Sofocle: il conflitto tra morale e potere
In Sofocle (497 o 496-406 a.C.) la condizione umana appare dettata da un oscuro destino, che inevitabilmente si compie attraverso le scelte dell’uomo. Ad esempio nell’Edipo re l’assassinio del padre e l’incesto con la madre — da parte dell’eroe — si compiono al di là di ogni possibilità di impedirli.
Sofocle affronta poi in modo particolarmente efficace il conflitto che si apre — nella pòlis — fra la legge morale e quella politica. Un conflitto, questo, che avrà una notevole influenza sulla riflessione etico - politica.
Nell’Antigone esso appare come contrasto insanabile fra l’intenzione dell’eroina (Antigone) di seppellire il fratello che aveva combattuto contro la propria città, appellandosi alla pietà religiosa e all’amore fraterno, e il comando del re Creonte di lasciare insepolto quel cadavere come segno del massimo disonore. L’eroina adempie il suo obbligo morale e paga con la vita il suo atto. Ma l’ordine morale a cui Antigone si richiama si identifica ancora con l’ordine religioso (cioè con “le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei”) e con i “diritti del sangue” protetti dalle divinità, entrati in conflitto con il nuovo potere statuale della pòlis, impersonato dalla volontà di Creonte. Questi ne è cosciente: sa che cedere ad Antigone è “tremendo”, perché significa riconoscere la superiorità dell’antichissimo legame del sangue sulla legge, quindi implica il dissolvimento del potere statuale e giuridico e il ritorno all’arcaica società dei clan e delle tribù aristocratiche; ma sa che altrettanto tremendo è “urtare col cuore superbo contro la maledizione divina”, cioè violare gli antichissimi precetti consuetudinari ancorati alla legge del sangue.