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BERGSON
Il riso, la società e la vita nella teoria della comicità di Henri Bergson
Nelle pagine di questo suo libro, Bergson muove
Un'idea antica: il riso ha una funzione sociale.
innanzitutto da una constatazione di natura generale: se il riso è un gesto che appartiene a pieno
titolo al comportamento umano, allora deve essere lecito domandarsi qual è il fine che lo anima.
Ora, per comprendere il fine cui mira un comportamento si deve in primo luogo far luce sulle
occasioni in cui accade.
"Non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano" .Questa affermazione può
lasciarci di primo acchito perplessi: si può ridere infatti anche di un cappello o di un burattino di
legno. E tuttavia, se non ci si ferma a questa constatazione in sé ovvia, si deve riconoscere che in
questi casi il rimando a ciò che è umano gioca un ruolo prevalente e comunque ineliminabile: di un
cappello ridiamo perché vi vediamo espresso un qualche capriccio estetico dell'uomo, così come
nella marionetta l'immaginazione scorge i gesti impacciati di un uomo sgraziato. Alla massima
antica secondo la quale l'uomo È l'animale che ride si deve affiancarne dunque una moderna:
l'uomo È un animale che fa ridere.
Il riso scaturisce solo di fronte a ciò che appartiene direttamente o indirettamente all'ambito
propriamente umano; perché possa tuttavia scaturire è necessario che chi ride non si lasci
coinvolgere emotivamente dalla scena che lo diverte. Per ridere di una piccola disgrazia altrui
dobbiamo far tacere per un attimo la pietà e la simpatia, e porci come semplici spettatori o - per
esprimerci come Bergson - come intelligenze pure: "il comico esige dunque, per produrre tutto il
suo effetto, qualcosa come un'anestesia momentanea del cuore"
Il riso chiede una sorta di sospensione del legame di simpatia che ci lega a colui di cui ridiamo. E
tuttavia tutti sappiamo che il riso è un'esperienza corale: ridiamo meglio quando siamo insieme ad
altri, ed il riso È spesso il cemento che tiene unito un gruppo di persone. "Il riso, - commenta
Bergson - [...] cela sempre un pensiero nascosto di intesa, direi quasi di complicità, con altre
persone che ridono, reali o immaginarie che siano".
Non è difficile scorgere la nota che accomuna queste tre osservazioni generali: il riso sembra essere
strettamente connesso con la vita sociale dell'uomo, con il suo essere un animale sociale. Possiamo
allora - seguendo Bergson - far convergere i tre punti su cui abbiamo dinnanzi richiamato
l'attenzione in un'unica tesi:”Il "comico" nasce quando uomini riuniti in un gruppo dirigono
l'attenzione su uno di loro, facendo tacere la loro sensibilità, ed esercitando solo la loro
intelligenza". Dunque ,se il riso come comportamento umano sorge nella vita associata, allora si
può supporre che esso risponda a determinate esigenze della vita sociale.
Molti esempi di comicità possono esserle immediatamente ricondotti: una marionetta ci fa ridere
perché i suoi gesti sono rigidi e meccanici. Qui la comicità sorge dalla ripetizione dei gesti, delle
azioni, dei pensieri. "Due volti simili, ciascuno dei quali preso isolatamente non fa ridere, presi
insieme fanno ridere per la loro somiglianza" - diceva Pascal, e tutti sappiamo come un tic fisico o
intellettuale (una frase, sempre la stessa, ripetuta troppo di sovente) sia causa di ilarità. Ma un
meccanismo non è solo ripetizione: è anche staticità. Nell'immagine della macchina si cela infine
anche l'idea del movimento che non sa più aderire al presente, ma segue una regola tanto fissa
quanto sorda alle esigenze del momento. Basta dunque che questa immagine si sovrapponga alla
vita umana perché il riso si faccia avanti. Una simile sovrapposizione si ha per esempio
quando l'anima ci si mostrerà contrariata dai bisogni del corpo - da un lato la personalità morale con
la sua energia intelligentemente variata, dall'altra il corpo stupidamente monotono interrompente
sempre ogni cosa con la sua esigenza di macchina. Quanto più queste esigenze del corpo saranno
meschine ed uniformemente ripetute, tanto più l'effetto sarà vivo.
Non è dunque un caso - commenta Bergson - se i personaggi tragici debbono tenersi lontani da gesti
che tradiscano le esigenze della corporeità, mentre il commediografo potrà senz'altro ottenere il riso
del pubblico rappresentando i suoi personaggi comici in preda a un malanno o ad un fastidioso
singhiozzo che interrompe ogni loro discorso.
Proprio come la vita dello spirito può essere ostacolata nel suo realizzarsi dalle esigenze della
macchina corporea, così la forma della vita sociale può soffocarne il senso. Ciò di cui ridiamo è -
per Bergson - tutto ciò in cui l'immaginazione scorge una sorta di meccanicizzazione della vita.
Quindi tutto ciò che si presenta come maldestro, come non agile, frutto d’automatismo cieco
anzichè di vivente duttilità, suscita il riso e fonda il comico.
Il riso come castigo sociale. La comicità morale e la funzione sociale della commedia.
Il riso deve avere una funzione sociale, e sorge dalla constatazione di una sorta di contraddizione:
ciò che dovrebbe comportarsi in modo libero e vivo sembra assoggettare i suoi gesti a leggi
meccaniche, alla cieca ostinazione del meccanismo. Al riso spetta dunque il compito di sanare
questa contraddizione, richiamando quella parte della società che è colpevole di un comportamento
rigido e ostinato ad un atteggiamento più elastico, ad uno stile di vita più duttile e desto. Il riso è
quindi un castigo sociale.
“È comico - scrive Bergson - qualunque individuo che segua automaticamente il suo cammino
senza darsi pensiero di prendere contatto con gli altri. Il riso è là per correggere la sua distrazione e
per svegliarlo dal suo sogno. [...]. Tutte le piccole società che si formano sulla grande sono portate,
per un vago istinto, ad inventare una moda per correggere e per addolcire la rigidità delle abitudini
contratte altrove, e che sono da modificare. La Società propriamente detta non procede
diversamente: bisogna che ciascuno dei suoi membri stia attento a ciò che gli È intorno, si modelli
su quello che lo circonda, eviti infine di rinchiudersi nel suo carattere come in una torre di avorio.
Perciò essa fa dominare su ciascuno, se non la minaccia di una correzione, per lo meno la
prospettiva di un'umiliazione che per quanto leggera non è meno temibile. Tale si presenta la
funzione del riso. Sempre un po' umiliante per chi ne è l'oggetto, il riso è veramente una specie di
castigo sociale “.
Di questa funzione sociale del riso, la commedia è per Bergson un'espressione esemplare. Tra tutte
le forme di comicità una in particolare sembra stringere un rapporto strettissimo con la sfera
sociale:la comicità morale. Le passioni spesso si prendono gioco di noi e subordinano tutte le nostre
azioni ad un unico meccanismo. E' questo ciò che accade ai personaggi comici di molte commedie:
lo spettatore È chiamato a ridere di un uomo, i cui gesti sembrano quelli di una marionetta, mossa
da un burattinaio - la gelosia, l'avarizia, la pavidità, ecc. - che ci è ben noto e di cui sappiamo
prevedere i movimenti. Di qui la forma di tante commedie che hanno per protagonisti non già
individualità ben determinate, ma personaggi tipici, marionette dietro alle quali traspare la passione
che li domina. Ma di qui anche il fine che si prefiggono: correggere, ridendo, i costumi. Alle forme
propriamente artistiche, caratterizzate dall'assoluta assenza di finalità pratiche si deve contrapporre
dunque la commedia, che è - per Bergson - una forma artistica non autentica, proprio perché
affonda le sue radici nella vita e perché alla vita ritorna come ad un valore da salvaguardare e cui
sottomettere i propri sforzi.
Vi è tuttavia una seconda ragione che spinge Bergson a dedicare tanto spazio alle considerazioni
sulla commedia, ed è propriamente il carattere per così dire teatrale della comicità. Possiamo ridere
soltanto quando la rigidità di un carattere o di un comportamento si fa gesto e si mostra apertamente
agli occhi dell'immaginazione. Ma lo spettacolo comico implica uno spettatore che sappia per un
attimo guardare alla vita come ad una rappresentazione teatrale:
Da ciò il carattere equivoco del comico. Esso non appartiene né completamente all'arte, né
completamente alla vita. Da un lato i personaggi della vita reale non ci farebbero mai ridere se noi
non fossimo capaci di assistere alle loro vicende come ad uno spettacolo visto dall'alto di una
loggia; essi sono comici ai nostri occhi solo perché ci danno la commedia. Ma d'altra parte, anche a
teatro, il piacere di ridere non è puro, cioè esclusivamente estetico, assolutamente disinteressato. Vi
si associa sempre un pensiero occulto che la società ha per noi quando non l'abbiamo noi stessi; “vi
è sempre l'intenzione non confessata di umiliare e con ciò, è vero, di correggere, almeno
esteriormente" .
Il riso sorge così come un gesto che per strappare la vita dalla sua negazione implica una
momentanea sospensione della vita stessa: è dunque una contemplazione della vita volta a sanare i
pericoli che la mettono in forse.
Il riso e la metafisica bergsoniana.
Se il riso È un castigo sociale, allora si deve aggiungere che talvolta sembra castigare anche là dove
non ce n'è alcun bisogno.
Non solo: di un vizio morale come l'avarizia o la gelosia, noi non sempre ridiamo, poiché - osserva
in primo luogo Bergson - il riso chiede che il vizio da castigare non ci coinvolga troppo da vicino e
ci permetta di mantenere la posizione dello spettatore.
In secondo luogo, tuttavia, Bergson attira la nostra attenzione sul fatto che uno stesso vizio -
l'avarizia, per esempio - può talvolta suscitare il riso, talvolta il nostro disprezzo. Ora, la diversità
della reazione non dipende solo dalla gravità della colpa, ma soprattutto dal modo in cui questa si
palesa. E ancora una volta il cammino da seguire ci è indicato dall'esperienza letteraria. Gli eroi
tragici ci rivelano il loro carattere nelle azioni, e con azioni Bergson intende i comportamenti
volontari della soggettività. Il personaggio comico invece si rivela nei gesti, e cioè in quei
movimenti e in quei discorsi nei quali uno stato d'animo si manifesta senza scopo e senza alcuna
premeditazione. Nell'azione la persona intera è in gioco, nel gesto una parte isolata della persona si
esprime all'insaputa o (per lo meno) in disparte dell'intera personalità .Il gesto - potremmo allora
esprimerci così - è una sorta di irruzione improvvisa dell'inconscio nella vita desta, ed è proprio
questo carattere di involontarietà e di immediatezza che ci fa apparire comico anche un vizio che
detestiamo.
Ma se il comico si esprime nel gesto, anche il riso è a sua volta un gesto sociale di cui si deve
sottolineare l'immediatezza: non bisogna dunque stupirsi se
non ha tempo di osservare sempre dove tocca [... e se] talvolta castiga certi difetti come la malattia
castiga certi eccessi, colpendo gli innocenti, risparmiando i colpevoli, mirando verso un risultato
generale, senza preoccuparsi del singolo" .
Così, accanto alla tesi secondo la quale il riso sorge come prodotto di un'antica abitudine sociale,
Bergson viene sempre più chiaramente sostenendo che "il riso è semplicemente l'effetto di un
meccanismo datoci dalla natura" . Ed in questa prospettiva, il problema di un addestramento al riso
non si pone, poiché il riso ci appare come una manifestazione diretta della natura, come una difesa
immediata della vita che è la vita stessa a donarci, armandoci di una sorta di istintiva reazione alla
comicità. Se dunque Bergson non si impegna sul terreno delle considerazioni sociologiche è proprio
perché intende rispondere alla domanda sulle origini del riso sul terreno di una autentica metafisica
della vita. La lotta tra l'urgere dinamico e multiforme della vita e la resistenza cieca e sorda che la
materia le impone trova già qui, nella disamina sul comico, la sua prefigurazione. Così, non ci si