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Filosofia: Beccaria
Italiano: Manzoni, "Storia della Colonna infame"
Storia: Codice Zanardelli
Fisica: Corrente elettrica
In particolare, il tema della pena è affrontato nel momento della tesi del “diritto astratto” e nella
sottotiadre de “l'illecito e la pena”.
Il diritto astratto è l'insieme delle norme che regolano i rapporti esteriori tra individui ed è
esplicitazione della volontà del singolo. Infatti inizialmente la coscienza del singolo non si
identifica con la legge, ma, nel passaggio da diritto a moralità, la volontà individuale interiorizza la
legge e si adegua alla volontà generale.
ILLECITO e PENA:
Nell'illecito, la volontà generale ( diritto di tutti ) viene sostituita con il diritto individuale. L'azione
illecita è l'espressione del disagio del singolo nei confronti dell'astrattezza delle regole.
Di fronte all'azione illecita lo Stato deve punire colui che l'ha commessa: la pena non ha però
funzione vendicativa, ma ha funzione reintegrante.
Infatti la pena deve reintegrare la libertà messa in discussione dall'illecito, deve essere un aiuto al
criminale, che, attraverso la stessa pena, riscopre la propria razionalità e ritrova la volontà dello
Spirito. La pena è un diritto di chi ha commesso l'illecito, che riscopre la libertà.
4.3 Pena di morte e Hegel
Assunte queste ipotesi, Hegel afferma pienamente la legittimità della pena di morte.
La pena di morte è necessaria perché:
la volontà del delinquente ha già nella sua natura la necessità della pena; quindi la pena di
morte è già insita nell'azione illecita.
la pena in generale è un diritto del delinquente; quindi anche la pena di morte aiuta il
delinquente a riconoscere l'universalità della legge.
Hegel sostiene una giustizia punitiva e non vendicativa: lo Stato, per realizzarsi
nell'Assoluto, deve essere anche in grado di sacrificare l'individuale in nome dell'universale.
Hegel propone una concezione organicistica e non contrattualistica dello stato. Infatti mentre
l’abolizionista Beccaria sostiene che l’accordo stipulato dagli individui per la formazione
dello stato non può prevedere la disposizione ad essere privati della vita, egli afferma che
“lo stato non è, in generale, un contratto né la sua essenza sostanziale è la difesa e la
garanzia della vita e della proprietà degli individui come singoli, così incondizionatamente:
anzi, esso è la cosa più elevata, che pretende anche questa vita e questa proprietà stessa ed
esige il sacrizio della medesima”.
Quindi la pena di morte viene legittimata alla luce del carattere “totalizzante” dello stato, per cui il
finito (individuo) esiste in quanto esiste l'infinito (stato).
Il punto di vista dell'individuo deve essere la totalità; quindi se una persona è d'ostacolo alla
razionalità, è un bene che essa venga punita, anche con la morte.
5. CESARE BECCARIA
5.1 Importanza del testo “Dei Delitti e delle pene”
Come già accennato precedentemente, il testo di Beccaria - “Dei
delitti e delle pene” scritto tra il 1763 e il 1764 - ha un'importanza
ineguagliabile: per la prima volta si sviluppa un pensiero
abolizionista con alla base motivazioni ben precise.
Beccaria suddivide il proprio libro in 42 capitoli, ognuno dei quali
tratta un aspetto specifico della questione dibattuta, cioè la critica al
sistema giuridico vigente.
Le riflessioni presenti nel testo sono frutto di discussioni interne al
gruppo degli intellettuali che si raggruppava nell'Accademia dei
Pugni, in particolare delle discussioni tra Pietro Verri e lo stesso
Cesare Beccaria. La stessa pubblicazione de “Dei Delitti e delle
Pene” è frutto di un lavoro a due mani tra i due intellettuali, che subisce diverse modifiche, la cui
l'ultima per mano di Beccaria, considerato l'unico e reale autore del saggio.
L'opera incontrò da subito un notevole successo in tutta Europa, stimolando in particolare il
dibattito sulla pena di morte e spingendo sia Caterina II di Russia sia il Granduca di Toscana ad
abolire la pena (anche se queste riforme ebbero un breve periodo di attuazione).
Nel 1766 il libro venne incluso nell'indice dei libri proibiti a causa della distinzione tra reato (danno
fatto alla società) e peccato (si riferisce a una sfera religiosa, non rilevante in un discorso
prettamente giuridico)
5.2 Caratteri Generali “Dei delitti e della pene”
Dei delitti e delle pene vuole riflettere sul tema della giustizia, in particolare contrasta il sistema
giuridico dell'epoca, caratterizzato dalla presenza della pena di morte, della tortura, dalla lunghezza
dei giudizi, dalla carcerazione preventiva e dagli abusi in materia di prove.
Beccaria critica tutti questi elementi, riflettendo sul diritto, l'economia, la politica e la società.
Fondando il suo pensiero sull'utilitarismo, sul garantismo e sul contrattualismo, egli definisce
innanzitutto il diritto come strumento sociale, grazie al quale l'uomo passa dall'essere suddito
all'essere cittadino.
Questi gli orientamenti di pensiero presenti nel testo:
GIUSNATURALISMO: tendenza di filosofia del diritto che sostiene che il diritto vigente
debba fondarsi sul diritto naturale – cioè uguaglianza e libertà degli uomini secondo natura.
Il giusnaturalismo si evolve nel CONTRATTUALISMO, secondo cui lo stato è frutto di un
contratto tra uomini, che delegano a esso parte delle proprie libertà.
Nel capitolo 1 – Origine delle pene – emerge esplicitamente questo orientamento:
“Le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società,
stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall'incertezza di
conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità. La
somma di tutte queste porzioni di libertà sacrificate al bene di ciascheduno forma la sovranità di
una nazione, ed il sovrano è il legittimo depositario ed amministratore di quelle; ma non bastava il
formare questo deposito, bisognava difenderlo dalle private usurpazioni di ciascun uomo in
particolare, il quale cerca sempre di togliere dal deposito non solo la propria porzione, ma
usurparsi ancora quella degli altri.”
Viene ripresa in questo passo l'idea hobbesiana della società per dimostrare l'origine delle leggi e,
quindi, l'origine delle pene.
Le pene sono necessarie per:
difendere i cittadini che hanno rinunciato ad una parte della loro libertà
distogliere l'uomo a tornare nel caos dello stato di natura
GARANTISMO: dottrina politica che sostiene il rispetto delle
garanzie costituzionali dei cittadini contro possibili arbitri da
parte dello stato.
Beccaria nel testo realizza un quadro ben definito riguardo le
caratteristiche della pena e della legge.
La pena deve:
seguire il principio della pena minima necessaria. Ogni pena
superflua è considerata ingiusta
essere legittima
ogni atrocità inutile delle pene va contro la giustizia ed il
contratto sociale
essere proporzionata alla gravità del delitto ( maggiore è il
danno all'intera società maggiore è la gravità)
seguire il principio dell'utilità comune: l'unica misura è il danno fatto alla società, non
l'intenzione o la dignità della persona offesa
avere come fine quello preventivo e non quello retributivo
essere il maggior efficace possibile sui cittadini, minor dolorosa possibile sul reo
prontezza della pena, in modo da garantire la sua giustizia ed utilità
è più importante l'infallibilità della pena, rispetto la sua crudeltà: una pena certa, benché
moderata, fa più impressione che il timore di una pena terribile, ma evitabile.
In conclusione per essere legittima deve essere:
pubblica
pronta
necessaria
proporzionata
dettata dalle leggi
minima delle possibili
La legge deve:
essere conosciuta da tutti
essere scritta in modo semplice
il magistrato – giudice imparziale – non deve seguire delle interpretazioni, deve seguire alla
lettera i testi delle leggi
UTILITARISMO: dottrina etica che segue il principio del “massimo piacere per il maggior
numero di persone” e che fa da cornice all'intero saggio.
Esempi di pensieri utilitaristici:
Cap. VII – Errori nella misura delle pene:
“..l'idea della utilità comune, che è la base della giustizia umana..”
Cap. XII – Il fine delle pene:
“Il fine dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere
gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d'infliggerle deve esser prescelto che,
serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e
la meno tormentosa sul corpo del reo.”
5.3 Pena di morte e Beccaria
Beccaria affronta il tema centrale della pena di morte nel capitolo XXVIII – Della pena di morte.
Dopo aver affrontato il tema delle giustizia e della pena in generale, approfondisce diversi aspetti
del sistema giudiziario. In questo capitolo mette in rilievo i motivi del proprio contrasto alla pena di
morte, definendola guerra di una nazione contro un cittadino.
Innanzitutto egli afferma come questo supplizio possa rendersi necessario solo in due casi:
quando solo con la morte del reo si può salvare la sicurezza dello stato;
quando con la morte del reo si può impedire agli altri di commettere delitti.
Questo accade solo in momenti di instabilità politica e sociale.
Ma in condizioni normali viene considerata pienamente inutile.
Diverse le motivazioni che inducono Beccaria a contrastare la pena di morte:
sull'uomo è più impressionante l'estensione della pena
Infatti l'idea della morte per l'uomo è lontana e le impressioni violenti e brevi (come può essere una
esecuzione capitale) vengono dimenticate; al contrario le impressioni per colpire l'uomo devono
essere frequenti;
per alcuni l'esecuzione capitale può diventare uno spettacolo, suscitando compassione verso
il reo;
le pene moderate e continue sono più efficaci (come la schiavitù preventiva o l'ergastolo)
Infatti l'animo dell'uomo è più spaventato dall'incessante noia che dagli estremi ma passeggeri
dolori;
la pena di morte può diventare esempio di atrocità per l'uomo.
Infatti questa morte legale va in contraddizione con le leggi stesse (condannano l'omicidio, ma lo
commettono loro stesse);
cittadino si allontana dalla legge, poiché comincia a vederla come voce della forza del
potere. Con queste tesi Cesare Beccaria compie
un'enorme passo in avanti nella considerazione
della pena di morte. Per la prima volta in Europa
troviamo due diversi gruppi – abolizionisti e
anti-abolizionisti – che si confrontano portando
avanti idee e pensieri, diffusi attraverso saggi o
opuscoli.
Per la prima volta in Europa si accende un
dibattito che coinvolge diversi intellettuali e che
possiamo considerare tutt'oggi non concluso.
Per la prima volta l'intera società è invitata a
farsi un'idea riguardo un tema attuale, allora
come oggi.
6. “Storia della colonna infame” di ALESSANDRO MANZONI
“...ma fa orrore il rammentarsi l'innocenza, davanti a quegli uomini
stessi, spaventata, confusa, disperata, bugiarda, calunniatrice;
l'innocenza imperterrita, costante, veridica, e condannata
ugualmente.” (cap. 6)
6.1 Introduzione “Storia della colonna infame"
La “Storia della colonna infame” è il racconto commentato (una
vera e propria cronaca giudiziaria) di un processo agli untori che si
svolse durante l'epidemia di peste a Milano nel 1630.
La versione originale di questo testo doveva essere contenuta nella prima edizione dei “Promessi
sposi” (1923), intitolata “Fermo e Lucia” ed era caratterizzata dalla prevalenza di spunti
narrativi,dettagli apparentemente insignificanti e approfondimento psicologico. Nella revisione del
romanzo Manzoni ritenne opportuno toglierla a causa della sua estensione eccessiva e della sua
autonomia (sia stilistica che narrativa) rispetto all'opera principale.
La rielaborò nel corso degli anni con più approfonditi studi e ricerche storiche, con l'intento di
inserirla in appendice all'edizione definitiva dei “Promessi Sposi” (1840).
Neppure questa scelta venne messa in pratica e nel 1840 la “Storia della colonna infame” viene