Pindaro è senza dubbio il maggior esponente della lirica corale. La sua bravura gli procurò enorme successo, abile nel sapersi adattare ad ogni occasione, attinge dal suo repertorio artistico forme collaudate, ma con fantasia offre varianti che non rendono monotoni i componimenti e soddisfano il pubblico.
Pindaro nacque a Cinocefale vicino Tebe e sulla sua vita abbiamo un ottima documentazione. Ma non mancano le leggende come quella in cui si dice che delle api gli posarono del miele sulla bocca quando era ancora in fasce. Pindaro ebbe i primi insegnamenti musicali a Tebe e poi ad Atene. Tutti i signori delle città ambivano ad averlo come ospite, divenne amico di molti tiranni e gli alti compensi gli permisero di vivere in serenità. Si dice che dopo la sua morte Alessandro Magno nel distruggere Tebe risparmiò la sua casa.
Pindaro non era per nulla interessato agli eventi della storia della sua epoca come si evince da molti componimenti, né prende mai partito. Trattò ogni genere della lirica, tuttavia nella prima parte della sua attività si dedicò più che altro a composizioni religiose. Fra tutti i generi, i più abbondanti sono gli epinici, i canti composti su commissione dei vincitori che più che ai meriti sportivi, inneggiavano alla gloria della stirpe e eventuali discendenze da eroi. Ma soprattutto l’esaltazione dell’atleta diveniva pretesto per esaltare la stirpe o la città.
Un’altra caratteristica di Pindaro è la fervida immaginazione che si riscontra nei suoi miti, che non rappresenta in successione, ma per mezzo di visioni sintetiche e balzi repentini, i cosiddetti voli pindarici. Nella sua poesia si serviva di un ricco lessico formulando eventualmente nuovi termini e molte metafore.
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Pindaro di Cinocefale