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Parità dei sessi-tesina



Storia: nazismo (Hitler) e condizione lager
Filosofia: la corrente dell'Esistenzialismo ( filosofa Simone de Beauvoir)
Italiano: Alfred Rosenberg, Mito del 20 secolo
Diritto: il femminicidio secondo la giurista Barbara Spinelli
Estratto del documento

Introduzione

Nonostante il ruolo della donna nel Novecento sia stato, e rimanga tuttora,

ampiamente analizzato, con questo mio lavoro, ho voluto rivolgere l'attenzione al

la donna vittima che ha contribuito

binomio, o per meglio dire contrasto, tra la donna forte e

in entrambi i casi alla formazione di una sua spersonalizzazione, operata tramite

un'accurata manipolazione psicologica da parte dello Stato e della stessa società

vigente. Mi sono prevalentemente interessata ad analizzare tale situazione nel

panorama della Germania hitleriana proprio perchè tale ossimoro è più evidente e

più interessante, in quanto il sistema totalitario che si è affermato sia nelle modalità

di ascesa al potere sia nel sua continuazione è sorto grazie ad un'abile operazione

psicologica: così come la società civile si è lasciata traviare da un leader

carismatico, così la donna ha scelto consapevolmente e non , di essere influenzata

dal regime. La mia analisi condotta in merito alla donna forte-vittima non è

finalizzata a descrivere uno spaccato sociale-politico oramai decaduto ma ad

analizzare la società odierna, corrotta da mere superstizioni e discriminazioni

operate anche in questo caso su un piano psicologico. Il femminicidio, crimine

orrendo di genere inflitto alla donna, che sta assumendo sempre più un'importanza

mediatica, ritengo sia un “degno” erede di quanto violenza la donna ha sempre

subito, in special modo durante un contesto statale totalitario.

Punti chiave

la donna tedesca sotto il nazismo

la donna SS nei lager

donna vittima nei lager

il Secondo Sesso di Simone de Beauvoir

il femminicidio secondo Barbara Spinelli (cenni)

E' giusto evidenziare come la falsa creazione del prototipo di donna- madre forte, in

Germania durante gli anni trenta del Novecento, non derivasse da un presupposto politico

come avvenne in Italia, ma da un presupposto biologico di inferiorità dal quale le donne

erano all'oscuro ma che cementificò la loro sicurezza. Il nazismo, aveva alla base una

concezione antifemminista, radicalizzata sulla presunta distinzione “naturale” dei sessi: gli

uomini erano produttivi e creativi nel mondo della politica e della guerra, le donne,

riproduttive e passive all'interno delle mura domestiche, per cui dovevano essere confinate

ai loro compiti di mogli e madri. Lo stesso ministro della propaganda Joseph Goebbels

asserì:” il posto giusto che le spetta è nella famiglia e il suo compito meraviglioso consiste

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nel donare figli al popolo e alla nazione”.

Questa inferiorità biologica fu teorizzata dal maggiore ideologo del regime Alfred

Rosenberg che nell'opera “Mito del 20 secolo” attribuisce gli elementi positivi della storia

della civiltà al carattere maschio e virile dell'uomo infatti. Egli analizzando le varie razze

afferma che quelle nordiche o ariane rappresentano il «principio maschile» dell’umanità:

tutto ciò che è forma, misura, ordine, gerarchia, proporzione, ritmo e armonia, si tratta di

un principio essenzialmente nobile e aristocratico dal quale deriva ogni fecondità

creatrice . Le razze orientali, per contro, rappresentano il «principio femminile» cioè

quanto nella vita della umanità è materia informe, caos, dissoluzione, ebbrezza orgiastica,

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sensualità sfrenata, demonismo e magia.”

D'altro canto il regime si rese conto che per l'affermazione di un grande Stato, fosse

necessario il loro contributo per eliminare “l''inquinamento razziale”; in particolare si

richiedeva che esse generassero molti figli, denunciassero i vicini sospetti e boicottassero

i negozi ebrei, non tralasciando di ripulire la società civile dalle idee non germaniche. La

nuova donna avrebbe dovuto così intraprendere la lotta razziale attivamente ma al

contempo sottomettersi passivamente all'uomo: “per quanto umiliate dal disprezzo

maschile potevano pur sempre andare orgogliose della loro superiorità nei confronti degli

ebrei. Nelle donne naziste l'arroganza razziale andava di pari passo con la sottomissione

sessuale.

Date queste premesse, inevitabile risulta l'interrogativo storico sul perché molte donne

abbiano potuto aderire all'abominio della guerra e soprattutto ci si chiede a cosa si deve la

partecipazione di una consistente componente femminile agli stermini nei campi di

concentramento?

Con il nazismo Hitler si presentava come il Messia, infatti le donne aderirono prima al

partito nazional socialista e poi accettarono il nuovo regime, in quanto speravano di

conseguire in cambio la possibilità di plasmare la propria sfera, quella femminile, senza

che gli uomini interferissero.

Per generazioni il punto di riferimento della loro vita pubblica era stata la Chiesa, in cui

continuavano a non godere diritti degni di questo nome, e non lo Stato, che, soltanto da

poco, aveva concesso loro il diritto di voto. Le donne non erano, per nascita, titolari di

diritti: questi erano concessi loro dagli uomini.

Le donne, tendendo alta innanzi a sé la "sacra fiamma della maternità" avrebbero

perseguito un compito ben più ambizioso di quello degli uomini, quello di purificare la

cultura del popolo; lo strumento essenziale era il matrimonio come garanzia della

conservazione e della moltiplicazione della specie e della razza e nell'allevare corpi sani.

Ciò permise loro di andare comunque orgogliose della propria superiorità nei confronti di

Ebrei, Slavi, Zingari di ambo i sessi. Molto probabilmente fu proprio questa condizione di

inferiorità inaccettata ed inaccettabile che spinse numerosissime donne ad entrare ad

esempio, a far parte delle SS; entrando a far parte di un corpo militare, esse avrebbero

1- Joseph Goebbels , frase pronunciata in un discorso pubblico alla nazione

2- Alfred Rosenberg, Mito del 20 secolo

dovuto seguire un vero addestramento per imparare a gestire i campi nel modo più utile e

“proficuo”. Sfruttando la loro posizione, le donne erano in grado di esercitare un potere,

qualsiasi potere su individui considerati inferiori, riscattando così, nei campi, la marginalità

del loro ruolo nella società.

Quest' ultime svolsero ruoli di rilievo come impiegate, ausiliarie, infermiere, sorveglianti dei

Lager che permisero alla “macchina dello sterminio” di funzionare perfettamente.

Ci furono infermiere che lavoravano all'interno dei campi di concentramento, trasportando

o “avendo cura” delle vittime al loro arrivo ,che erano perfettamente consapevoli della

tragica fine riservata a queste povere vite umane; molte impiegate delle segreterie

falsificavano i certificati di morte naturale toccata alle vittime, legalizzando questa

spregevole procedura dell'assassinio. Lo stesso ruolo delle mogli delle SS è emblematico:

si è riscontrata una loro presenza nei luoghi in cui veniva messo in atto lo sterminio e

come ciò abbia creato “una normalità nell'orrore”. Molte di esse, vissero nelle zone

operative dei mariti come gli insediamenti all'interno dei Lager, nelle ville dei comandanti

dei ghetti, in città e villaggi dei territori occupati. Di tale sistema le donne beneficiarono in

larga misura: sfruttavano i prigionieri come personale di servizio , partecipavano alla

corruzione all'interno dei Lager, si impossessavano degli averi degli ex proprietari ebrei.

Un aspetto sul quale non ci si sofferma spesso, è la presenza di oltre 4000 guardie

femminili, le sorveglianti SS che costituivano il 10 per cento del personale dei Lager.

Esercitavano liberamente questa attività facendo domanda su propria iniziativa e una volta

perseguita una splendida carriera, partecipavano direttamente al sistema di persecuzione

e di morte, come testimoniato nelle successive sedi processuali da alcune sopravvissute

che riferirono di sorveglianti particolarmente feroci e spietate, cui uno tra i compiti era di

partecipare alla selezione delle camere a gas, oppure esecutrici del massacro. Ci sono

esempi di queste donne sorveglianti chiamate Aufseherinnen molto spregevoli: chi si

divertiva a sparare ai prigionieri dal terrazzo della loro casa, una di loro assunse alla morte

del marito la direzione del Lager di Maslowitz o cosa più agghiacciante la testimonianza di

una sopravvissuta Theodora Reifler che testimoniò riguardo la moglie di un capo della

Gestapo: “la signora B. seviziò gli ebrei con un frustino . Una bambina voleva qualcosa,

ella si scagliò contro la piccola, la colpì fino a farla cadere a terra e alla fine la calpestò con

i piedi. Quando la madre la sollevò da terra era inanimata e, come credo, morta.

Mia sorella Melanie era impiegata nei lavori di giardinaggio. Mi raccontò che la signora B.

non era soddisfatta del risultato del lavoro di tre ragazze. In conseguenza di ciò, la signora

mandò a chiamare l'uomo della Gestapo, Gunther e gli dette l'ordine di fucilarle, cosa che

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egli fece davvero”. Altre si scagliavano in maniera generale sulle donne prigioniere

secondo un'anonima testimonianza, “quasi per esaltare il proprio ruolo di potere, per

marcare in modo esasperante il fatto che esistessero secondo la concezione nazista

individui di categorie diverse, in questo caso donne di serie A, che potevano permettersi di

decidere sulla sorte altrui, e donne di serie B, destinate a soccombere per decisione di

individui che si ritenevano superiori.”

“La durezza di queste donne stava dunque nel colpire le vittime non tanto fisicamente

quanto emotivamente, attraverso l’umiliazione, un'arma potentissima che non lascia segni

fisici evidenti ma rimane indelebile e permanente poiché logora e consuma l’animo

dell’individuo. [...] A volte le aguzzine sceglievano tra le prigioniere coloro che erano più

belle e sane e le costringevano a prostituirsi nelle baracche a luci rosse, bordelli presenti

all’interno dei campi riservati ai militari e ad alcuni internati che avevano per qualche

motivo collaborato con le SS. […]

Molte sono le testimonianze che sottolineano come spesso le aguzzine fossero assai più

crudeli e intransigenti degli uomini; a volte i prigionieri e le prigioniere tentavano di

guadagnarsi qualche piccolo favore (un pezzo di pane, una coperta) facendo leva sui

sentimenti di queste, ricevendo in cambio soltanto odio e crudeltà.”

3 Theodora Reifler, testimonianza processuale

Come già accennato, è riscontrabile in questa pazzia generale del genere femminile, non

una reale forza ma una passivo e non lucido adeguamento al genere maschile,

permettendo loro di tollerare queste assurdità. Questa forma di sottomissione passiva, in

molti casi si rivelò come consapevole, ma la società esterna non permise loro di poter

rompere le catene di questa tortura psicologica e soprattutto fisica. La situazione della

donna vittima dei Lager non era altrettanto splendida infatti il titolo dell'articolo con cui

pubblicò la questione in merito, una giornalista, Stefania Maffeo è significativo: “ e nei

lager nazisti prese sadica forma l'odio contro la donna”, presupponendo che gli orrori della

guerra coinvolsero indistintamente uomini e donne, ella su accinge a narrare in

maniera più dettagliata la deportazione femminile non perchè sia più dolorosa ma perchè

ci permette di cogliere un'angolatura diversa della storia macchiata dal totalitarismo. Molti

sono gli esempi di donne nei Lager: madri a cui sono strappati i figli, o che non possono

salvare il destino delle loro madri, collaborazione o durezza tra le prigioniere, le donne che

divengono madri in lager e vedono assassinare o far morire di stenti i figli; le vittime degli

esperimenti chirurgici. Il fatto che le testimonianze di deportate donne siano pressappoco

assenti farebbe pensare che il destino umano e quello femminile fossero simili, sbagliando

anche in questo caso a non evidenziare la diversità di genere in quanto la natura stessa

delle donne è diversa da quella degli uomini, soprattutto perché si parla di generazioni che

sono cresciute nella società fortemente patriarcale del regime fascista, nazista, stalinista o

in qualsiasi altro Stato liberale e democratico. Proprio alcune deportate dissero agli atti

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