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l'acuto desiderio di spiegarseli, senza che Pirandello si fosse proprio dedicato ad uno studio sistematico ed

approfondito dei problemi psicologici determinati da Freud: lo studioso viennese e il commediografo italiano

operavano sullo stesso terreno, il primo da scienziato, il secondo da artista. Ad influenzare l'opera

pirandelliana contribuì, infine, la diffusione del teatro del grottesco,che assunse a materia delle sue migliori

produzioni il dramma umano. Il teatro del grottesco vuole cogliere una situazione burlesca, quella che nasce

dall'incoerenza tra quel che si è dentro e quel che si appare e si vuole apparire di fuori.

LA VITA

Luigi Pirandello nacque a Girgenti (Agrigento) nel 1867, in una campagna che si trovava presso il bosco

Càvusu, corruzione dialettale del termine greco Xaos, in cui la famiglia si era rifugiata dal terribile colera

del 1867. Ecco spiegato il motivo per il quale egli si definì “Figlio del Caos”. Importanti furono gli anni

dell'infanzia e della giovinezza: non solo per le prime esperienze culturali e per l'affiorare degli interessi per

la letteratura e la poesia, ma anche per le esperienze umane e sociali compiute in quei decenni di confusione

politica e morale che seguirono all'unità d'Italia. Del 1885 sono i primi versi “Mal giocondo”. Intraprese gli

studi universitari alla facoltà di lettere di Palermo per passare poi a quella di Roma. Per suggerimento del

Monaci, passò poi a studiare a Bonn, dove si laureò nel 1891, discutendo una tesi sulla parlata agrigentina

“Voci e suoni del dialetto di Girgenti”. A Bonn Pirandello ebbe modo di venire a contatto con le più

stimolanti esperienze della cultura contemporanea. In quel tempo egli non aveva ancora una chiara idea

delle proprie attitudini e del proprio futuro: oscillava tra le ambizioni della ricerca scientifica e quelle

poetiche, e non era insensibile alle tentazioni del giornalismo. Tornato a Roma tentò di inserirsi nella vivace

società letteraria che in quello scorcio di secolo illustrava la capitale. Dominava D'Annunzio; ma Pirandello

non fu sedotto dalle suggestioni del dannunzianesimo. Decisivo fu invece l'incontro con Luigi Capuana, il

teorico e maestro del verismo italiano. A contatto con Capuana, Pirandello scopre e definisce la propria

vocazione di narratore; avvicinandosi alla grande esperienza del verismo. Nel 1893 scrive il suo primo

romanzo “L'esclusa” e nel 1894 pubblica il primo volume di racconti “Amori senza amore”. Nello stesso

anno sposa la bella e ricca Antonietta Portulano. Ma la vita avrebbe riservato prove molto dure e amare ai

due coniugi: nel 1897 un grave dissesto economico costringe la famiglia Pirandello a trasferirsi a Roma.

Nell'ambiente romano, Pirandello prende consapevolezza del suo pensiero, soprattutto nel corso di una

polemica antidannunziana, che si svolse nelle riviste il “Marzocco” e “La nuova antologia”. Intanto, nel

1903, cominciano ad apparire i primi sintomi del male che avrebbe afflitto la povera consorte distruggendo

la felicità della famiglia Pirandello. Lo scoppio della grande guerra del 1914-18 e la prigionia del figlio

Stefano ferito ed ammalato, avevano contribuito ad affliggere maggiormente lo scrittore, che già attraverso

l'amara esperienza del dolore aveva consolidato la sua triste concezione del vivere nel mondo. Finita la

guerra, Pirandello si immerse in un lavoro frenetico e senza soste, spinto dall'urgenza di insegnare agli

uomini le "verità" da lui scoperte. Nascono i capolavori “Sei personaggi in cerca d'autore” ed “Enrico

IV”,entrambi del 1921. Nel 1925 fonda la “Compagnia del teatro d'arte” con i due grandissimi ed insuperati

interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero Ruggeri, con i quali intraprende il giro d'Europa e

delle due Americhe. La Compagnia viene appoggiata e finanziata dal partito fascista e il suo legame con la

cultura ufficiale fascista gli valgono la nomina ad Accademico d’Italia. Nel 1934 la sua fama viene

consacrata con il premio Nobel. Nel novembre del 1936 si ammala gravemente di polmonite e poco dopo

muore.

Egli definì “teatro dello specchio” tutta la sua opera, perché in essa si rappresenta la vita senza maschera,

quale essa è nella sua sostanza e nella sua verità , lo spettatore, l'attore e il lettore vi si vedono come sono,

come chi si guarda ad uno specchio, con ansia e con curiosità, allo stesso modo in cui un cattivo specchio

deforma l'immagine fisica; allora si riconoscono diversi da come si erano sempre immaginati. È nella

maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà, fra l’illusione che la propria realtà

sia uguale per tutti e la realtà che si vive in una forma, dalla quale il personaggio non potrà mai salvarsi.

La maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell’individuo a recitare sempre la stessa

parte ed è l’unico modo per evitare l’isolamento all’interno della società: quando un personaggio cerca di

rompere la forma viene allontanato, rifiutato e non può più trovare posto nella massa.

La maschera è il simbolo, in negativo del rifiuto delle false convenzioni sociali, dello sfruttamento dei pochi

sulle masse e della schiavitù dell’uomo sottomesso a norme che lo costringono a un’esistenza

disumanizzata; in positivo del tentativo di un ritorno alla verità

I temi di fondo sono:

 il contrasto tra apparenza (o illusione) e realtà (o tra forma e vita), nel senso che l'uomo ha degli

ideali che la realtà impedisce di vivere, poiché la realtà si ferma all'apparenza e non permette

all'uomo di essere se stesso;

 l'assurdità della condizione dell'uomo, fissata in schemi precostituiti (adultero, innocente, ladro,

iettatore, ecc.): a ciò Pirandello cercherà di opporre il sentimento della casualità o imprevedibilità

delle vicende umane; molte sue commedie rappresentano situazioni inverosimili o paradossali,

proprio per mettere meglio in luce l'assurdità dei pregiudizi borghesi;

 le molteplici sfaccettature della verità (tante verità quanti sono coloro che presumono di

possederla) espresse col "sentimento del contrario" (che è alla base del suo umorismo e che viene

utilizzato per vanificare ogni possibile illusione).

Pirandello ha una concezione relativistica dell'uomo, che ne esclude una conoscenza scientifica. L'uomo è

troppo assurdo per essere capito .Il borghese si dibatte fra ciò che sente dentro e il rispetto che deve alle

convenzioni sociali: la “forma” è l'involucro esteriore che noi ci siamo dati o in cui gli altri ci identificano;

la “vita” invece è un flusso di continue sensazioni che spezza ogni forma. Noi crediamo di essere “forme

stabili” (personalità definite): in realtà tutto ciò è solo una maschera dietro cui sta la nostra vera vita, fondata

sull'inconscio, cioè sull'istinto e sugli impulsi contraddittori. L'uomo, in definitiva, è soggetto al caso, una

marionetta, che gli impedisce di darsi una personalità. Ogni personaggio teatrale è immerso in una tragica

solitudine che non consente alcuna vera comunicativa: sia perché il dialogo non ha lo scopo di far capire le

cose o di risolvere i problemi, ma solo di confermare l'assurdità della vita; sia perché ogni tentativo di

comprendersi reciprocamente è fondato sull'astrazione delle parole che non riflettono più valori comuni, ma

solo la comune alienazione (i dialoghi sono cervellotici e filosofici). D'altra parte, questa è una delle novità

del teatro pirandelliano, che lo avvicina molto a quello di Ionesco, Beckett.

Il “sentimento del contrario”, parte al presupposto che il processo della creazione non è mai disgiunto

dall’isorgere di un altro punto di vista, contrario al primo: “Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che

sgorga nell’umorista si sdoppia subito nel suo contrario”. Questo potrebbe portare al suicidio o alla follia, se

assolutizzato. Pirandello evita questa soluzione affermando che in un'epoca decadente, solo un'arte

umoristica è possibile, un'arte cioè che sappia cogliere i sotterfugi e le piccole meschinità delle persone.

L'umorista non solo denuncia il vuoto della società borghese, le costruzioni artificiose con cui cerchiamo di

ingannare gli altri e noi stessi, ma ha pure pietà dell'uomo che si comporta così, condizionato com'è dal più

generale mentire sociale.

Sei personaggi in cerca d'autore. Sei personaggi in

Il suo capolavoro, per giudizio concorde della critica, è giudicato la commedia “

cerca d'autore ”, che è anche la maggiore opera del teatro italiano del Novecento. In essa Pirandello,

riprendendo l'antico artificio del " teatro nel teatro ", dà la più complessa e riuscita rappresentazione della

condizione umana quale gli si era venuta configurando e, insieme, del suo modo di intendere il rapporto tra

l'arte e la vita.. “Sei personaggi in cerca d'autore” viene rappresentata per la prima volta il 10 maggio 1921 al

Teatro Valle di Roma. Sotto la guida del Capocomico una compagnia è intenta a provare “Il giuoco delle

parti”, quando improvvisamente arrivano in teatro sei personaggi (il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il

Giovinetto, la Bambina) in cerca di un autore che sia in grado di rappresentare il loro dramma, che chi li ha

creati h immaginato per loro ma poi non è stato in grado di completare il lavoro: dopo aver generato il Figlio,

la Madre è stta cacciata di casa dal Padre dopo che questa si era legata a un subalterno del consorte. Dal

nuovo compagno nascono la Figliastra, il giovinetto e la Bambina e quando la morte del nuovo capofamiglia

getta la povera donna sul lastrico, la Figliastra comincia a lavorare nella casa di appuntamenti di Madama

Pace, che usa un laboratorio di sartoria come copertura. Ed è proprio in questa sorta di bottega che la

Figliastra incontra il Padre in veste di cliente. Solo un tempestivo intervento della Madre eviterà la

consumazione del rapporto. Successivamente, mentre la Bambina lasciata sola annega nella vasca del

giardino, il Giovinetto si spara. Dunque, il Capocomico sconvolto, ormai incapace di distinguere al finzione

dalla realtà, manda al diavolo tutti poiché una giornata di lavoro è stata perduta. Con quest’opera, che al suo

debutto nel 1921 suscita grande scalpore, Pirandello rivoluziona la propria poetica e il teatro mondiale. Nella

«Prefazione» apposta all'edizione del 1925 Pirandello fornisce un'interpretazione d'autore della commedia,

chiarendone la genesi, gli intenti, le fondamentali tematiche, la natura dei personaggi e i rapporti che

intercorrono fra loro. Così scrive: «Io ho voluto rappresentare sei personaggi che cercano un autore. Il

dramma non riesce a rappresentarsi appunto perché manca l'autore che essi cercano; e si rappresenta invece

la commedia di questo loro vano tentativo, con tutto quello che essa ha di tragico per il fatto che questi sei

personaggi sono stati rifiutati». “Quale autore potrà dire come e perché un personaggio gli sia nato dalla

fantasia?”: attraverso l’invenzione del “teatro nel teatro” Pirandello spiega al suo pubblico il meccanismo

della creazione artistica, poiché i personaggi non vivono sul palcoscenico solo il loro dramma umano e

passionale, ma anche il travaglio di non avere un autore che dia loro una consistenza reale.

Con essa Pirandello vuole dimostrare l'incapacità del teatro di riprodurre la vita per come è realmente, senza

interpretarla o deformarla. I sei personaggi appaiono diversi dagli altri, come se fossero fantasmi; la loro

caratteristica è infatti quella di essere stati “rifiutati” da un autore che “li creò ma poi non volle o non poté

materialmente” dare loro “una ragion d'essere” e di essere in cerca di qualcuno che possa esprimere il loro

dramma. La vita dei sei personaggi risulta essere, per assurdo, molto più vera di quella degli attori, perché è

eterna e immutabile, è pura forma e quindi fissa, e sono molteplici le personalità d'ognuno secondo tutte le

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