Fabrizio Del Dongo
Genius
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Storia del mito di Èdipo

Laio era re di Tebe e sua moglie era Giocasta. Sotto il suo regno la città era diventata molto prospera e famosa. Tuttavia, sulla coppia reale pesava una grande sciagura: l’oracolo di Delfi aveva ammonito Laio di non avere figli perché un eventuale figlio lo avrebbe ucciso e avrebbe sposato la madre Giocasta. Tuttavia, le esigenze del diritto di successione al trono erano troppo forti per cui nacque comunque un figlio, a cui fu dato il nome di Èdipo.

La tradizione racconta che Laio abbandonò il piccolo, d’inverno, in un vaso di terracotta. Invece, Sofocle, nella sua tragedia Èdipo re, ci dice che il bambino non fu abbandonato, ma destinato a essere esposto sul Citerone e poi risparmiato dal suo carnefice che lo affidò a un abitante di Corinto, affinché lo allevasse come un proprio figlio; invece, l’uomo preferì farne dono al re di Corinto.
Cresciuto a palazzo reale, Èdipo ignorava le sue vere origini finché un giorno, qualcuno fra coloro che lo invidiavano, gli rivelò che non era il figlio del re.

Da quel giorno, Èdipo fu ossessionato da questa notizia e decise di abbandonare Corinto per recarsi dall’oracolo di Delfi per conoscere fino in fondo la verità. L’oracolo non ebbe il coraggio di rivelare al giovane tutta la verità e si limitò a dirgli che si sarebbe macchiato di orribili delitti. Il giovane, impaurito da simili rivelazioni, non osò ritornarsene a Corinto e preferì dirigersi verso la Fòcide.

Qui, un giorno, si trovò ad attraversare une strettoia che consentiva il passaggio a una sola persona alla volta. Dalla parte opposta, veniva un carro che non voleva assolutamente cedere il passo in quanto trasportava un personaggio straniero di alto lignaggio. Su tale carro, si trovava oltre all’auriga, anche il re Laio, cioè l’uomo che Èdipo non avrebbe dovuto mai incontrare. Lo scontro si concluse con l’uccisione dell’auriga e di Laio da parte di Èdipo, il quale successivamente ancora in preda all’ira per l’insolenza dei due stranieri, si allontanò e iniziò a vagare attraverso la Fòcide, in cerca di tranquillità.

Morto Laio, il trono di Tebe passò a Creonte, fratello della vedova. Di Èdipo non si ebbero più notizie, fin al momento in cui egli decise di recarsi a Tebe per liberare la città dalla Sfinge. La Sfinge era nata dalla dea serpente Echidna e dal di lei figlio, il cane Ortro. Essa aveva il volto di cane e dominava la città dall’alto del monte oppure a volte si installava sulla sommità di una colonna in mezzo alla piazza del mercato come se stesse puntando una preda. Prima di afferrare la vittima scelta, essa poneva a quest’ultima un enigma; qual è l’animale che può avere quattro, due e tre gambe ma che viene chiamato sempre con lo stesso nome? Nessuno riusciva a risolvere l’enigma. Il re Creonte, aveva promesso che avrebbe dato in sposa la sorella Giocasta a chi avesse liberato la città dal mostro. Èdipo, arrivato a Tebe, si cimentò nella prova e risolse il quesito: si tratta dell’uomo che da bambino gattona, da adulto cammina su due gambe e in vecchiaia ha bisogno del sostegno di un bastone. Vistasi vinta, la Sfinge si lasciò cadere dalla rupe sulla quale si trovava ed Èdipo la finì con la sua lancia.

Èdipo diventò, allora, l’eroe della città ed ebbe per moglie Giocasta, ambedue ignari della loro terribile sorte. Comunque, egli visse da saggio fino a diventare re di Tebe.
Dopo molto tempo, nella città scoppiò una terribile pestilenza e secondo l’oracolo essa sarebbe cessata a condizione che fosse trovato l’uccisore del re Laio. Furono fatte delle ricerche e a un certo punto Èdipo volle che fosse interrogato in proposito il vecchio indovino Tiresia, il quale, soltanto lui, conosceva la verità. Ormai dal giorno in cui Èdipo aveva ucciso i due stranieri (Laio e il suo auriga) era passato molto tempo e mai egli avrebbe sospettato che fra quell’episodio, ormai così lontano, e quanto stava succedendo a Tebe, ci fosse un rapporto. Fra l’altro, dal matrimonio con Giocasta erano nati quattro figli: due femmine, Antigone e Ismene e due maschi, Eteocle e Polinice.
Tiresia svelò pubblicamente la verità, ma nessuno gli voleva credere fintanto che non fu condotto davanti a lui il pastore che aveva raccolto Èdipo sulla montagna sulla quale era stato abbandonato. Edipo capì, allora, di aver veramente ucciso il padre e di essersi unito con la madre come aveva predetto a suo tempo l’oracolo. Non potendo reggere a tale disonore, davanti a tutti i cittadini e ai suoi familiari si punì strappandosi gli occhi con le sue stesse unghie.

Divenuto cieco, egli abbandonò Tebe accompagnato dalla figlia Antìgone. Essi errarono di città in città, stanchi e desolati e per tutti coloro che conoscevano la sua storia Èdipo diventò l’esempio di eroe sofferente. Dopo tante peregrinazioni, Èdipo e la figlia giunsero in Attica e si stabilirono su di una collina coperta di boschi, vicino al luogo inviolabile sacro alle Erinni, che erano le dee della vendetta materna. Fino ad allora, esse aveva perseguitato Èdipo, ma ora che l’eroe era giunto alla fine delle proprie sofferenze, esse si placarono e permisero che i due esiliati vivessero in pace fino agli ultimi giorni della loro vita. Nell’antichità, la sua tomba fu considerata il rifugio dei perseguitati dal destino.

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