Indice
Contesto Storico e Personaggi
Questo ventottesimo capitolo vede al suo interno diverse vicende, quali soprattutto riguardanti la guerra e la carestia. I luoghi che fanno da sfondo sono Milano, la Lombardia in generale e il lazzaretto, mentre il tempo in cui si svolgono i vari avvenimenti sono compresi dall’11 novembre 1628 all’autunno 1629.
I temi prevalenti restano invariati e i personaggi sono Antonio Ferrer, il cardinal Borromeo, Don Gonzalo, Ambrogio Spinola e il popolo di Milano.Conseguenze del Tumulto di S. Martino
Nei giorni seguenti al tumulto di S. Martino, il prezzo del pane a Milano ritorna ad essere nuovamente abbassato per conseguenza delle nuove gride e i rivoltosi che hanno partecipato alla sommossa sono soddisfatti, persuasi che ciò sia un risultato derivante dai disordini creati: tutti però hanno paura che la cosa non duri a lungo e perciò c’è una corsa ai forni per acquistare il pane a prezzo ribassato, cosicché ben presto farina e pane ritornano a scarseggiare. Per tale motivo, appunto, il cancelliere Antonio Ferrer il 15 novembre pubblica una grida con cui si proibisce a chi ha in casa farina o grano di acquistare altro pane, mentre agli altri intima di non acquistare pane in quantità superiore al bisogno di due giorni, sotto minaccia di severe pene. Allo stesso tempo le autorità milanesi impongono ai fornai di continuare a produrre pane in quantità e minacciano del mancato adempimento.
Misure Governative e Grida
Oltretutto occorre rifornire i fornai della materia prima, e a tal fine si pensa di far entrare il riso nel composto del pane “di mistura”, ottenuto ovvero mescolando al grano anche orzo e vecce: così, una nuova grida ordina di sequestrare tutto il riso non brillato ancora presente in città, minacciando le solite pene severissime. Poiché tuttavia occorre pagare questo riso ad un prezzo troppo alto rispetto a quello del pane, inizialmente viene imposto alla città di ripianare la differenza. Il governatore pubblica successivamente un’ulteriore grida con cui fissa il prezzo massimo del riso non brillato a dodici lire il moggio, mentre è probabile che un calmiere simile sia stato fissato anche per il grano e i cereali.
Effetti della Carestia a Milano
Il pane e la farina vengono mantenuti di conseguenza a buon prezzo e il logico effetto è che il popolo accorra in gran numero a Milano dalle campagne per comprarlo: per risolvere il problema, don Gonzalo pubblica l’ennesima grida con cui proibisce di portare fuori dalla città il pane per più di venti soldi. I rivoltosi hanno voluto produrre l’abbondanza con forza e con la violenza e allo stesso modo intende il governo mantenerla, anche se ciò causerà a lungo andare l’esaurimento delle scorte. L’autore osserva qua che, quando c’è carestia il popolo reclama a gran voce provvedimenti di questo genere e quando ne ha la possibilità li impone con la sommossa, per cui il governo è obbligato a emanare nuove leggi per rimediare alle conseguenze negative che si creano come un “effetto domino”. Qualcosa di simile è tuttavia avvenuto in Francia durante la rivoluzione del 1789, nonostante i progressi compiuti dalla scienza e dalla filosofia, e ciò perché la massa popolare ignora queste cognizioni e impone la sua volontà con la violenza. Anche il tumulto di S. Martino ha prodotto conseguenze dannose, ovvero lo sperperamento di grano e farina durante l’assalto ai forni e il consumo eccessivo delle scorte nei giorni seguenti, senza contare l’omicidio dei quattro rivoltosi in seguito ai disordini.
Inoltre, non è neppure chiaro quando il calmiere riguardo al prezzo del pane venga abolito, anche se secondo l’autore debba essere avvenuto poco prima del 24 dicembre 1628, giorno dell’esecuzione dei presunti capi della sommossa: del resto, dopo la grida del 22 dicembre non si ha notizia di altri provvedimenti e perciò gli storici si sono limitati a descrivere la situazione di Milano nel momento in cui la carestia riesplode con tutta la sua violenza, cosa inevitabile dopo i provvedimenti presi dal governo che hanno portato all’esaurimento delle scorte, mentre vi sono stati altri ostacoli al reperimento di altro grano da Stati esteri.
Desolazione e Mendicità
Lo spettacolo della città nei mesi a venire è a dir poco desolante: botteghe chiuse, fabbriche abbandonate, strade invase da accattoni.
Tra questi vi sono anche i garzoni licenziati dalle botteghe, padroni stessi rovinati dagli affari e operai senza lavoro, tutti tenuti a chiedere la carità. Tra questi mendicanti vi sono perfino dei servitori di nobili non ancora caduti in miseria, ma impoveritisi al punto di non poter mantenere un seguito, e insieme a loro anche donne, vecchie e bambini che campavano grazie ai loro guadagni. Non è neppure insolito vedere per strada dei bravi, licenziati dai loro signori e riconoscibili dai loro ciuffi arruffati, costretti a stendere la mano che in passato hanno usato per minacciare.
Al triste esercito dei mendicanti si aggiungono presto i contadini venuti a Milano dalle campagne con le proprie famiglie, poiché le loro case sono state spogliate dalle soldatesche: molti di loro conservano le ferite inferte dai militari, mentre altri sono riusciti a evitare le violenze dell’esercito ma non le tasse imposte loro dalla guerra, per cui si sono riversati nella città sperando di ricevere soccorso, e trovano invece altri accattoni pronti a far loro concorrenza.
Dormono tutti accalcati a terra dentro piccole stanze, a venti per volta, o sotto il portico, stesi su paglia putrida o sulla terra. Il pane è scarso e di pessima qualità, cosa inevitabile in simili circostanze, per di più alterato con sostanze poco nutrienti, mentre perfino l’acqua scarseggia e dev’essere attinta dall’acqua stagnante del fossato.
Raccolto e Ripresa
Fortunatamente nell’estate del 1629 si verifica un raccolto di grano abbondante, che fa cessare la terribile carestia, consentendo agli accattoni di lasciare Milano per tornare nelle campagne: il Cardinal Borromeo fa consegnare a ogni contadino che si presenti all’arcivescovado una moneta d’argento e una falce per mietere, mentre nelle settimane seguenti scende anche il numero di morti dovuti alle malattie epidemiche, nonostante i decessi si prolunghino sino all’autunno.
Minaccia dei Lanzichenecchi
Il passaggio dei lanzichenecchi spaventa soprattutto per le ruberie e i saccheggi, ma anche perché la peste cova tra le file armate; perciò, il Tribunale di Sanità incarica uno dei suoi funzionari, il medico Tadino, di comunicare il pericolo imminente al governatore don Gonzalo, il quale però non sembra comprendere la minaccia e si limita a rispondere che il passaggio dell’esercito imperiale avviene per questioni politiche, e non si può impedire.
Saccheggi e Distruzione
Intanto le soldatesche dell’esercito imperiale, guidati da Rambaldo di Collalto, nel settembre 1629 arrivano nel Ducato di Milano con l’ordine di raggiungere Mantova: all’epoca le milizie erano quasi sempre composte da mercenari, arruolati su commissione di qualche principe o anche per proprio conto; tali soldati erano attirati dalle paghe e, soprattutto, dalla speranza di ottenere un ingente bottino grazie ai saccheggi di cui si abbondavano senza freni, incoraggiati spesso dai loro stessi comandanti.
Molti abitanti del milanese lasciano le loro case rifugiandosi sui monti, spesso portando con sé le bestie, mentre altri restano a custodire le abitazioni e i pochi averi, alcuni nella speranza di unirsi ai saccheggi. Quando una squadra di lanzichenecchi arriva in un paese lo mette a soqquadro, sottoponendo il saccheggio in tutto il territorio circostante e distruggendo tutto il resto: il mobilio delle case viene bruciato, le abitazioni diventano stalle e gli abitanti subiscono percosse o brutali uccisioni.