Concetti Chiave
- Lucrezio invoca Venere invece delle muse greche, presentandola come simbolo dell'edoné e della bellezza rappresentata dalla saggezza.
- Venere è vista come un'allegoria del principio vitale che anima il mondo e come progenitrice degli Eneadi per legarla al popolo romano.
- Empedocle aveva precedentemente definito Venere come datrice di vita, e Lucrezio segue questa linea, esaltando la sua influenza sulla natura e la vita.
- Lucrezio utilizza termini innovativi e concetti mitologici, come gli aggettivi coniati sul modello di Ennio e l'enjamblement che sintetizza momenti fondamentali della vita.
- Il testo esalta Venere attraverso un'epifania che celebra la primavera e il rinnovamento della natura, con richiami scientifici al pensiero di Epicuro.
Generalmente si invocava una delle 9 muse greche o le camene, invece Lucrezio invoca la dea Venere. L’incipit non richiama quello dei poemi greci, ma gli inni composti per gli dei. Il primo dubbio è conciliare l’epicureismo che elimina gli dei dalla vita con un inno alla dea, ma Lucrezio considera Venere simbolo dell’edoné, della bellezza raggiunta con la saggezza, un’allegoria del principio ispiratore, sinonimo del principio vitale che anima e popola il mondo. Vi erano due Veneri adorate, la prima era la dea dell’amore e della bellezza, la seconda, a Pompei, era simbolo della natura, descritta da Empedocle. Lucrezio descrive Venere come progenitrice degli Eneadi per poterla unire al popolo romano, genetrix è un’attribuzione etnico-politica. Empedocle, prima di Lucrezio, aveva definito Venere alma, datrice di vita. Vi è un excursus all’interno della natura, partendo dai cieli, con il moto degli astri che segnala il succedersi della luce e del buio ed indica il succedersi della vita. Sul modello di Ennio conia due aggettivi: navigerum e frugiferentis. L’enjamblement tra il 4° e il 5° verso sintetizza tre momenti fondamentali della vita: il concepimento, la nascita e l’apertura degli occhi. Il termine "viso" viene usato erroneamente oggi per indicare tutto il volto, invece indica solo lo sguardo, che è la prima manifestazione di partecipazione affettiva a ciò che accade, quindi Lucrezio usa il visit, che verrà ripreso nel giusto significato da Dante, come qualcosa che indica partecipazione affettiva alla vita. "Daedala" può derivare dal greco daidalein come "capace di variare", ma anche da Daedalo, famoso nei miti greci per il suo ingegno, quindi prende anche il significato di ingegnosità. Riprende il mito di Eolo, che ogni stagione liberava un vento. Zaffiro è il vento fecondatore, primaverile, e torna il tripudio degli animali, spunta l’erba novella, quindi lo scenario su cui agisce Venere diventa universale, in questo senso riprende l’aspetto scientifico di Epicuro nel tripudio della natura in primavera con lo scopo della procreazione. Questi primi 20 versi costituiscono un’epifania, ossia un’esaltazione di Venere in maniera diversa dal solito.
Domande da interrogazione
- Perché Lucrezio invoca la dea Venere nel suo inno, nonostante l'epicureismo elimini gli dei dalla vita?
- Qual è il significato dell'attribuzione "genetrix" a Venere da parte di Lucrezio?
- Come viene rappresentata la natura nel contesto dell'inno a Venere?
Lucrezio invoca Venere come simbolo dell'edoné e della bellezza raggiunta con saggezza, un'allegoria del principio vitale che anima il mondo, conciliando così l'epicureismo con l'inno alla dea.
"Genetrix" è un'attribuzione etnico-politica che unisce Venere al popolo romano, descrivendola come progenitrice degli Eneadi, e sottolinea il legame tra la dea e la cultura romana.
La natura è descritta attraverso un excursus che parte dai cieli e include il moto degli astri, simbolizzando il ciclo della vita, e culmina nel tripudio primaverile della natura, enfatizzando il ruolo di Venere come datrice di vita.