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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2009

Titolo: Alla ricerca di un significato

Autore: Viggiani Fabio

Descrizione: in questa tesina multidisciplinare, ho cercato di mostrare in che modo poeti, scrittori, filosofi hanno cercato nel tempo di dar eun senso al dolore, alla vita, alla morte, alla guerra ecc.

Materie trattate: Italiano, LAtino, Greco, Filosofia, Storia, Inglese, Astronomia, Fisica

Area: umanistica

Sommario: Italiano: Dante (Il primo canto del Paradiso, il fine di "tutte nature" in Dio), Foscolo (il nichilismo materialistico e la religione delle illusioni Ultime lettere di Jacopo Ortis, Dei Sepolcri), Leopardi (la concezione della natura e la social catena - Operette morali, Ginestra), Manzoni (il dolore terreno preludio ad un bene superiore - Pentecoste, Promessi Sposi), Verga (gli esclusi e il senso della vita - I Malavoglia), Pascoli (l'incomprensibilità  del male - X Agosto), D'annunzio (la ricerca del Bello - Il piacere, La pioggia nel pineto), Svevo (l'autodistruzione umana - La coscienza di Zeno). Filosofia: Schopenhauer (la cecità  della Volontà  e le vie per liberarsene - Il mondo come volontà  e rappresentazione), Nietzsche (la morte di Dio - Umano troppo umano, L'annuncio di Zarathustra), Freud (l'analisi dei sogni e della psiche - L'interpretazione dei sogni, Metapsicologia). Latino: Seneca (la libertas interiore Epistulae, De brevitate vitae). Greco: Polibio (l'anaciclosi e il ruolo della Thuke - Storie), Leonida (La riflessione sul tempo - Frammento "Il tempo infinito"). Storia: La prima guerra mondiale e la nota di Benedetto XV. Astronomia: Genesi dei terremoti. Fisica: La termodinamica Inglese: Stevenson (uno sguardo alla natura umana - Dr. Jekyll e Mr. Hyde)

Estratto del documento

ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO

La natura è per il poeta un ciclo continuo di trasformazione della materia, di nascita e di morte, le

illusioni sono solo uno slancio sentimentale della giovinezza che non portano alla felicità, la quale è per il

poeta qualche cosa d'irraggiungibile, essa in ogni momento della vita viene ricercata ma non è mai raggiunta

(teoria del piacere).

“Islandese: […] Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando come tu ci abbi infuso tanta

e sì ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella

desidera naturalmente, è cosa imperfetta: e d’altra parte abbi ordinato che l’uso di esso piacere sia

quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo. […] Io non mi ricordo di

aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena. […]

Natura: Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non

rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come

credete voi, quelle tali cose, e non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche

mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. […] Tu mostri non aver posto

mente che la vita di quest’universo è un perpetuo ciclo di produzione e distruzione, collegate ambedue

tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il

quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione.

Islandese: […] dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita

infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?

Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni […] che

appena ebbero la forza di mangiarsi quell’Islandese; come fecero; […] Ma sono alcuni che […]

narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l’Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli

edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui disseccato perfettamente, e divenuto

una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città

d’Europa.”

(Giacomo Leopardi; Operette morali)

Dialogo della Natura e di un Islandese,

La condizione dell'umanità è una condizione di sofferenza, l'uomo deve prendere coscienza della sua

condizione esistenziale e del suo continuo soffrire e attraverso la solidarietà deve cercare di reagire alla

drammaticità della vita, deve reagire al meccanismo cieco della natura esprimendo i sentimenti più puri

presenti nel suo animo.

“Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino

ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e

andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo

questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci

dorremo: e anche in quest’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il

pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.”

(Giacomo Leopardi; Operette morali)

Dialogo di Plotino e di Porfirio,

“Ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della

vita, non dissimularmi nessuna parte dell’infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una

filosofia dolorosa, ma vera. […] E di più vi dico francamente, ch’io non mi sottometto alla mia

infelicità, né piego il capo al destino, o vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini.”

(Giacomo Leopardi; Operette morali)

Dialogo di Tristano e di un amico,

La presa di posizione del Leopardi è una presa di posizione più laica, meno illusoria di quella del Foscolo. Il

solo modo reale di vincere momentaneamente la natura è quello di affermare la dignità dell'uomo che si

esprime con l'unione di tutti gli uomini. Il poeta supera così lo storicismo romantico e contrappone il diritto

dell'uomo al raggiungimento della felicità attraverso un approccio sensibile e non ideale. La visione

ottimistica della società borghese falsifica i veri drammi dell'uomo e la sua continua infelicità, la visione

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ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO

pessimistica espressa dal poeta paradossalmente si rivela così come una concezione progressista della storia

che smitizza i falsi valori presenti nella società borghese.

“Qui mira e qui ti specchia,

Secol superbo e sciocco,

Che il calle insino allora

Dal risorto pensier segnato innanti

Abbandonasti, e volti addietro i passi,

Del ritornar ti vanti, E procedere il chiami.

[…]

Libertà vai sognando, e servo a un tempo

Vuoi di novo il pensiero,

Sol per cui risorgemmo

Della barbarie in parte, e per cui solo

Si cresce in civiltà, che sola in meglio

Guida i pubblici fati.

[…]

Nobil natura è quella

Che a sollevar s’ardisce

Gli occhi mortali incontra

Al comun fato, e che con franca lingua,

Nulla al ver detraendo,

Confessa il mal che ci fu dato in sorte,

E il basso stato e frale;

[…]

Così fatti pensieri

Quando fien, come fur, palesi al volgo,

E quell’orror che primo

Contra l’empia natura

Strinse i mortali in social catena,

Fia ricondotto in parte

Da verace saper, l’onesto e il retto

Conversar cittadino,

E giustizia e pietade, altra radice

Avranno allor che non superbe fole,

Ove fondata probità del volgo

Così star suole in piede

Quale star può quel c’ha in error la sede.”

(Giacomo Leopardi; Canti, 34; vv. 52-57, 72-77, 111-117, 145-157)

La ginestra,

Come visto, la presa di coscienza dell'infelicità dell'essere umano implica un superamento di questa

condizione attraverso l'affermazione dei valori più nobili dell'animo umano e soprattutto la costruzione di

una reciproca solidarietà estesa a tutta la comunità mondiale. Naturalmente, il presente

pessimismo cosmico

in Leopardi rimane sempre una costante, l'uomo può solo raggiungere parzialmente uno stato di felicità

attraverso la modificazione del rapporto con i propri simili, ma non può comprendere i grandi enigmi

dell'infinito e del nulla eterno. Il poeta sentirà profondamente questo dramma e la sua vita sarà sempre

impegnata nella comprensione del destino umano. 8

ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO

Alessandro Manzoni

(Il dolore terreno come preludio ad un bene superiore)

(Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873)

I temi del significato della vita umana affrontati dal Foscolo e dal Leopardi sono trattati anche dal Manzoni.

La poetica del Manzoni, però, si differenzia notevolmente da quella dei due autori citati, essendo

quest'ultimo un cattolico per il quale il fine della vita umana è la salvezza eterna.

Per il Manzoni, il significato della vita va ricercato nei valori cristiani, il dolore e il male sono visti, a

differenza del Leopardi, non come una costante insita nella natura, ma come una dimenticanza della morale

cattolica. Il modello di vita cattolica cui aderisce il Manzoni concretizza i grandi principi della Rivoluzione

Francese e difatti, contrariamente a molti cattolici a lui precedenti, la visione che ha della storia è

sostanzialmente progressista.

“Perché, baciando i pargoli,

la schiava ancor sospira?

e il sen che nutre i liberi

invidïando mira?

Non sa che al regno i miseri

Seco il Signor solleva?

che a tutti i figli d’Eva

nel suo dolor pensò?

Nova franchigia annunziano

i cieli, e genti nove;

[…]

Tempra de’ baldi giovani

il confidente ingegno;

reggi il viril proposito

ad infallibil segno;

adorna la canizie

di liete voglie sante;

brilla nel guardo errante

di chi sperando muor.”

(Alessandro Manzoni; vv. 65-72, 137-144)

La Pentecoste, 9

ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO

Il poeta attraverso le sue opere cerca di trasmettere dei valori positivi che superano la visione

reazionaria presente nella società italiana del suo tempo. Si riscontra così, nella sua poetica, un’adesione

reale alle problematiche presenti nel popolo: l'ingiustizia e le disuguaglianze sono viste come un male che va

risolto attraverso un rinnovamento spirituale che riconosca la dignità dell'uomo e la sua uguaglianza di fronte

a Dio. L'adesione profonda al cattolicesimo, maturata durante gli anni della sua vita, è una costante che si

rispecchia in tutta la sua opera e il messaggio cristiano arricchisce il pensiero dello scrittore che vede

l'esistenza come l'opera di un disegno divino, ma, diversamente da Foscolo e da Leopardi, solo attraverso il

cristianesimo si può comprendere la nostra presenza su questa terra e il fine impercettibile della nostra vita.

"Renzo!" disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandolo ancor più severamente.

"E se lo trovo," continuò Renzo, […] "se la peste non ha già fatto giustizia... […] la farò io la

giustizia!"

"Sciagurato!" gridò il padre Cristoforo, “[… ] Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e

non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo

sai, tu, quale sia la giustizia! Va', sciagurato, vattene! Io, speravo... sì, ho sperato che, prima della mia

morte, Dio m'avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di

vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov'io sarò.

Va', tu m'hai levata la mia speranza. Dio non l'ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l'ardire

di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è una di quell'anime a cui

son riservate le consolazioni eterne. Va'! non ho più tempo di darti retta."

E così dicendo, rigettò da sé il braccio di Renzo, e si mosse verso una capanna d'infermi.

"Ah padre!" disse Renzo, andandogli dietro in atto supplichevole: "mi vuol mandar via in questa

maniera?"

“[…] Ardiresti tu di pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano ch'io parli loro

del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? T'ho ascoltato

quando chiedevi consolazione e aiuto; […] ma ora tu hai la tua vendetta in cuore. […] Ho odiato

anch'io: io, che t'ho ripreso per un pensiero, per una parola, l'uomo ch'io odiavo cordialmente, che

odiavo da gran tempo, io l'ho ucciso. […] credi tu che, se ci fosse una buona ragione, io non l'avrei

trovata in trent'anni? Ah! s'io potessi ora metterti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre, e

che ho ancora, per l'uomo ch'io odiavo! S'io potessi! io? ma Dio lo può: Egli lo faccia!... […] Egli ti

vuol più bene di quel che te ne vuoi tu […] Tu sai, tu l'hai detto tante volte, ch'Egli può fermar la

mano d'un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d'un vendicativo. E perché sei povero,

perché sei offeso, credi tu ch'Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua

immagine? Credi tu ch'Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi

odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perché, in

qualunque maniera t'andassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà

gastigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai piú dire: io gli perdono."

(Alessandro Manzoni; cap. XXXV)

I promessi sposi,

La storia dell'umanità non è un lungo procedere verso il nulla, ma è la conquista dell'eternità.

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ALLA RICERCA DI UN SIGNIFICATO

Giovanni Verga

(Gli esclusi e il senso della vita: il crollo degli antichi valori)

(Vizzini, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922)

La figura dell’escluso, del disadattato sociale, dell’intruso in una nuova classe sociale, ha sempre nel Verga

un pathos profondo che rivela non solo un’attenzione conoscitiva, ma anche un processo di identificazione,

di cui bisogna ritrovare le ragioni storiche.

Non bisogna dimenticare che il periodo in cui nasce e si sviluppa la corrente letteraria del Verismo

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