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- Il Futurismo di Marinetti
- Il superuomo di D'Annunzio ("Il piacere")
- "Il ritratto di Dorian Grey" di Wilde
Arte:
- "La città che sale" (Boccioni)
- "La danza" (Beardsley)
- "L'urlo" (Munch)
- "Drag Queen", "La contessa", "Tenebre" (Paolo Schmidlin)
Musica e Costume:
- Veronica Louise Ciccone (Madonna)
- Stefani Joanne Angelina Germanotta ady Gaga)
- Brian Hugh Warner (Marilyn Manson)
civiltà moderna ed industrializzata, che determina il formarsi di un
gusto estetico molto diverso rispetto alle epoche precedenti.
Nell’estate del 1910, Boccioni iniziò l’elaborazione della ”Città che
sale”.
Sullo sfondo di un grande cantiere edilizio e delle ciminiere fumanti
delle fabbriche, compare in primo piano un gigantesco cavallo, teso
nello sforzo di trainare un carro con l’aiuto di diversi uomini. La
figura possente del cavallo, con la sua avanzata faticosa e
inarrestabile, simboleggia il progresso della nuova civiltà industriale
che si afferma grazie al lavoro e alla fatica dell’uomo moderno.
Le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi
come vibrazioni nello spazio.
Il momento più significativo dell’avventura futurista fu quello che
precedette lo scoppio della prima guerra mondiale, invocata da
Marinetti come la “sola igiene del mondo”.
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In generale, infatti, i futuristi erano sostenitori della guerra e
credevano anch’essi nell’idea del “superuomo”, concetto elaborato
da D’Annunzio, esteta pre-futurista che a sua volta vedeva nella
guerra una sorta di purificazione e, contemporaneamente,
progresso dell’umanità. Egli volle essere eccezionale come uomo
prima ancora che come scrittore e dedicò tutta la vita per costruire
la propria immagine. Per lui l’uomo superiore, definito
“superuomo”, deve impostare la propria esistenza come se fosse
un’opera d’arte da realizzare. Le sue prime teorie riguardo l’ideale
dell’esteta raffinato, avido di sensazioni e padrone di sé, vengono
pubblicate con “Il Piacere” nel 1889, dove narra le vicende di
Andrea Sperelli nel suo elegante ambiente che racchiude i principi
di una visione estetica della vita.
Ma questa concezione della vita degenera in una “natura
involontaria, in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva era
debolissima. […] La volontà, abdicando, aveva ceduto lo scettro agli
istinti, il senso estetico aveva sostituito il senso morale”
(D’Annunzio, op. cit.).
Nelle molteplici vicende di Andrea Sperelli vengono messe in luce
quelle che sarebbero le caratteristiche di un perfetto esteta: la
passione per l’arte e la bellezza, l’erudizione raffinata perché nutrita
di studi e letture; l’estensione del culto della bellezza dall’arte alla
vita: attraverso un perfetto dominio di sé – “habere non haberi” –
l’esteta fa della propria vita “un’opera d’arte” e l’estetica diventa
una morale. Diventa quasi spasmodica la ricerca della sensazione,
dell’immaginazione e del piacere come continua sperimentazione di
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nuove esperienze e nuove sensazioni, esaltando il “sofisma”, cioè il
rifiuto della razionalità.
Tutta questa ambiguità è tipica degli atteggiamenti decadenti,
intrinseca dell’esaltazione di qualcosa che si presenta come
“malsano”.
Gli stessi principi estetici e decadenti vengono ripresi nei romanzi di
Oscar Wilde, specialmente nel “Ritratto di Dorian Grey”, dove un
giovane innocente e spensierato viene fuorviato e completamente
corrotto dalle teorie estetiche e decadenti dell’amico Lord Enrico,
essendo continuamente conteso tra ciò che è realmente bello e
giusto, contemporaneamente a ciò che piace pur essendo
profondamente immorale. Dorian, nel corso della sua vita, tende a
confondere sempre più i due concetti, costellando la sua intera
esistenza di sofismi e di nuove voglie, sempre più morbose, da
sperimentare.
Le filosofie riportate in questi racconti, probabilmente favorite
anche dall’inarrestabile progresso tecnologico-industriale,
contribuirono a diffondere la mentalità secondo cui l’uomo viene
considerato “superiore”, non come qualcuno che riesca ad elevare
le masse a qualcosa di meglio, ma come qualcuno che – padrone di
una nascosta verità – ne dispone i benefici per elevare unicamente
se stesso, lasciando che le masse diventino il semplice strumento
per autocompiacere la propria immagine, senza il quale l’ “uomo
superiore” non avrebbe più modo di raggiungere la propria
realizzazione. 4
Tali concezioni sono ben espresse, in generale, dalle opere di
Beardsley, che infatti furono scelte rappresentativamente per
illustrare alcune opere di Oscar Wilde.
La seguente, per esempio, raffigurante una danza, caratterizza in
modo molto efficace la decadenza dei costumi e della moralità nella
posa lasciva, nell’espressione torbida del viso che – coerente con
l’atteggiamento vistosamente molle e sensuale della donna –
conferisce all’insieme un tocco di morbosità perversa.
Occorre tenere presente questo contesto culturale per arrivare
finalmente a comprendere nel suo complesso con maggior
consapevolezza, il quadro culturale che fece da sfondo allo scoppio
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della prima guerra mondiale nel 1914 e, pochi lustri più tardi, a
quello della seconda guerra mondiale nel 1939, due dei più rilevanti
eventi drammatici che hanno segnato profondamente questo
secolo.
Un secolo che potrebbe aprirsi con le parole di Munch:
« Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole
tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai,
mi appoggiai stanco morto ad una 'palizzata. Sul fiordo nero-azzurro
e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici
continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo
che un grande urlo infinito pervadeva la natura. »
L'opera è un simbolo dell'angoscia e dello smarrimento che
segnano tutta la vita del pittore norvegese e che ben caratterizza
un secolo precipitoso e caotico, ambiguo e violento, carico di
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inquietudini e contraddizioni: è il secolo delle conquiste spaziali,
delle crisi economiche, delle riprese vertiginose, delle conquiste
sociali, dei progressi della medicina e della chirurgia, della fiducia
cieca nel potere della scienza e della tecnologia, ma anche della
guerra fredda, degli armamenti, del consumismo e dei lager
sovietici, della contestazione studentesca, del
femminismo/maschilismo più deteriore: nient’altro che due facce
della stessa medaglia.
E’ soprattutto il secolo del relativismo morale, della complessità,
dell’ambiguità, della confusione e dell’indeterminatezza, spinte fino
al punto da fondere e confondere persino valori e istituzioni fino a
qualche decennio prima ben definiti, indiscutibili e intoccabili:
l’uomo e la donna, la famiglia, il matrimonio, il sesso, la religione,
l’identità stessa dell’uomo e dei gruppi sociali, sempre più mescolati
in un caleidoscopio di razze, lingue, culture, tradizioni, religioni,
valori, pseudo-valori ed estremismi talora esasperati e distruttivi.
Lo slancio audace e inarrestabile di angosce e speranze, si proietta
su uno scenario dalle tinte fosche, che trova il suo sbocco
all’ingresso del terzo millennio: si apre un nuovo capitolo nella
storia del mondo, della cultura e dell’arte, caratterizzato – oltre che
dall’ambiguità – da un potente emergere del “brutto”, con buona
pace dell’ideale di uomo “bello e buono” degli antichi greci.
L’ideale del “brutto e cattivo”, non meno che osceno; quasi
un’apoteosi dell’assurdo, in tutte le sue forme ed espressioni, non
solo nelle arti plastiche e figurative, ma anche musicali, nella moda
e nel costume. Una semplice occhiata, anche superficiale, all’opera
di Paolo Schmidlin, chiarisce bene le nuove degenerazioni:
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“Drag Queen” “La contessa” “Tenebre”
Senza contare le assurdità eccentriche di artisti che fanno
dell’immagine un “dio” assoluto – prescindendo talora dal benché
minimo senso del buon gusto – proponendo modelli che incontrano
largo consenso presso i giovani: abiti fatti di carne cruda,
travestimenti osceni, atteggiamenti trasgressivi, ostentazione di
una sessualità perversa e ambigua: Lady Gaga
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