: “la roba” e poi ripreso nel romanzo di
Mastro-don Gesualdo. Nella novella, la roba, protagonista è
Mazzarò, un contadino siciliano che a poco a poco, sacrificando
tutto alla logica economica, è diventato il maggior proprietario
terriero della regione, sostituendosi al barone. Ma il processo di
accumulazione economica si scontra con la sua sostanziale
insensatezza: di fronte alla morte, infatti Mazzarò scopre il non-
senso di una vita dedicata esclusivamente ad ammucchiare
ricchezze. In questa novella Mazzarò viene presentato come un
uomo basso e grasso come un “maiale”, metafora che rappresenta la
sua avidità di ricchezza. Come si evince in un tratto del racconto:
“Egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch'era tutto
quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti,
né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno é fatto
così, vuol dire che è fatto per la roba”; la roba è fatta soltanto per
chi è disposto a sacrificarle tutta la vita, alienandosi fino al punto di
non concedersi nessun altro affetto. Si tratta della medesima logica
autodistruttiva incarnata dal protagonista di Mastro-don Gesualdo.
Mazzarò era talmente attaccato ai suoi beni che rifiuta il denaro, in
quanto diceva “ che non era roba”. Questa roba lo aveva
ossessionato al punto tale che egli era ormai accecato da un delirio
di grandezza: “voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il
re”. La sua più grande preoccupazione era la vecchiaia. Quando
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Edoardo Zuliani – Classe V E – Liceo Scientifico “Keplero” di Roma – Anno scolastico 2010-2011
sarebbe morto non avrebbe potuto portare con sé quello che aveva
fino ad allora accumulato e questo problema lo tormentava
continuamente. Il suo attaccamento ai beni materiali è così forte che
quando verrà il momento di separarsene, poiché si trova sul punto
di morte, corre nelle sue terre come un pazzo uccidendo a bastonate
il bestiame e gridando: “Roba mia, vientene con me!”. La sua
ricchezza non riesce a riempire di significato la vita e anzi si rivela
un valore del tutto inadeguato nella prospettiva della morte. Il
protagonista di questa novella anticipa la figura di Gesualdo dello
omonimo romanzo: “Mastro-don Gesualdo”.
ITALIANO Mastro-don Gesualdo è il secondo romanzo del ciclo di vinti che
ha come protagonista Gesualdo Motta, un uomo che nel corso della
sua vita sacrifica ogni affetto a ragioni strettamente economiche
ritrovandosi alla fine schiacciato dall' aridità di cui si è circondato.
Gesualdo è soprannominato “Mastro Don” , una via di mezzo fra
“Mastro” (riservato a muratori o artigiani) e “Don”( riservato a
persone di alto livello sociale). Infatti Gesualdo da muratore
diventa imprenditore e proprietario terriero. La sua veloce ascesa
sociale, da povero muratore a ricco imprenditore, provocò le invidie
dei suoi compaesani e continue lotte per difendere i suoi averi:
“Costretto a difendere la sua roba contro tutti, per fare il suo
interesse. Nel paese non un solo che non gli fosse nemico, o alleato
pericoloso e temuto”. Infatti nel mondo della roba si riproduce la
dinamica del “bellum omnium contra omnes”, ovvero, guerra di
tutti contro tutti, che la filosofia positivistica aveva individuato
come caratteristica costante del mondo umano e naturale. Il
rapporto di Gesualdo con al roba non è solo di tipo economico, ma
soprattutto esistenziale. La roba si identifica con il sangue, con la
vita; è un mezzo di autorealizzazione e identità (“E la mia roba?”...
Non mi sono fatto da me quello che sono?”), ma anche di
alienazione. Abituato a trattare persone e sentimenti come affari,
egli pagherà con la solitudine e con l' estraneità alla sua stessa
famiglia l' alienazione nella roba. Il cancro che subentrerà alla fine,
è l' incarnazione stessa della logica del desiderio di accumulazione
di beni che ha distrutto l' esistenza del protagonista. Artefice del suo
successo, Gesualdo è allo stesso tempo artefice del suo fallimento.
Identificata la roba con la vita, nel momento in cui questa si
vanifica, Gesualdo, non sostenuto da nessun affetto, si rende conto
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dell' assurdità della sua esistenza, in cui la corsa alla roba si rivela
corsa alla morte. Come successe per Mazzarò, anche Gesualdo non
riesce a togliersi dalla testa l' idea della morte. Il vero dramma
vissuto da Gesualdo negli ultimi giorni della sua vita non è
provocato dalla paura della morte, ma dall' impossibilità di
“disporre della sua roba”. Sul suo letto, “sbuffava”, “urlava di
collera”, perchè sapeva che gli avrebbero tolto la sua roba. Ma alla
fine si rassegnò al fatto che avrebbe dovuto abbandonarla e allora
decise di lasciare tutti i suoi beni a Isabella, figlia di Bianca
(moglie di Gesualdo) che l' aveva avuta dalla relazione con il
ITALIANO cugino. Isabella era sposata con il duca de Leyra che aveva vissuto
sulle spalle del suocero, sperperando tutte le ricchezze. Infatti lo
unico rammarico di Gesualdo, nel lasciare tutto a Isabella, era il
presagio che le ricchezze, accumulate con tanto sacrificio,
sarebbero state dilapidate dal genero: “Le raccomandava la sua
roba, di proteggerla, di difenderla”: - Piuttosto farti tagliare la
mano, vedi!... quando tuo marito torna a proporti di firmare delle
carte!... lui non sa cosa vuol dire!-
Alla fine del romanzo morirà solo nella totale indifferenza; questo
perchè dall’ avidità di ricchezza non c'è salvezza. L' esistenza di
Gesualdo si esaurisce nella passione divorante per la roba, alla
quale va sacrificato ogni sentimento e porta ad una morte desolata e
solitaria. La passione per la roba si rivela, alla fine, un istinto
autodistruttivo. Il romanzo della roba è così il romanzo dello
autoannientamento. Pagina di
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L' E ' '
UROPA NELL ETÀ DELL IMPERIALISMO
Il termine “Imperialismo” fu coniato in Francia nel primo Ottocento
per definire il regime instaurato da Napoleone I. In seguito fu usato
in Inghilterra, associato all'idea di dispotismo, per indicare il regime
di Napoleone III. Infine il termine “Imperialismo” assunse il suo
significato più noto: la tendenza di una nazione ad imporre la
propria egemonia su un altro stato, influenzandolo dal punto di vista
STORIA politico, economico e sociale. Per i paesi dominanti uno degli
obiettivi principali di questo sistema era quello di ricavare dai paesi
occupati una grande quantità di materie prime. Alla fine del XIX
secolo, Europa e USA erano progrediti economicamente e
socialmente; il mutamento dovuto ai progressi nella scienza, nella
cultura, nella tecnologia, fu sbalorditivo. In Europa, tra Germania e
Gran Bretagna, nacque una sfida economica che riguardava sia il
settore industriale, sia quello commerciale. Nonostante lo sviluppo
tecnologico e economico conferisse all’ Europa una schiacciante
superiorità sul resto del mondo, nuove potenze cominciavano ad
affacciarsi sulla scena mondiale ( Usa e Giappone) ed ad ambire a
posizioni più prestigiose e di potere; ciò iniziò ad inasprire i
rapporti internazionali tra i vari stati. In questo contesto, negli anni
che vanno dal 1871 al 1914, nasce un nuovo tipo di colonialismo,
inteso come Imperialismo.
In questi anni infatti abbiamo una vera e propria “corsa alle
colonie”, intrapresa dalle grandi potenze europee. Esse imposero la
propria sovranità sull' Asia e sull' Africa. Le maggiori potenze
coloniali inizialmente erano: Inghilterra, Francia, Spagna,
Portogallo e Paesi Bassi. Italia e Germania entrarono nella “gara”
imperialistica con un certo ritardo e si mossero soprattutto per
ragioni di prestigio. La Germania si orientò a fine anni ottanta,
verso l' Africa centrorientale. L' Italia nel 1885 verso il cono
etiopico e occupò la Libia nel 1912. Il 15 novembre 1884 Bismark,
allora cancelliere dell'impero tedesco, convocò a Berlino una
grande conferenza. Qui le grandi potenze europee stabilirono il loro
diritto di spartizione delle colonie e vennero fissate le condizioni di
accaparramento dei territori. Ogni Stato che avesse voluto
colonizzare un altro, avrebbe dovuto chiedere il consenso alle altre
potenze. Esempio di ciò si ebbe nel 1911 quando l' Italia di Giolitti,
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Edoardo Zuliani – Classe V E – Liceo Scientifico “Keplero” di Roma – Anno scolastico 2010-2011
che voleva tornare alla politica espansionistica con la presa della
Libia, dovette chiedere il consenso a Francia e Inghilterra; in
cambio l' Italia doveva riconoscere i diritti francesi in Marocco e
inglesi in Egitto.
In seguito alla prima Rivoluzione Industriale, il capitalismo
industriale si era affermato nei principali paesi europei e a partire
dalla seconda metà dell'ottocento, con l'avvento della seconda
STORIA Rivoluzione Industriale, esso fu affiancato dal capitalismo
finanziario. L'Imperialismo è quindi espressione della Rivoluzione
Industriale e dello sviluppo capitalistico. I paesi colonizzatori erano
spinti dal desiderio di procurarsi nuovi mercati di vendita per i
prodotti nazionali e di accaparrarsi materie prime e risorse
energetiche a basso costo; questo tipo di politica imperialistica