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Quintiliano - Vita e l'opera "Institutio Oratoria" Pag. 1
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Sintesi

Quintiliano


Quintiliano è originario della Spagna (è nato a Calagurris, ora Caloharra) ma la data non è conosciuta con esattezza (forse fra il 30 e il 40 d.C.). Già da giovane ha la possibilità di venire a Roma, di studiare con ottimi maestri.
Nel 60 d.C. tornerà in patria e svolgerà l’attività di retore. Questa sua attività lo mette in luce positivamente: quando Galba, dopo la morte di Nerone (68 d.C.), viene acclamato imperatore dalle regioni della Spagna, vuole che Quintiliano lo accompagni in Italia. Il suo ruolo di prestigio viene confermato anche dagli imperatori successivi. Nel 78 d.C. Vespasiano gli attribuisce la prima cattedra pubblica di retorica.
La sua influenza culturale viene molto apprezzata: insegnerà fino al 88 d.C. (forse sia Tacito che Plinio il Giovane furono suoi discepoli). Nel 94 d.C. Domiziano gli affida l’educazione di due nipoti e lo nomina console.

L’anno di morte non è preciso (dal 96 al 100 d.C.). Sappiamo che esercitò l’attività di avvocato e pubblicò una sola orazione (tuttavia circolarono un’altra serie di orazioni non pubblicate con l’autorizzazione dell’autore ma erano orazioni pronunciate durante i processi).

Un’opera importante, scritta intorno al 90 d.C., è il De causis corruptae eloquentiae. Si situa nel dibattito dell’epoca per quanto riguarda la decadenza dell’oratoria. Dato che siamo in un periodo in cui la storia dell’oratoria è finita e non c’è libertà di parola, Quintiliano attribuisce la causa allo scarso valore informativo dell’oratoria: non c’è più un rapporto con la realtà. Non ci sono dei buoni insegnanti e adesione al reale, ma c’è un degrado dei costumi.

Negli ultimi anni della sua vita si dedica alla sua opera più importante che ci è pervenuto: Institutio oratoria (suddivisa in 12 libri).
È un’opera molto dettagliata in cui Quintiliano spiega il significato dell’oratoria e il suo modo di insegnarla. Come già Cicerone, Quintiliano ritiene che la retorica serve per formare l’uomo e il cittadino, prima ancora dell’oratore; questa formazione deve iniziare da bambini.

Nei primi due libri spiega come il futuro cittadino debba avere un’educazione attenta: fa uno “studio psicologico dell’età evolutiva” perché parla dello sviluppo dei bambini, che imparano per emulazione. Non solo i maestri dovranno avere particolare attenzione nel valutare l’indole del bambino, ma sono i genitori che devono occuparsi della prima educazione, che nasce in famiglia. Bisogna avere particolare attenzione a fornire dei modelli positivi ai bambini e bisogna stare attenti al modo di educarli con l’esempio.
Il gioco ha un valore importante perché stimola l’intelligenza, se fatto con coetanei aiuta la relazione. L'apprendimento deve essere insegnato gradualmente senza forzare i bambini ed eliminando le punizioni fisiche (questo non viene approvato da Quintiliano, che ritiene che siano inutili e che servano solo ad umiliare bambini e ragazzi; i maestri devono far emergere l’indole del singolo discepolo e valorizzare le sue qualità).

A partire dal secondo libro, comincia ad essere trattato il ruolo specifico della retorica, che è il punto di arrivo di un percorso scolastico, che deve già essere precedente (anche perché si entrava nelle scuole di retorica all’età di 17 anni).
Nel secondo libro si sofferma sui metodi di insegnamento e sulla questione se la retorica sia utile, se sia un'arte, di quali discipline si componga e se siano le doti naturali o gli insegnamenti della dottrina che contribuiscono di più a formare il futuro oratore.


Nel terzo libro, fa una breve storia della retorica nel mondo greco-latino, con il riconoscimento dei grandi modelli del passato (Demostene e Cicerone). Esamina anche le 5 spartizioni del discorso retorico (affrontate con Cicerone, cioè inventio - dispositivo - elocutio - memoria - actio) e riflette su modelli che gli oratori greci e latini ci hanno fornito nelle singole parti.

Nell’ultimo libro, il dodicesimo, spiega chi è l’oratore perfetto e quali siano i suoi compiti: il vir bonus dicendi peritus, come già nominato da Cicerone (però in epoca imperiale cambia la sua funzione).
È un uomo che deve agire non per il bene proprio, ma per quello collettivo; tuttavia non esiste più un bene collettivo perché lo Stato si identifica con l'imperatore.
Quintiliano fa capire che l’oratore può essere un “fedele e prudente collaboratore del principe”. Potrebbe essere una sorta di mediatore culturale tra il principe e la società, assumendosi il ruolo di salvaguardare gli ideali della tradizione culturale romana, essendo lui stesso un modello civile di questi valori, in modo da avere una figura di equilibrio.
Nello stesso periodo in cui scrive questi libri, Domiziano sta eliminando, con ferocia, gli oppositori politici, che con la loro parola mettono in discussione l’attività imperiale. È una situazione molto delicata: l’oratore ha la funzione di educare / essere un moderatore che possa fare da anello di unione tra il principe e la società (è più un ruolo ideale).

Il fatto di trovarsi in età imperiale e il fatto che la parola stessa abbia un significato diverso fa riflettere sullo stile usato da Quintiliano.
Per quanto riguarda lo stile, Quintiliano si pone sulla scia di Cicerone. Critica Seneca, del quale non apprezza lo stile irregolare, gli sembra essere un modello negativo: lo si può conoscere solo dopo avere una buona formazione per poter vedere le irregolarità.
In realtà, lo stile dell'età imperiale è molto più vicino a quello di Seneca che a quello di Cicerone: lui stesso è lontano dallo stile ciceroniano. Di fatto quello stile che lui critica in realtà è quello che si parla ormai da decenni nello Stato romano: quello che cerca di non fare è usare artifici retorici atti a dilettare (è uno stile più sobrio).

L’eloquenza dovrà aiutare a formare il cittadino romano, il futuro oratore, però è una delle tante discipline, cioè le altre discipline che devono formare l'uomo sono la storia, il diritto, la filosofia e la conoscenza letteraria. La formazione filosofica è stata molto importante per Cicerone: è la base per discernere il bene dal male.
Per Quintiliano è un po’ diverso: solo chi è padrone degli strumenti dell’eloquenza potrà captare gli insegnamenti filosofici. A Quintiliano sembra che Seneca sia trascurato nella filosofia perché si esprime con un lessico, una struttura sintattica e retorica che non soddisfa l'esposizione che Quintiliano teorizza dovrebbe essere quella dell’oratore.


Il dibattuto sulla corruzione dell’eloquenza era molto sentito nel mondo antico, a partire dall’età imperiale (seconda età augustea), ma man mano diventa più grave con i successori di Augusto. Viene attribuita a 2 motivi esterni: il degrado morale e una modifica nel gusto stilistico, anch’essa uno “sbiadimento” del gusto espressivo.
Chiaramente dietro c’è una motivazione politica, che quasi nessun autore dichiara; solo 2 opere parlano della gravità della situazione politica (una pervenuta anonima, l’altra, “Dialogus de oratoribus” è attribuita a Tacito ma è probabile non sia sua).



Solo in queste opere si fa riferimento al fatto che la mancanza di libertà politica non permetta più il confronto tra ideologie e posizioni diverse; nel momento in cui la giustizia è controllata dall’imperatore e gli esiti dei processi sono controllati dalla famiglia imperiale è chiaro che ci sia una mancanza di libertà di parola, che fa diventare l’eloquenza un esercizio letterario.

Quintiliano si sofferma sul fatto che la responsabilità è quella dei maestri, che possono essere loro stessi corrotti e corruttori. Il fatto che esistano dei maestri in qualche modo incapaci a sì che anche quello che si impara nella scuole sia di fatto puramente un’esercitazione retorica: all’interno delle scuole si facevano sì dei dibattiti, che però erano fini a se stessi e diventavano un esercizio di stile e, come tali, esasperavano gli stili (es. atticismo, asianesimo).
Lo stesso gusto stilistico fa sì che ci siano dei dibattiti; Quintiliano ha come modello la struttura di Cicerone quindi mira ad uno stile che si rifà all’atticismo e all’asianesimo.

Un altro aspetto che viene sottolineato, frutto sia del degrado morale sia di quello stilistico, è la delazione. Anche i processi fittizi, creati per la delazione, diventano anch’essi un esercizio retorico (perché non c’è un’accusa vera e propria). Il dibattito fittizio diventa una sorta di spettacolo, una cultura di intrattenimento: le declamaziones si servono comunque dei metodi della retorica (es. controversia) ma su argomenti inverosimili. Questi personaggi affrontavano dei casi esasperati, dei casi limite. Queste esercitazioni avevano un certo successo di pubblico perché diventavano uno spettacolo di retorica.

Tutte le età di decadenza hanno delle forme di cultura e di esibizione del sapere, che qui diventano un vuoto fine a sé stesso, con una ricaduta di intrattenimento e con l’illusione di discutere su qualcosa di serio però sono cause fittizi, su problemi improbabili. Si coltiva una cultura fine a sé stessa, che diventa soltanto un esercizio retorico in un’età che non ha nulla da proporre.

L’oratore, secondo Quintiliano, più che fare disquisizioni profonde sulla vita, che potrebbero metterlo nei guai, è bene che sappia parlare e che sappia usare la parola in modo intelligente, in modo che quello che si dice possa essere la giusta mediazione tra il potere imperiale e l’esigenza dello Stato. È molto difficile trovare questa possibilità di rimanere nelle grazie delle imperatore.
Estratto del documento

Quintiliano

Quintiliano è originario della Spagna (è nato a Calagurris, ora Caloharra) ma la

data non è conosciuta con esattezza (forse fra il 30 e il 40 d.C.). Già da giovane

ha la possibilità di venire a Roma, di studiare con ottimi maestri.

Nel 60 d.C. tornerà in patria e svolgerà l’attività di retore. Questa sua attività lo

mette in luce positivamente: quando Galba, dopo la morte di Nerone (68 d.C.),

viene acclamato imperatore dalle regioni della Spagna, vuole che Quintiliano lo

accompagni in Italia. Il suo ruolo di prestigio viene confermato anche dagli

imperatori successivi. Nel 78 d.C. Vespasiano gli attribuisce la prima cattedra

pubblica di retorica.

La sua influenza culturale viene molto apprezzata: insegnerà fino al 88 d.C.

(forse sia Tacito che Plinio il Giovane furono suoi discepoli). Nel 94 d.C.

Domiziano gli affida l’educazione di due nipoti e lo nomina console.

L’anno di morte non è preciso (dal 96 al 100 d.C.). Sappiamo che esercitò

l’attività di avvocato e pubblicò una sola orazione (tuttavia circolarono un’altra

serie di orazioni non pubblicate con l’autorizzazione dell’autore ma erano

orazioni pronunciate durante i processi).

Un’opera importante, scritta intorno al 90 d.C., è il De causis corruptae

eloquentiae. Si situa nel dibattito dell’epoca per quanto riguarda la

decadenza dell’oratoria. Dato che siamo in un periodo in cui la storia

dell’oratoria è finita e non c’è libertà di parola, Quintiliano attribuisce la causa

allo scarso valore informativo dell’oratoria: non c’è più un rapporto con la

realtà. Non ci sono dei buoni insegnanti e adesione al reale, ma c’è un degrado

dei costumi.

Negli ultimi anni della sua vita si dedica alla sua opera più importante che ci è

pervenuto: Institutio oratoria (suddivisa in 12 libri).

È un’opera molto dettagliata in cui Quintiliano spiega il significato dell’oratoria

e il suo modo di insegnarla. Come già Cicerone, Quintiliano ritiene che la

retorica serve per formare l’uomo e il cittadino, prima ancora dell’oratore;

questa formazione deve iniziare da bambini.

Nei primi due libri spiega come il futuro cittadino debba avere un’educazione

attenta: fa uno “studio psicologico dell’età evolutiva” perché parla dello

sviluppo dei bambini, che imparano per emulazione. Non solo i maestri

dovranno avere particolare attenzione nel valutare l’indole del bambino, ma

sono i genitori che devono occuparsi della prima educazione, che nasce in

famiglia. Bisogna avere particolare attenzione a fornire dei modelli positivi ai

bambini e bisogna stare attenti al modo di educarli con l’esempio.

Il gioco ha un valore importante perché stimola l’intelligenza, se fatto con

coetanei aiuta la relazione. L'apprendimento deve essere insegnato

gradualmente senza forzare i bambini ed eliminando le punizioni fisiche

(questo non viene approvato da Quintiliano, che ritiene che siano inutili e che

servano solo ad umiliare bambini e ragazzi; i maestri devono far emergere

l’indole del singolo discepolo e valorizzare le sue qualità).

A partire dal secondo libro, comincia ad essere trattato il ruolo specifico della

retorica, che è il punto di arrivo di un percorso scolastico, che deve già essere

precedente (anche perché si entrava nelle scuole di retorica all’età di 17 anni).

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